Nuovi e vecchi diritti per cambiare l’ordine delle cose - di Vincenzo Greco

Attualità e attualizzazione dello Statuto dei Lavoratori.

Bene ha fatto Salvo Leonardi nello scorso numero di Sinistra Sindacale (https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-10-2024/3206-lo-statuto-dei-lavoratori-54-anni-dopo-quale-eredita-per-le-sfide-dell-oggi-di-salvo-leonardi) a mettere in connessione la memoria, la storia delle lotte collettive e politiche che hanno portato, non senza contraddizioni nel campo della sinistra politica, alla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori.

Sempre nel suo articolo troviamo un utile legame agli eventi successivi in tema di diritti e rappresentanza che si traducono anche nelle iniziative più recenti della Cgil, come quella della attuale raccolta di firme su quattro quesiti referendari, passando anche dal tentativo della legge di iniziativa popolare dal titolo ‘Carta universale dei diritti dei lavoratori’, tentativo tecnicamente ancora in essere salvo il fatto che non vi è stato, dal 2017 ad oggi, nessun calendario parlamentare che abbia preso in esame la proposta corredata da due milioni di firme.

Ci sono voluti circa venticinque anni di lotte sociali e politiche per ‘portare la Costituzione in fabbrica’. Meno degli stessi anni per assistere alla promulgazione di norme che hanno progressivamente minato l’efficacia materiale di quel patto che oggi non possiamo che definire di alto profilo.

Il linguaggio della modernità (?), unitamente ad una malsana idea di competitività (di fatto giocata sul lavoro), sono stati la base culturale di un processo di ‘restaurazione’ che non ha cancellato lo Statuto dei Lavoratori, ma ne ha pregiudicato alcuni elementi essenziali della sua efficacia.

La cosiddetta flessibilità nei rapporti di lavoro ha prodotto una precarietà diffusa le cui vittime incolpevoli sono le figure più fragili della società, i giovani e le donne. La leva della precarietà ha di fatto sostituito la svalutazione monetaria come strumento per avere un sistema economico nazionale raccontato come più competitivo.

Gli ideologi di questa ricetta neoliberista, accompagnati da qualche presunto rappresentante di una sinistra politica moderna, hanno accentuato le disuguaglianze sociali, determinando un progressivo impoverimento di lavoratrici e lavoratori.

Questo processo, favorito dall’assenza di politiche industriali e dal rigorismo nei bilanci dello Stato, ha anche prodotto ulteriori diseguaglianze sul piano dei diritti, a partire da quello alla salute (ma non solo) che è stato balcanizzato nelle differenze regionali e compresso nell’idea delle prestazioni divenute ‘essenziali’.

Ripartire dal lavoro, dai diritti di chi lavora, diventa la necessità per cambiare questo ordine delle cose.

L’attualità delle ragioni che hanno portato allo Statuto dei Lavoratori richiama alla necessità di un’azione culturale, sociale, politica che ridefinisca un’idea, seppur attualizzata, dei diritti sociali.

L’iniziativa referendaria della Cgil, la campagna che definisco delle quattro ‘i’ (Illegittimo come il licenziamento senza reintegra per effetto delle tutele crescenti, Ingiusto come il massimale per i licenziamento illegittimi nelle imprese sotto i sedici dipendenti, Immotivato come il contratto di lavoro a tempo determinato senza causali, Impunito come il caso di deresponsabilizzazione del committente in caso di infortunio sul lavoro in presenza di appalto), non può che essere una parte di un’azione più generale che deve essere sviluppata nella società italiana.

Nuovi e vecchi lavori, nuovi e vecchi diritti, sapendo che il nuovo e il vecchio non sono categorie politiche o sociali.

 

 
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