Il percorso congressuale è ufficialmente avviato. Abbiamo consegnato al confronto il nostro contributo collettivo “Per una Cgil unita e plurale”, firmato individualmente da oltre 600 dirigenti sindacali, convinti del bisogno assoluto di un congresso utile, unitario e di un confronto qualitativo e plurale sul merito programmatico, a conferma della natura confederale dell’organizzazione. E a chi ci domanda oggi - strumentalmente e con malcelato interesse – “con chi stiamo”, la nostra risposta non può che essere che stiamo con la Cgil.

Circolano nel gruppo dirigente troppi veleni e diffidenze che occorre superare con senso di responsabilità. Teniamo a rimarcare che il nostro contributo è stato deciso in un’assemblea nazionale promossa da Lavoro Società tenutasi nella sede Cgil, e non in riunioni carbonare, e che i tanti dirigenti e delegati che lo sostengono non fanno parte di una “cordata” ma della storia di una sinistra sindacale confederale riconosciuta nell’ambito del pluralismo programmatico previsto dallo statuto.

Siamo interessati a contribuire all’analisi e alla concretezza delle proposte, a un confronto vero, senza falsi unanimismi, senza rimozioni delle differenze presenti nell’organizzazione, per ricercare una sintesi unitaria avanzata. Vogliamo risalire la deriva valoriale e culturale, per colmare la distanza accumulata tra quanto scriviamo, pratichiamo e realizziamo. Siamo per riaffermare la Cgil della contrattazione e della partecipazione.

“Il lavoro E’” si intitola la traccia di discussione per le assemblee generali con cui si avvia l’innovativo percorso per il XVIII congresso nazionale. Un documento agile, condiviso dalla maggior parte della commissione nazionale, che recupera valori e rilancia obiettivi alternativi per il mondo del lavoro. A partire dalla rivendicazione del percorso – difficile e a volte drammatico – degli anni della crisi, in cui, tuttavia, la Cgil non si è limitata alla difesa ma ha avanzato proposte strategiche come il Piano del lavoro e la Carta dei diritti universali, che faranno, giustamente, da bussola per la rotta dei prossimi anni.

Il documento “a maglie larghe” non è di certo esaustivo. Offre un terreno positivo di riaffermazione di una Cgil non ripiegata su se stessa. Una traccia di discussione comunque significativa che apre, non chiude di certo, la discussione, da costruire attraverso un adeguato percorso di coinvolgimento di tutte e tutti, a partire dalle delegate e dai delegati. Il loro contributo è essenziale per apportare le integrazioni e le modifiche che si ritengono necessarie alla costruzione del documento congressuale.

Mai come oggi abbiamo bisogno di ascoltare e di capire cosa è successo nella nostra base di riferimento, tra i nostri iscritti. Mai come oggi c’è bisogno della Cgil. 


 

Cgil Cisl e Uil hanno deciso di dedicare la manifestazione nazionale del Primo Maggio, che si svolgerà a Prato, alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Sarà un’occasione, l’ennesima, per capire se dalla politica arriverà un segnale diverso dalla sostanziale indifferenza con cui vengono accolte le notizie, quasi quotidiane, di nuovi omicidi bianchi. Perché il cordoglio non può certo bastare. Mentre latitano, sia in tv che sugli altri media, le doverose riflessioni e i necessari approfondimenti su una strage che costa ogni anno più di mille vite, senza contare le decine di migliaia di infortuni spesso invalidanti.

I sindacati confederali, e anche quelli di base, chiedono da anni maggiori investimenti, una formazione che non sia solo sulla carta, e una strategia nazionale di contrasto all’insicurezza sul lavoro. Il ministro Poletti li ha convocati per il 10 aprile prossimo. Ma non potrà certo dare risposta al dato di fatto sintetizzato da Beniamino Deidda, magistrato sempre in prima linea: “C’è un’enorme sproporzione fra quello che lo Stato investe per combattere gli infortuni sul lavoro rispetto alla reale necessità. A questo si aggiunge l’assenza di cultura della sicurezza”.

In una dimensione del lavoro sempre più precarizzata per volontà politica, la mancanza della volontà politica sulla sicurezza è palese: un’inchiesta del settimanale l’Espresso registra che a controllare 4,4 milioni di imprese italiane ci sono solo 3.500 persone, di cui 2.800 ispettori delle Asl, più 300 funzionari del ministero del lavoro, che intervengono per lo più nel settore edile, e altri 400 carabinieri. Il 97% delle aziende può quindi sperare di non essere mai visitata. Quando poi il controllo arriva, i risultati sono sconfortanti: sulle 190mila visite fatte nel 2017, due aziende su tre sono risultate irregolari.


 

Dal 1998 i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego sono chiamati ad eleggere le loro Rappresentanze sindacali unitarie e non hanno mai mancato l’appuntamento. Oggi auspichiamo un aumento della partecipazione e che faccia premio alla Funzione pubblica la lunga stagione di mobilitazione per i diritti dei lavoratori e dei cittadini. “Il sindacato sarà le persone che scegli”, quelle a cui si dà fiducia, il/la collega stimata e capace, attenta, solidale, che si candida per spirito di servizio. In questa relazione di prossimità sta il senso più vero delle Rsu, nella conoscenza delle diverse realtà degli uffici, degli enti, dei presidi.

Per aumentare la capacità di insediamento territoriale, anche alla luce della stipula dei nuovi Ccnl e dei prossimi tavoli di contrattazione decentrata, sono state presentate più liste del 2015, per la gran parte maggiorate di un terzo. Una scelta necessaria in un momento particolarmente complesso nella storia della pubblica amministrazione, che sta subendo ancora le conseguenze delle azioni di riduzione del sistema di welfare pubblico. Inoltre, l’attacco ai corpi intermedi e al sistema della rappresentanza sindacale ha segnato negativamente gli ultimi anni.

Ora il recente accordo con Confindustria, preceduto da analoghe intese, unitamente alla stipula dei contratti del pubblico impiego, ci parla di una ripresa del confronto, di un percorso e di una relazione positiva che auspichiamo non si interrompa nuovamente. Abbiamo bisogno di più contrattazione per lo sviluppo, di nuovi investimenti pubblici e privati per offrire una prospettiva di futuro, in particolare alle donne ed ai giovani. L’abbiamo detto nel Piano del lavoro, lo ripetiamo in ogni sede. Più lavoro pubblico, più welfare, più servizi adeguati a una società in trasformazione.

La Funzione pubblica, certa che i candidati “fanno la differenza”, ha giocato d’anticipo, organizzando percorsi formativi per dare ai nuovi delegati competenze e strumenti all’altezza dell’impegno richiesto. Siamo a più di 7.000 candidati già coinvolti, e altri ne stanno arrivando. Dalla loro generosità nasce la capacità di insediamento della nostra organizzazione ed il futuro stesso della democrazia nei luoghi di lavoro. Sfuggire alla trappola del corporativismo, dei privilegi ad personam, è possibile solo attraverso una visione confederale, che tenga insieme specificità professionali ed esigibilità dei diritti di cittadinanza e delle protezioni sociali, che vanno riconquistate ed estese. La rilevanza di questo impegno per il bene comune deve essere valorizzata: un onere importante, che richiede il supporto di tutta l’organizzazione.

In questo spazio di democrazia ottenuto più di venti anni fa sono nate sperimentazioni innovative, contratti decentrati attenti alla fruizione dei servizi da parte dei cittadini e alla valorizzazione del personale. Un percorso che ora può ripartire, dopo quasi dieci anni di blocco della contrattazione.

La Funzione pubblica ha promosso più di 50 programmi di lavoro, il segno di un impegno diffuso per migliorare la qualità dell’azione pubblica. Dalla sanità di territorio ai servizi educativi e sociali, prevenzione, professioni infermieristiche, consultori, salute mentale e dipendenze, servizi educativi e servizi sociali, enti locali e città metropolitane: sono solo alcuni dei titoli che caratterizzano le proposte costruite in ascolto e dialogo con gli iscritti, nel corso di moltissime iniziative territoriali.

Non dimentichiamo che insieme ai contratti sono state bloccate assunzioni e finanziamenti, si è dato luogo a una riforma istituzionale incompiuta che ha ridotto drasticamente le risorse umane e materiali per gli enti di secondo livello, creando una crisi gravissima per alcuni servizi fondamentali, dall’edilizia scolastica alla manutenzione delle strade. Organici impoveriti anche per enti locali e sanità con ripercussioni sulle funzioni essenziali e sulla esigibilità dei Lea. E ancora, carichi di lavoro in continuo aumento e personale sempre più anziano.

Un elenco infinito di problemi che le nuove Rsu dovranno affrontare, sapendo che serve un efficace governo del cambiamento. Non soluzioni di facile presa, ma un vero ripensamento di modelli organizzativi, professioni, competenze, necessari processi di innovazione. Così come è indispensabile rafforzare l’impegno confederale per garantire l’universalità del Servizio sanitario nazionale, contro i de-finanziamenti e le privatizzazioni. Per un sistema pensionistico più equo, che consideri le differenze tra i lavori e tra le aspettative di vita, che dia risposte ai giovani e alle donne che godono di minore tutele pensionistiche. Per una scuola pubblica di qualità, asili nido e scuole materne per i bambini e le bambine. Servizi per il lavoro e la formazione. Perché le vertenze della Cgil riguardano i diritti di tutti. Contro la paura che domina le nostre vite, contro il rancore che è diventato la cifra di questi anni, la diffidenza, la divisione, scegliere di andare a votare per le Rsu è un segnale di cambiamento per il mondo del lavoro e per l’intero paese.


 

La scadenza elettorale per il rinnovo delle Rappresentanze sindacali unitarie, come sempre, rappresenta un’importante prova di democrazia di questo paese, che coinvolge oltre 2.750.000 lavoratori e mette al centro il tema della partecipazione nel mondo del lavoro pubblico. Un appuntamento che cade dopo il terremoto delle elezioni politiche, che ha decretato la sconfitta della sinistra e l’irruzione prepotente di soggetti politici con forti connotazioni populiste e xenofobe, come il M5S e la Lega, che hanno pescato abbondantemente fra nostri iscritti e simpatizzanti. Siamo forse entrati nella terza repubblica a trazione pentastellata, anche se non si intravedono facili soluzioni per il futuro governo.

Tutto questo interroga la Cgil sul piano dell’autonomia dal quadro politico e del ruolo che sarà chiamata a svolgere in futuro, in uno scenario che evidenzia uno iato fra le opzioni di sinistra e di classe del nostro sindacato e gli orientamenti elettorali di parte della nostra base.

Le ragioni del lavoro sono state assenti dalla campagna elettorale. Tocca a noi rilanciarle con forza, a partire da questo rinnovo delle Rsu, un appuntamento che parla anche al paese per riaffermare i diritti del lavoro e la democrazia sindacale nei settori pubblici, troppo spesso vilipesi e strumentalizzati per biechi interessi elettorali.

I governi di centro-destra e di centro-sinistra non si sono distinti nella campagna di denigrazione, volta a nascondere il vero problema della riduzione del pubblico a vantaggio delle privatizzazioni. 

Ovvero, lo smantellamento del sistema di welfare, con il disastro della sanità pubblica e l’attacco alla scuola pubblica della Costituzione con la legge 107, ai diritti del lavoro con il jobs act e la precarizzazione imperante, l’attacco alle pensioni. 

La Cgil ha contrastato questa deriva turbo-liberista. Siamo il sindacato del Piano per il lavoro e della Carta dei diritti universali, su cui sono state raccolte milioni di firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare, incardinata nei lavori della Camera.

Dall’attacco al pubblico non sono stati esonerati i settori della conoscenza, dove la nostra Flc ha contrastato la riforma Brunetta e la “buona scuola” di Renzi con un movimento di massa e unitario che ha messo in campo tutto il mondo della scuola e, per la prima volta, alle strette il governo, su una vertenza del mondo del lavoro culminata con lo sciopero del 5 maggio 2015. Per non parlare dell’azione di contrasto alle riforme del sistema universitario - che hanno prodotto l’attuale deriva di un sistema irrimediabilmente spaccato fra un nord che attrae risorse e studenti e un sud sempre più impoverito – e ai tagli alla ricerca e alla sua autonomia.

La precarizzazione dilagante ci ha visti impegnati nelle rivendicazioni a sostegno della stabilizzazione dei precari, ottenuta sia con l’immissione in ruolo del personale precario della scuola, che con le risorse contenute nell’ultima legge di bilancio destinate ai precari della pubblica amministrazione. 

Frutto anche dell’azione giudiziaria promossa dalla Flc Cgil a livello europeo per contrastare la reiterazione dei contratti flessibili nella pubblica amministrazione. Azione giudiziaria intrapresa e vinta anche nei confronti del governo, con il pronunciamento della Corte Costituzionale che ha riconosciuto il diritto al rinnovo dei contratti pubblici e permesso la riapertura della stagione contrattuale.

In questo quadro durissimo e complesso, siamo riusciti a portate a casa il rinnovo del contratto dell’Istruzione e ricerca, dopo 9 anni dall’ultimo rinnovo dei comparti scuola, università, ricerca e Afam. 

Un risultato niente affatto scontato, che ci ha visti impegnati sul tema delle risorse aggiuntive per la scuola sottratte dalla legge 107, quelle destinate alla ‘premialità’ dei docenti, riportate al contratto grazie alla nostra azione, per incrementare le retribuzioni di tutti (circa 200 milioni di euro complessivi).

Il rinnovo contrattuale è un risultato straordinario. Al di la dei contenuti, rimette in moto un meccanismo che si era inceppato, di cui non era scontata la ripresa. Soprattutto rimette al centro il sindacato e le relazioni sindacali, rilancia la contrattazione integrativa, strozzata dalla Brunetta e dai mancati rinnovi contrattuali, rilancia il protagonismo, a partire dalle assemblee di consultazione sull’ipotesi di accordo che la Flc Cgil sta tenendo, unica organizzazione sindacale, in questi giorni.

Per tutto quello che abbiamo fatto e intendiamo fare nei prossimi mesi in difesa dei diritti dei lavoratori, per rilanciare la partecipazione a partire dai luoghi di lavoro e rimettere al centro il lavoro, per rafforzare i presidi di democrazia, è necessario votare il sindacato confederale, sostenere le liste della Cgil in tutto il pubblico impiego e votare le liste della Flc Cgil nei settori della conoscenza. 

Abbiamo bisogno del voto delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, università, ricerca e Afam, per rafforzare la nostra azione e poter dire sempre “Su le teste!”.


 

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