Ci apprestiamo alle ferie estive in un clima tutt’altro che rilassante. Il “ministro della malavita” – come lo ha definito Roberto Saviano – alza ogni giorno il tiro nella guerra contro gli immigrati, facendo emergere la parte peggiore del paese, fino alla teppaglia fascista italiana e polacca delle ronde nere nelle spiagge di Rimini.
La disumana guerra ai migranti è la cifra di una politica reazionaria che vorrebbe un paese ermeticamente chiuso ed etnicamente puro (una volta eliminati gli immigrati e i rom, la Lega tornerà al suprematismo padano?). Ma è anche una grande campagna di distrazione di massa. Una inesistente “emergenza immigrazione”, per distogliere l’attenzione dai veri problemi del paese e dall’assoluta inanità di un governo diviso su tutto; pronto a chinarsi ai diktat di Confindustria sui voucher, a rimangiarsi le promesse di smantellamento della legge Fornero, del jobs act e di ripristino dell’articolo 18.
Anche il nostro periodico va in ferie. Speriamo di aver contribuito, nei mesi scorsi, al percorso del XVIII congresso Cgil, accompagnando “Lavoro Società – per una Cgil unita e plurale” nella sua assemblea nazionale, nel contributo al dibattito sottoscritto da oltre 700 tra compagne e compagni, dirigenti, quadri e delegati. Abbiamo cercato di fare del periodico uno spazio aperto e curioso a quanto si muove dentro e fuori la Cgil. Grazie al nostro impagabile grafico il sito web è stato rinnovato e reso più agile e leggibile. E abbiamo la soddisfazione di vedere pubblicato il preziosissimo lavoro di Frida Nacinovich: “Con parole loro” è un viaggio fra delegate e delegati nella grande crisi, raccogliendo in un unico volume anche le interviste della nostra rubrica “Officina del Lavoro”.
Ci aspetta, aspetta la Cgil, un autunno impegnativo. Settembre sarà il mese di massima concentrazione delle assemblee congressuali di base. Un’occasione imperdibile per confrontarsi con lavoratori e pensionati, valorizzare gli aspetti di continuità programmatica del documento “Il lavoro è”, contribuire, in piena autonomia, a costruire una risposta sociale democratica alle derive autoritarie e anticostituzionali della nuova maggioranza, e a far riemergere la parte di paese egualitaria, solidale, accogliente.
L’autunno sarà decisivo per una ripresa di mobilitazione, unitaria, sulle pensioni, sul lavoro – ben oltre le ambiguità del “decreto dignità” - l’occupazione, la conquista nella legge di bilancio di nuovi spazi per welfare e sviluppo sostenibile, per stoppare introduzione di nuovi voucher e manomissioni delle leggi sugli appalti e contro il caporalato. Per non parlare della necessità di una vera riforma fiscale, dalla lotta all’evasione alla tassa sulle grandi ricchezze. L’opposto della flat tax, che esalta le politiche neoliberiste del prendere ai poveri per dare ai ricchi.
Buone vacanze. Prepariamoci alle prossime lotte.
Quest’ultima settimana è iniziata con la denuncia fatta dall’ong catalana Proactiva Open Arms che la Guardia costiera di Tripoli aveva lasciato morire una donna e un bambino che erano su un gommone in difficoltà, mentre un’altra donna camerunense, Josefa, era stata raccolta dalla nave della ong. La foto del salvataggio ha fatto il giro del mondo, mentre la Marina di Tripoli si difendeva così: “Non volevano salire sulle motovedette”.
Alla difesa a spada tratta delle autorità di Tripoli, fatta dal ministro italiano Matteo Salvini, ha fatto da contraltare la denuncia della ong catalana, la cui nave è infine attraccata al porto di Maiorca. Nel mentre un servizio-inchiesta del quotidiano “Il Fatto”, che riporta alcune dichiarazioni – purtroppo in forma anonima - di autorità militari italiane, racconta che la Guardia costiera di Tripoli ha preso l’abitudine di affondare i barconi in mare, per poi raccogliere i pochi naufraghi che sanno nuotare e riportarli nei campi di detenzione. Questo perché l’Unione europea dà loro i soldi dei contribuenti, anche tanti, pur di non fare arrivare migranti sulle sue sponde.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nata nel 1951 e con sede in Svizzera, ha diffuso i dati di questi primi mesi del 2018 sui morti nel Mediterraneo. Sono stati 1.443, in proporzione molti di più rispetto al 2017, visto che gli sbarchi sono calati dell’81%. Ma il governo italiano proprio non ci sente, in buona compagnia peraltro, visto che nell’Ue si fa a gara a non accogliere rifugiati e migranti. “C’è chi strumentalizza le vittime per fini politici” dichiara stentoreo il ministro Salvini. “Soccorrere e salvare i rifugiati e i richiedenti asilo costretti a fuggire da guerre, conflitti, violenze, fame e povertà, deve essere la priorità per ogni paese civile”, fa sapere in risposta la Cgil.
Ancora un giovane operaio morto a Massa-Carrara. Dal 2006 aumentati gli infortuni mortali, soprattutto a causa della crescente precarietà.
Ancora una volta un morto sul lavoro; ancora una volta un giovane, ancora una volta un operaio. Il secondo dall’inizio dell’anno ad oggi in provincia di Massa-Carrara, il diciassettesimo in Toscana. Se da un lato, dal 2006 ad oggi, il numero degli infortuni è diminuito (almeno quelli denunciati), dall’altro sono aumentati gli incidenti mortali: uno nel 2006, uno nel 2007, uno nel 2010, uno nel 2012, due nel 2015 e tre nel 2016. A nulla è valsa la task-force messa in campo dalla Regione Toscana, a nulla i doverosi interventi legislativi. Nel settore lapideo si continua a morire. Se si considera il rapporto fra gli occupati del settore e il numero di infortuni mortali, si può parlare di una vera e propria strage di operai.
Nella Camera del Lavoro di Carrara, oltre al cordoglio, ogni volta che muore un operaio si respirano anche sentimenti di rabbia di fronte all’impotenza: si è fatto molto negli ultimi anni, ma non abbastanza. Come Cgil, a tutti i livelli, non abbiamo mai abbassato la guardia di fronte ai rischi di un mondo del lavoro che è talmente instabile da produrre morte anziché ricchezza.
Continuiamo a sostenere che minori tutele e lavoro precario incidono negativamente sulla sicurezza, sulle condizioni di lavoro, sulla formazione e informazione necessaria per una efficace prevenzione. Nei lavoratori atipici e flessibili va da sé che i temi della salute e della sicurezza passano in secondo piano, rispetto alle preoccupazioni relative al mantenimento del posto di lavoro.
La soluzione per emergere da questa condizione non può che essere una risposta di classe. Chi ci ha portato alla condizione odierna ha ragionato in termini di classe. Negli anni dell’ultimo governo Berlusconi, Giulio Tremonti affermava che “dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili, robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci, sono l’Europa e l’Italia che si devono adeguare al mondo”. Qualcuno rideva, qualcuno sminuiva, qualcuno si incavolava. Da lì è continuato il filo nero che, passando per Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ci ha portato alla situazione odierna, dove la sicurezza e la vita di lavoratori e lavoratrici nulla valgono rispetto al profitto. Capita che ogni tanto qualcuno muoia.
Tornando al caso della morte di Luca Savio, 41 anni, padre di una bambina di 14 mesi, non si può certo parlare di fatalità, anche se spesso fra i cavatori e gli operatori del marmo si tende a sminuire l’importanza dei fattori oggettivi di prevenzione e sicurezza in nome del fato: “la montagna prende, la montagna dà ” è una tipica espressione molto in voga tra i cavatori, che purtroppo si è tramandata nel tempo e che è entrata a far parte del pensiero di molti (personalmente ne sono venuto a conoscenza all’interno della Camera del Lavoro), quasi fosse una scusante di fronte all’impotenza che si prova quando qualcuno perde la vita mentre lavora.
Luca aveva già lavorato alle dipendenze della ditta FC autogrù fino al 31 dicembre 2017, poi si era iscritto alla Naspi e aveva ripreso il lavoro qualche giorno prima di morire. Il piazzale utilizzato dalla ditta FC autogrù è di proprietà di una società nella quale uno dei soci, titolare del 25% delle quote, è anche socio al 30% di una società fra le più importanti del settore lapideo per fatturato e numero di dipendenti. Gli investigatori faranno le loro indagini per cercare di chiarire i molti punti oscuri della vicenda, ma un ragazzo è morto e sua figlia crescerà senza di lui. E non perché “la montagna (o il marmo ) prende e la montagna dà”.
A Carrara la montagna viene rapinata ogni giorno, da secoli. E non da chissà quali entità astratte, bensì da padroni in carne ed ossa, da intere famiglie (poche) che da anni vivono del plusvalore prodotto dal sudore delle fronte degli operai. Ma non bisogna dirlo, perché questi signori sono quelli che ci danno il lavoro, e fondano enti di beneficenza e istituiscono centri medici privati, di loro proprietà, dove gli operai che si sono ammalati per produrre per loro andranno a curarsi, restituendo così parte del loro salario agli stessi padroni. Poi ogni tanto qualcuno di loro viene sacrificato sull’altare del profitto. “Il padrone dà, il padrone prende”.
Città della Scienza sorge a Napoli, sui terreni dell’ex Federconsorzi, nel deserto post-industriale di Bagnoli, l’ex area dell’acciaio, della chimica agro industriale e dell’eternit. Per più di vent’anni, tra mille peripezie e crisi ricorrenti, ha svolto la sua funzione di attrattore fondato sulla “mission” della divulgazione scientifica. Il 4 marzo 2013 una mano criminale, per motivi ancora ignoti, ha causato un rogo in cui sono andati distrutti 10mila metri quadrati di aree espositive, cioè tutto il Museo inaugurato nel 2001 sul mare del golfo di Pozzuoli.
I lavoratori hanno reagito. Hanno resistito. Mesi e mesi senza stipendio, decurtazioni delle retribuzioni, cig in deroga a zero ore per oltre il 60% dell’organico su un arco complessivo di tre anni. Ci dicevano che ce l’avevamo fatta, che ci attendevano magnifiche sorti e progressive. Poi qualcosa si è definitivamente rotto. Ha prevalso il nuovismo tecnocratico dei tempi correnti, piegato ad una visione vacua di innovazione, con denari (pubblici) utilizzati spesso per l’acquisizione di prestigio e consenso personale. La frattura tra quello che doveva essere e quello che realmente stava diventando Città della Scienza è apparsa così insanabile. Questa, semplificando al massimo, la cifra della gravissima crisi economica e finanziaria che ha investito Città della Scienza, causata da una conduzione a dir poco malsana da parte della precedente gestione, che ha condotto al commissariamento, su richiesta dei lavoratori e del suo fondatore Vittorio Silvestrini.
Il commissario ha accertato che la situazione è più grave di quanto si volesse far credere: solo sul bilancio 2016 c’è un passivo di 7.225.000 euro, invece dei due milioni di disavanzo dichiarati dall’ex segretario generale e dal vecchio cda. Non sappiamo ancora quale sia il passivo del 2017. Si aggiunga che l’indennizzo assicurativo di circa 15 milioni di euro, per l’incendio del 2013, è stato altrimenti utilizzato invece della mai avvenuta ricostruzione.
Città della Scienza è a rischio perché la cattiva politica, responsabile della gestione, ha un solo modo di nascondere le responsabilità del passato: affidarsi ai protagonisti di ieri, fautori della restaurazione del vecchio sistema di potere. Occorre quindi un cambio di passo, una chiara e inequivocabile inversione di rotta, che non può non passare attraverso la ridefinizione di ruoli e responsabilità. È necessaria una rottura netta con gli uomini e i metodi del passato.
Città della Scienza e la sua “mission” centrale e originaria - la divulgazione scientifica per la costruzione di una società democratica della conoscenza - devono essere sostenute per il loro alto valore sociale: è impensabile - non accade al mondo per nessuna esperienza analoga - ipotizzare un’autosufficienza economica che prescinda da una sostanziale, stabile e qualificante contribuzione pubblica.
Perché le condizioni appena accennate si realizzino, sono fondamentali due passaggi: il cambio dello Statuto e un’analisi delle attività svolte, per valutarne la congruenza economica e sociale con gli obiettivi della Fondazione. Una riforma dello Statuto, prima di tutto, deve dare il giusto peso alle istituzioni di riferimento, a partire dalla Regione Campania, in proporzione all’effettivo sostegno economico di cui sono portatrici. Per fare questo vanno necessariamente rivisti composizione ed equilibri dell’assemblea dei soci. Per tutelare stabilità e autonomia della struttura, mettendola al riparo dai venti imprevedibili dei mutamenti politici e da tentazioni autoreferenziali di gestioni personalistiche, un nuovo Statuto dovrebbe anche evitare, con norme ad hoc, la concentrazione e sedimentazione sine die di cariche e poteri.
Gli spazi e il patrimonio di Città della Scienza offrono potenzialità di non poco conto, che possono essere messe a valore a patto che vengano eliminati gli sprechi, razionalizzate le risorse e valorizzato e riqualificato il personale: è indispensabile eliminare quei rami di attività che non portano benefici economici, né rispondono alla “mission” dell’istituzione.
Nel drammatico panorama produttivo degli ultimi trenta anni, Città della Scienza rappresenta un’occasione unica di rilancio del territorio, e di diffusione di una rinnovata cultura del lavoro e della coesione sociale. E’ necessario procedere, con modalità avanzate, sul terreno delle relazioni industriali, così da realizzare un confronto virtuoso ed efficace, volto a migliorare la qualità della vita dei lavoratori e l’impatto della struttura sul territorio.
(Questa è la sintesi di due articoli comparsi sul numero 6 - luglio 2018 di REDS, foglio di collegamento di Lavoro Società della Filcams Cgil)