La politica dell’insicurezza - di Riccardo Chiari

Cgil Cisl e Uil hanno deciso di dedicare la manifestazione nazionale del Primo Maggio, che si svolgerà a Prato, alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Sarà un’occasione, l’ennesima, per capire se dalla politica arriverà un segnale diverso dalla sostanziale indifferenza con cui vengono accolte le notizie, quasi quotidiane, di nuovi omicidi bianchi. Perché il cordoglio non può certo bastare. Mentre latitano, sia in tv che sugli altri media, le doverose riflessioni e i necessari approfondimenti su una strage che costa ogni anno più di mille vite, senza contare le decine di migliaia di infortuni spesso invalidanti.

I sindacati confederali, e anche quelli di base, chiedono da anni maggiori investimenti, una formazione che non sia solo sulla carta, e una strategia nazionale di contrasto all’insicurezza sul lavoro. Il ministro Poletti li ha convocati per il 10 aprile prossimo. Ma non potrà certo dare risposta al dato di fatto sintetizzato da Beniamino Deidda, magistrato sempre in prima linea: “C’è un’enorme sproporzione fra quello che lo Stato investe per combattere gli infortuni sul lavoro rispetto alla reale necessità. A questo si aggiunge l’assenza di cultura della sicurezza”.

In una dimensione del lavoro sempre più precarizzata per volontà politica, la mancanza della volontà politica sulla sicurezza è palese: un’inchiesta del settimanale l’Espresso registra che a controllare 4,4 milioni di imprese italiane ci sono solo 3.500 persone, di cui 2.800 ispettori delle Asl, più 300 funzionari del ministero del lavoro, che intervengono per lo più nel settore edile, e altri 400 carabinieri. Il 97% delle aziende può quindi sperare di non essere mai visitata. Quando poi il controllo arriva, i risultati sono sconfortanti: sulle 190mila visite fatte nel 2017, due aziende su tre sono risultate irregolari.


 

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