Kohei Saito, L’Ecosocialismo di Karl Marx, Castelvecchi, pagine 385, euro 22.
Con il classico ritardo dell’editoria italiana, è ora finalmente disponibile la tesi di dottorato del filosofo giapponese Kohei Saito “L’Ecosocialismo di Karl Marx”, pubblicata meritoriamente dalla casa editrice Castelvecchi, che ha suscitato un vasto dibattito internazionale, anche perché un altro libro dell’autore, “Capital in the Anthropocene”, ha venduto cinquecentomila copie nel paese del Sol Levante, tradizionalmente anti-comunista.
Cosa ha originato un successo editoriale di tale portata è presto detto: innanzi tutto, al di là degli incoscienti o prezzolati negazionisti, la crisi ecologica del pianeta è un fatto ormai acclarato da una molteplicità di rapporti, di cui quelli redatti annualmente dall’Ippc (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’Onu) risultano tra i più autorevoli, mentre è palese l’inconcludenza delle svariate Cop che pure si susseguono ogni anno.
In secondo luogo, diversamente da quanti hanno descritto Marx come prometeicamente votato allo sviluppo tecnologico ed economico illimitato, quindi per un dominio assoluto dell’uomo sulla natura, Saito rileva come il carattere sistematico dell’ecologia di Marx è un elemento fondativo e inscindibile della sua critica dell’economia politica.
Infatti, nelle ricerche svolte alle università di Berlino e della California, Saito è andato alla scoperta di un Marx decisamente trascurato, quello dei quaderni di scienze naturali, che sono solo una parte dei duecentocinquanta quaderni che sono ora in corso di pubblicazione in trentadue volumi da parte dei curatori della Mega2.
Come è noto, il secondo e terzo volume del Capitale furono curati da Friedrich Engels dopo la morte di Marx, mentre il filologo marxista David Riazanov, direttore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca, si limitò, per varie ragioni, ad una parziale pubblicazione di quei quaderni nei quindici volumi originari della Mega1.
Lo sviluppo teorico del suo pensiero condusse Marx, dopo il 1868, nella sua impressionante sete di conoscenza, a confrontarsi, solo per fare qualche esempio, con i testi di Roland Daniels, di Justus von Liebig, di Wilhelm Roscher, di Carl Nikolaus Fraas, poiché, per evitare qualsiasi determinismo economico, le fratture del metabolismo uomo e natura erano “sempre esistite lungo l’intera storia delle civiltà”.
Non a caso fu Liebig ad avanzare una prima critica ecologica all’agricoltura di rapina, stante la violazione della legge di compensazione naturale dei suoli per via delle coltivazioni intensive e lo squilibrio rispetto alle condizioni di vita sia dell’operaio urbano che del lavoratore agricolo determinato dal rapporto tra città e campagna.
Al contempo Marx, avendo colto la netta incompatibilità tra il regime della proprietà privata e la possibilità di una produzione sostenibile da trasmettere alle future generazioni, inquadrò la legge dei rendimenti decrescenti come una “manifestazione specifica delle contraddizioni del capitale”. Inoltre, la scuola fisica di Fraas aveva analizzato le influenze del clima e dei diversi contesti geografici: perciò da un lato svilupperà una critica serrata all’utilizzo dei fertilizzanti relativamente alla reintegrazione delle sostanze inorganiche nel suolo, che è variabile a seconda dell’ambiente preso in esame; dall’altro lato individuerà nel disboscamento delle foreste la causa dell’incremento delle temperature, e quindi dei cambiamenti climatici che provocano il fenomeno della desertificazione.
Infine Marx, attraverso i testi dello storico Georg Ludwig Maurer e lo studio del russo, approfondirà l’analisi delle società pre-capitalistiche, unitamente alle forme di produzione delle comunità rurali russe e germaniche. Questo approfondimento gli permetterà di comprendere la questione nodale dei limiti naturali e le caratteristiche di uno stile di vita sostenibile ed egualitario, in quanto nel momento in cui la terra diventa oggetto di traffico o di commercio - un tema che Marx ha affrontato nella sezione del Capitale dedicata alla rendita fondiaria - emerge l’alienazione determinata dalla dissoluzione dell’unità originaria dell’uomo con la terra. Allo stesso modo di come si configura nell’analisi del processo lavorativo la dissociazione estraniante dei produttori dalle condizioni oggettive della produzione.
Quindi, il merito di Saito è proprio quello di sottolineare il carattere oltre misura perturbante del capitalismo rispetto al ricambio organico tra uomo e natura, dato che le relazioni economiche sottomesse al processo di reificazione sono la causa scatenante della sempre più evidente “destabilizzazione dei nostri ecosistemi”. Nemmeno la cecità dell’Occidente può di fatto occultare i dodicimila disastri ambientali registrati nel mondo tra il 1970 e il 2021, con oltre due milioni di morti nei paesi in via di sviluppo.