Ancora un giovane operaio morto a Massa-Carrara. Dal 2006 aumentati gli infortuni mortali, soprattutto a causa della crescente precarietà.
Ancora una volta un morto sul lavoro; ancora una volta un giovane, ancora una volta un operaio. Il secondo dall’inizio dell’anno ad oggi in provincia di Massa-Carrara, il diciassettesimo in Toscana. Se da un lato, dal 2006 ad oggi, il numero degli infortuni è diminuito (almeno quelli denunciati), dall’altro sono aumentati gli incidenti mortali: uno nel 2006, uno nel 2007, uno nel 2010, uno nel 2012, due nel 2015 e tre nel 2016. A nulla è valsa la task-force messa in campo dalla Regione Toscana, a nulla i doverosi interventi legislativi. Nel settore lapideo si continua a morire. Se si considera il rapporto fra gli occupati del settore e il numero di infortuni mortali, si può parlare di una vera e propria strage di operai.
Nella Camera del Lavoro di Carrara, oltre al cordoglio, ogni volta che muore un operaio si respirano anche sentimenti di rabbia di fronte all’impotenza: si è fatto molto negli ultimi anni, ma non abbastanza. Come Cgil, a tutti i livelli, non abbiamo mai abbassato la guardia di fronte ai rischi di un mondo del lavoro che è talmente instabile da produrre morte anziché ricchezza.
Continuiamo a sostenere che minori tutele e lavoro precario incidono negativamente sulla sicurezza, sulle condizioni di lavoro, sulla formazione e informazione necessaria per una efficace prevenzione. Nei lavoratori atipici e flessibili va da sé che i temi della salute e della sicurezza passano in secondo piano, rispetto alle preoccupazioni relative al mantenimento del posto di lavoro.
La soluzione per emergere da questa condizione non può che essere una risposta di classe. Chi ci ha portato alla condizione odierna ha ragionato in termini di classe. Negli anni dell’ultimo governo Berlusconi, Giulio Tremonti affermava che “dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili, robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci, sono l’Europa e l’Italia che si devono adeguare al mondo”. Qualcuno rideva, qualcuno sminuiva, qualcuno si incavolava. Da lì è continuato il filo nero che, passando per Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, ci ha portato alla situazione odierna, dove la sicurezza e la vita di lavoratori e lavoratrici nulla valgono rispetto al profitto. Capita che ogni tanto qualcuno muoia.
Tornando al caso della morte di Luca Savio, 41 anni, padre di una bambina di 14 mesi, non si può certo parlare di fatalità, anche se spesso fra i cavatori e gli operatori del marmo si tende a sminuire l’importanza dei fattori oggettivi di prevenzione e sicurezza in nome del fato: “la montagna prende, la montagna dà ” è una tipica espressione molto in voga tra i cavatori, che purtroppo si è tramandata nel tempo e che è entrata a far parte del pensiero di molti (personalmente ne sono venuto a conoscenza all’interno della Camera del Lavoro), quasi fosse una scusante di fronte all’impotenza che si prova quando qualcuno perde la vita mentre lavora.
Luca aveva già lavorato alle dipendenze della ditta FC autogrù fino al 31 dicembre 2017, poi si era iscritto alla Naspi e aveva ripreso il lavoro qualche giorno prima di morire. Il piazzale utilizzato dalla ditta FC autogrù è di proprietà di una società nella quale uno dei soci, titolare del 25% delle quote, è anche socio al 30% di una società fra le più importanti del settore lapideo per fatturato e numero di dipendenti. Gli investigatori faranno le loro indagini per cercare di chiarire i molti punti oscuri della vicenda, ma un ragazzo è morto e sua figlia crescerà senza di lui. E non perché “la montagna (o il marmo ) prende e la montagna dà”.
A Carrara la montagna viene rapinata ogni giorno, da secoli. E non da chissà quali entità astratte, bensì da padroni in carne ed ossa, da intere famiglie (poche) che da anni vivono del plusvalore prodotto dal sudore delle fronte degli operai. Ma non bisogna dirlo, perché questi signori sono quelli che ci danno il lavoro, e fondano enti di beneficenza e istituiscono centri medici privati, di loro proprietà, dove gli operai che si sono ammalati per produrre per loro andranno a curarsi, restituendo così parte del loro salario agli stessi padroni. Poi ogni tanto qualcuno di loro viene sacrificato sull’altare del profitto. “Il padrone dà, il padrone prende”.