Un voto che ci riguarda - di Giacinto Botti

 

La Cgil, per la sua natura e storia di sindacato confederale, non può essere indifferente e non interrogarsi sui risultati delle elezioni amministrative. Ci riguardano. La nostra organizzazione aveva messo in evidenza la frattura tra politica e società reale; sentivamo la solitudine, l’estraneità delle persone che rappresentiamo e delle tante che incontriamo ogni giorno. Abbiamo denunciato con preoccupazione il pericolo, in mancanza di risposte sociali ed economiche alternative di sinistra, di un’uscita dalla crisi a destra.

Più ancora dei risultati deludenti per la sinistra in generale, il dato politico più significativo e preoccupante delle sconfitte nelle roccaforti storiche è l’astensione massiccia, la ripulsa di popolo verso tutti i partiti, che investe particolarmente il nostro mondo, e penalizza la sinistra politica e sociale. Disaffezione e disincanto verso la democrazia rappresentativa sottovalutati per l’arroganza e l’irresponsabilità di un segretario divisivo che ha ridotto il proprio partito a strumento personale, senza radicamento, identità, e senza un popolo di riferimento.

L’astensione trova alimento nella cattiva politica, fatta di partiti autoreferenziali che pensano di sopravvivere escludendo milioni di cittadini dal voto democratico. La politica non si regge sull’esclusione, sulla non partecipazione e sulla diseguaglianza tra cittadini. Questa è la degenerazione della democrazia costituzionale, la deriva valoriale e partecipativa che qualsiasi democratico, progressista e di sinistra dovrebbe contrastare con forza. E’ una protesta silenziosa ma lacerante del tessuto democratico, degli assetti istituzionali di rappresentanza, che coinvolge tutti i ceti, in particolare quelli popolari. E’ un’emergenza democratica non percepita da politici che si azzuffano sui campanili conquistati con il voto di una minoranza di popolo. Per loro gli astenuti non contano neppure se sono maggioranza. Non si pongono l’interrogativo su chi rappresenta chi e per che cosa e su come invertire questa tendenza.

La Cgil non può sottrarsi a questo contesto e deve aprire, nel prossimo percorso congressuale che si concluderà entro la fine del 2018, un confronto plurale e unitario anche sull’autonomia e sul rapporto con la politica e con i partiti, consapevoli del bisogno di una sinistra politica di massa che abbia al centro il lavoro. Sono questioni dirimenti e strategiche per l’organizzazione. Non è separatezza o indipendenza dalla politica, ma un’autonomia nuova esercitata con proposte di valore, con l’orizzonte strategico del Piano del lavoro e della Carta dei diritti universali, con le mobilitazioni sui tanti fronti contro le scelte del padronato e del governo, forti della nostra confederalità e dei nostri pluralismi.

Mancano i soldi per la scuola, per la sanità, per i servizi sociali, per i settori industriali e produttivi più in difficoltà dopo dieci anni di crisi? Dai palazzi della politica, e da (quasi) tutti i commentatori dei media, viene invariabilmente risposto che lo Stato, a causa del debito pubblico, non può fare di più. Poi però succede che 17 miliardi della collettività vengono messi a sostegno di almeno 10 miliardi di crediti inesigibili, e per altri 5 miliardi a un’azienda privata come Banca Intesa, che si prenderà la parte buona delle due banche venete e lascerà i debiti ai contribuenti. Negli Usa, Bloomberg Tv chiede al ministro Padoan “se l’operazione sulle banche venete pubblicizzi le perdite per privatizzare i profitti”. “Non è un salvataggio - è la laconica risposta – tutto è stato fatto secondo le regole”.

Sempre negli Usa, il Wall Street Journal annota che l’accordo rafforzerà gli utili di Intesa del 5-7% entro il 2020, senza costare un centesimo. Infatti le azioni della banca sono subito salite di alcuni punti percentuali, aumentando la sua capitalizzazione di almeno un paio di miliardi. Serve a far capire un po’ più dell’Italia odierna il fatto che le osservazioni di Bloomberg, bibbia del capitalismo mondiale, siano identiche a quelle di Sinistra italiana e Rifondazione comunista: “Si procede con un salvataggio in cui la logica della privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite è spinta a livelli parossistici”, segnala il Prc. Mentre Si aggiunge: “Si poteva e doveva percorrere un’altra strada: l’ingresso pubblico nel capitale delle banche per gestire, insieme ai crediti in sofferenza, anche gli asset”. Che genereranno utili. Ma il governo risponde: “Chi parla di regalo ai banchieri fa solo cattiva propaganda”.

La fanno anche Bloomberg e il Wall Street Journal?

Contratto, non mance - di Andrea Montagni

Caso Federdistribuzione: continua la concorrenza sleale nel fronte padronale, a danno delle lavoratrici e dei lavoratori.

I lavoratori della grande distribuzione alimentare (anzi, come la chiamano i padroni, la “moderna distribuzione organizzata”) si trovano ad affrontare una situazione di difficoltà, determinata dalla contrazione dei consumi iniziata con la crisi e che tuttora perdura; dalle conseguenze delle liberalizzazioni che hanno portato al proliferare di punti vendita di medie e grandi dimensioni nell’arco di pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, perfino delle stesse catene, e che hanno finito per collassare; dall’arrivo di multinazionali portatrici di “modelli” di relazioni sindacali e di gestione del personale che affiancano, alla tradizionale fidelizzazione del personale (tipica del modello Esselunga), il ricorso al precariato su vasta scala, utilizzando tutte le forme di lavoro discontinuo e poco tutelato. La vicenda voucher-Carrefour è stata, da questo punto di vista, esemplare.

In questa situazione, si è prodotta una divisione all’interno della rappresentanza padronale. I grandi marchi della distribuzione alimentare hanno fatto secessione da Confcommercio, costituendo Federdistribuzione, e hanno deciso di non applicare il contratto collettivo di lavoro 2015-18 siglato il 30 marzo 2015 da Confcommercio con i sindacati di categoria Filcams, Fisascat e Uiltucs. La decisione di Federdistribuzione, in assenza di un rinnovo contrattuale, mette a rischio previdenza e sanità integrativa, gestiti oggi attraverso la bilateralità.

Il risultato è stato che si è creato, dentro la stessa categoria, uno squilibrio tra le retribuzioni dei dipendenti delle aziende che restano affiliate a Confcommercio (la stragrande maggioranza) e quelle dei lavoratori delle aziende affiliate a Federdistribuzione, che continua ad applicare le tabelle contrattuali del contratto scaduto nel 2014.

Il 24 ottobre scorso, su richiesta della organizzazione datoriale, Confcommercio Imprese per l’Italia e i sindacati di categoria hanno concordato di sospendere l’erogazione della tranche di aumento contrattuale prevista con decorrenza dal mese di novembre 2016. E’ una situazione nella quale i padroni si destreggiano, mentre i lavoratori e il sindacato sono in crescente difficoltà.

Mentre aziende dell’associazione procedono in modo unilaterale sul fronte degli orari di apertura dei negozi, provano a rimettere in discussione gli integrativi, procedono sulla via delle contrazioni di personale, Federdistribuzione si sottrae al confronto contrattuale; ma al fine di spegnere la conflittualità, ha proceduto ad erogare, in due tranche, 45 euro come elemento distinto della retribuzione.

I 15 euro elargiti a maggio 2016 senza alcun accordo con i sindacati, e i 30 euro che si accingono a mettere nella busta paga di luglio, non sono che una parte degli aumenti garantiti ai lavoratori dipendenti delle imprese aderenti ad altre associazioni datoriali. In questo modo persistono disparità di trattamento e discriminazioni inaccettabili. Infatti gli incrementi che le imprese di Federdistribuzione si sono rese disponibili a riconoscere unilateralmente sono inferiori a quelli previsti dal rinnovo del contratto nazionale di Confcommercio, sottoscritto a marzo del 2015.

“La decisione di elargire ai propri dipendenti un aumento unilateralmente traccia un solco profondo. Federdistribuzione non può pensare di essere moderna decidendo autonomamente quanto salario concedere e quando elargirlo”, ha sottolineato la segretaria generale della Filcams, Maria Grazia Gabrielli.

L’unica strada che resta alla Filcams Cgil è quella della mobilitazione dei lavoratori in tutta la rete della grande distribuzione organizzata, continuando a rivendicare caparbiamente il contratto, ridando al salario il suo valore, e ponendo fine a questa padronale pratica di elargizione, che non compensa né il lavoro né la professionalità e offende la dignità di chi accoglie tutti i giorni con un sorriso i clienti, e assicura la disponibilità delle merci e la qualità del cibo non confezionato nelle gastronomie, nelle macellerie, nelle peschiere e nelle panetterie.

Un’alleanza fra lavoratori e utenti per il trasporto pubblico del Lazio - di Cecilia Casula

Nasce un patto di consultazione tra sindacati e comitati degli utenti.

Il 20 giugno scorso la Cgil di Roma e del Lazio, insieme a Filt e Fillea di Roma e del Lazio, ha organizzato un convegno su mobilità e infrastrutture della nostra regione, per cercare di fare il punto anche e soprattutto nell’ottica del pendolarismo. Per la prima volta in maniera progettuale ci siamo misurati sull’analisi, le criticità e soprattutto l’elaborazione di proposte, abbracciando una visione di sistema che parli, necessariamente, a tutti i soggetti coinvolti su questi temi: lavoratori e lavoratrici, aziende, istituzioni e utenti, invitando ad una discussione apparsa fin da subito non rituale né fine a sé stessa.

Preziosi si sono rivelati i contributi dei relatori. Sbilanciamoci! ha presentato uno studio molto dettagliato sullo stato dell’arte dei trasporti pubblici a Roma e nel Lazio, partendo dalla domanda e dall’offerta dei trasporti nella regione, passando alla descrizione delle strategie nazionali e regionali. Gli interventi dei portavoce dei vari comitati pendolari e, certamente più tecnici e di merito, della Filt e della Fillea, avevano una sottile linea rossa che li univa tutti: mancanza di strategia univoca da parte delle istituzioni locali; fondi sempre meno garantiti e mirati; infrastrutture inadeguate, e piani elaborati dai rappresentanti istituzionali spesso poco strategici e poco comprensibili.

L’obiettivo della Cgil di Roma e del Lazio e della Filt è sicuramente quello di fare un passo in avanti e mantenere vivo un confronto, un reciproco riconoscimento, stimolo e collaborazione fra chi nei trasporti ci lavora e chi ne usufruisce. Quello che in questa giornata è stato presentato come “patto di consultazione” tra Cgil, Filt, Rsu-Rsa del trasporto pubblico e numerosi comitati pendolari (Roma-Ostia, Roma nord e Roma-Nettuno su tutti), ne è la prima testimonianza fattiva.

Si tratta di un’ alleanza niente affatto scontata, e anzi temuta da chi continua a voler creare divisioni, cercando di far passare il messaggio che cittadini, utenti e lavoratori siano tre entità distinte e separate, così da evitare sistematicamente di attribuire a chi ha il potere politico e gestionale le vere responsabilità di un sistema di servizi in profonda crisi. Un patto, appunto, che muovendosi da richieste e bisogni che spesso si sovrappongono e sono coerenti tra loro, veda una rinnovata unità d’intenti.

Gli obiettivi comuni sono chiaramente definiti: la richiesta, in prima istanza, di un forte impulso al trasporto su ferro; una integrazione ferro-gomma e una regia unica per tutto il trasporto nel Lazio; l’acquisto di materiale rotabile moderno; la programmazione dettagliata delle manutenzioni ordinarie e straordinarie; la certezza degli investimenti e dei tempi di attuazione; l’adeguamento del contratto di servizio sulla base di indicazioni congiunte. Avanti così.

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