Bernardo Arévalo inizia il mandato come presidente del Guatemala - di Vittorio Bonanni

Fallito, finora, il golpe bianco per impedirne l’insediamento.

Sarà una presidenza difficile, per usare un eufemismo, quella di BernardoArévalo de Leon. Sociologo di 64 anni, socialdemocratico, lo scorso 14 gennaio si è insediato alla presidenza del Guatemala, con Karin Herrera in qualità di vice. Uomo ambizioso, ha collocato come primo punto del suo programma la lotta alla corruzione. Ma uno dei suoi primi compiti sarà anche quello di mettere in condizioni di non nuocere i principali attori del tentativo di quello che si può definire un vero e proprio golpe istituzionale, messo in atto contro di lui dalla procuratrice generale Consuelo Porras, per la quale Arévalo chiederà immediatamente l’arresto.

Altro compito sarà quello di riportare in patria i trentacinque avvocati, giudici e procuratori andati in esilio volontario durante l’ultima presidenza di Alejandro Giammattei, uomo di destra accusato di voler indebolire appunto l’indipendenza della magistratura.

Il percorso faticoso che ha portato il leader socialista alla prima carica istituzionale del Paese centroamericano è cominciato il 25 giugno scorso, quando aveva al primo turno delle elezioni ottenuto il 16% dei consensi, contro il 12% di Sandra Torres, moglie dell’ex-presidente Alvaro Colon (2008-2012) leader del partito Unità Nazionale della Speranza (Une), che aveva promesso programmi di assistenza sociale senza disdegnare - ed è stato questo il suo errore - il sostegno della destra e degli evangelici, oltre che di Giammattei.

Ma, come dicevamo, fin dalla sua prima affermazione nel primo turno è scattato il boicottaggio. Il primo atto il 12 luglio, quando un giudice aveva chiesto la sospensione del suo partito Semilla (Seme) per presunte irregolarità nella raccolta delle firme nell’atto della sua fondazione nel 2017. Ma il 18 agosto, a soli due giorni dal ballottaggio, la Corte Costituzionale aveva sospeso questa decisione, dando così il via libera al secondo turno e impedendo di fatto un possibile arresto di alcuni dirigenti di Semilla, minacciato dal procuratore Rafael Curruchiche, a capo della Sezione Speciale contro l’Impunità, per le citate irregolarità. Uomo a sua volta accusato di corruzione dagli Stati Uniti che, durante tutto questo tormentato percorso, hanno sempre sostenuto Arévalo.

Vale la pena sottolineare che Curruchiche è un indigeno maya/kaqchikel, origini che non gli hanno impedito di schierarsi con quel pezzo delle istituzioni guatemalteche nemiche dei diritti dei nativi. Il procuratore aveva anche chiesto l’annullamento tout court delle elezioni e la loro ripetizione, oltre al tentativo di spiccare un mandato d’arresto, mai messo in atto, nei confronti della vicepresidente eletta Karin Herrera.

Finalmente, al secondo turno del 20 agosto, arriva la vittoria di Arévalo con il 59,5% dei consensi, pari a 2,3 milioni di voti, mentre Torres si è fermata al 35,8% dei suffragi (1,4 milioni di voti). Il tentato “colpo di Stato” senza armi, che in altri tempi si sarebbe risolto con un bagno di sangue, aveva provocato la reazione di studenti e organizzazioni della società civile a partire dalle associazioni indigene, le quali in un primo momento non avevano sostenuto Arévalo in quanto rappresentante della classe media bianca, presentando Thelma Cabrera come loro candidata. Ma al secondo turno questa diffidenza è venuta meno.

A mettere fine al calvario è stata, due settimane prima dell’insediamento, la Corte Costituzionale che, pur senza sciogliere del tutto i nodi di carattere giuridico, ha comunque confermato la legittimità della vittoria del fondatore di Semilla inimicandosi, come dimostrano le minacce di morte contro uno dei giudici membri della Corte, gli oligarchi che regnano nel Paese da tempo immemorabile, e i cartelli della droga che con questi “dialogano” da tempo.

A sostenere Arévalo in questo percorso sono stati anche quegli Stati Uniti che, settant’anni fa, sostennero un colpo di Stato che rovesciò il governo democratico e nazionalista del presidente Jacobo Árbenz Guzmán, mettendo così fine al cosiddetto decennio della Rivoluzione democratica iniziata nel 1944, che per ben sette anni vide alla presidenza della Repubblica il padre di Arévalo, Juan José. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva comminato sanzioni e sospesi i visti ad personam, oltre al congelamento dei conti correnti, ai giudici legati al sistema politico guatemalteco, provvedimento poi esteso ad altre centinaia tra funzionari, imprenditori privati e a 108 deputati. Un appoggio importante che dovrà essere continuativo, e che tuttavia potrebbe essere messo in discussione da Donald Trump qualora si affermasse, come si teme, alle elezioni di novembre.

 

 
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