Kohei Saito, Il capitale nell’antropocene, Einaudi, pag. 297, euro 19.
Con il consueto ritardo, è arrivato in Italia un nuovo importante contributo del filosofo marxista giapponese Kōhei Saitō, “Il capitale nell’antropocene”, che nel suo paese d’origine ha avuto un grande successo, con oltre cinquecentomila copie vendute, soprattutto tra un pubblico giovanile.
Il libro prosegue la ricerca sull’ecologismo di Marx già presente nel precedente successo editoriale di Saitō, “L’ecosocialismo di Karl Marx”, di cui Sinistra Sindacale si è già occupata (https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-2-2024/3042-l-analisi-marxiana-del-rapporto-societa-natura-di-gian-marco-martignoni).
Il libro è utile non solo per la continuazione della ricerca e divulgazione di quanto l’autore - insieme ad altri ricercatori impegnati nella monumentale pubblicazione in cento volumi della Mega2 - sta studiando negli “Appunti di ricerca” di Marx contenenti i quaderni di scienze naturali, una parte dei duecentocinquanta quaderni in corso di pubblicazione critica.
Sviluppando ulteriormente il lavoro del volume precedente, Saitō analizza e continua il pensiero di un tardo Marx che, secondo l’autore, avrebbe superato l’impostazione positivista e “prometeica” del “primato della produzione” e l’eurocentrismo ad essa collegata, per centrare la sua ricerca e proposta sul “ricambio metabolico con la natura”. Il centro, appunto, della “conversione ecologica” di Marx.
Ma la forza - e anche qualche debolezza e ingenuità - del lavoro di Saitō sta più ancora che nella parte teorica - sulla quale, peraltro, non ho strumenti di conoscenza sufficienti per un approfondimento - nella critica pratica al capitalismo, e a quello che definisce il “modello keynesiano applicato al clima”.
Saitō argomenta alcune affermazioni perentorie: l’“antropocene” è la fase più alta di un “modello di vita imperiale” imposto dal Nord del mondo al Sud globale, che ha consentito anche un relativo benessere alle classi lavoratrici occidentali basato sullo sfruttamento delle masse popolari dei paesi terzi. Ma la sua capacità di “traslare” i costi e le contraddizioni del suo modello, esternalizzando lo sfruttamento e i danni ecologici verso le periferie e verso le generazioni future, o illudendosi che sempre nuove tecnologie “sostenibili” gli consentiranno comunque una crescita illimitata, si scontra in tempi sempre più ravvicinati con l’irreversibilità della catastrofe climatica. Al punto che, se non avanzerà una radicale alternativa, “prima che il capitalismo crolli, sarà la Terra a giungere alla fine”.
Con altrettanta nettezza, Saitō bolla gli Sdgs - obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’Onu nel 2015 - come ‘oppio dei popoli’: “Sono in grado di mutare le condizioni ambientali del pianeta? No, neanche quello funzionerebbe”. In realtà “offrono una sorta di alibi, con il solo effetto di far distogliere lo sguardo dalla crisi che abbiamo sotto gli occhi”. Con dovizia di riferimenti scientifici, e attraverso l’analisi marxiana del capitalismo e della sua stessa essenza, Saitō spiega con chiarezza perché per il capitalismo e nel capitalismo è impossibile risolvere la crisi climatica. Infatti “il capitalismo trasforma l’uomo e la natura in bersagli da saccheggiare”, rendendo la Terra un luogo inabitabile.
Ancora rifacendosi agli appunti e agli scritti del tardo Marx, l’autore avanza una reinterpretazione dell’idea di comunismo, evoluzione-rivoluzione necessaria alla costruzione di una società davvero compatibile con l’equilibrio della natura. Come l’ha definita Paolo Cacciari, in un intervento sull’agenzia “Comune Info”, “un’idea di ‘società dei produttori associati’ che operano in cooperazione tra loro e in unione con la natura. Un comunismo ‘comunitario’, mutuale, che mira a dare risposte ai bisogni essenziali delle persone”.
L’idea, cioè, della “decrescita comunista” - che l’ultimo Marx avrebbe preconizzato - per la quale Saitō propone e delinea cinque punti fondamentali: “Il passaggio ad un’economia del valore d’uso”, “La riduzione dell’orario di lavoro”, “L’abolizione della divisione standardizzata del lavoro”, “La democratizzazione del processo produttivo”, “L’importanza dei lavori essenziali”.
La parte forse più interessante e innovativa del libro contiene anche qualche ingenuità e debolezza, laddove Saitō cerca di indicare soggetti ed esperienze che starebbero già praticando un percorso di valorizzazione dei beni comuni e di comunismo della decrescita, in particolare per la specifica vicenda di Barcellona, o per il riferimento un po’ superficiale e acritico al ruolo delle cooperative.
Restano però l’indicazione di fondo, “il comunismo della decrescita salverà il mondo”, e l’avvio di una demistificazione della lettura pauperistica del comunismo - autogestionario e comunitario, in questo caso - e della decrescita: è il capitalismo il “responsabile della mancanza di risorse per il 99 per cento della popolazione”. E ancora, “il capitalismo è un sistema che produce costantemente scarsità”, al contrario il comunismo, attraverso i beni comuni, “tende ad un certo tipo di abbondanza”.