Nel ricordo di Peppino Impastato. Lotta alla mafia e per i diritti dei palestinesi - di Federico Antonelli

Il 9 maggio 1978 non avevo ancora compiuto 13 anni; ero a scuola e durante l’ora di italiano, mentre la nostra amata professoressa Della Sciucca ci parlava di letteratura italiana, entra una bidella e dice: “hanno ritrovato Moro, è morto”. Interrompemmo le lezioni e tutti noi ragazzi fummo radunati in assemblea per discutere di ciò che era accaduto. La nostra era una scuola sperimentale, e l’idea praticata dagli insegnanti era quella di trasmettere sia le nozioni di base che cultura e consapevolezza sociale. Quelle erano ore drammatiche per il paese.

In quella situazione passò quasi in silenzio un fatto altrettanto importante: io non ricordo nulla della morte di Peppino Impastato, la mia mente di bambino era assorbita da ciò di cui parlavano gli adulti, e alla televisione si parlava solo dell’omicidio di Aldo Moro. Il tempo ha restituito però giustizia a un uomo, un giovane uomo che ha pagato con la vita la lotta al potere mafioso.

Quel ragazzo viene ricordato ogni anno nella città di Cinisi (la sua città) come un esempio mai venuto meno di impegno politico e sociale. Anche la mia consapevolezza è cresciuta con il tempo, e quando il compagno Saverio Cipriano ci ha accolto all’aeroporto di Palermo e come primo atto ci ha condotto al casolare dove fu ucciso Giuseppe Impastato, l’emozione è stata fortissima.

Ogni anno le compagne e i compagni de “Le radici del sindacato” si ritrovano a Cinisi, alle porte di Palermo, per svolgere la propria assemblea nazionale e omaggiare la vita del giovane esponente politico ucciso. In questa occasione, nel 2024 ho avuto il piacere e la fortuna di essere ospite e poter seguire i lavori: tre giorni in cui si è parlato di mafia, di Palestina, di accoglienza e di diritti. I dibattiti sono stati tutti di grande spessore e interesse, con esponenti della politica e della società che hanno offerto spunti di riflessione approfonditi e originali.

Sulla mafia i diversi interventi hanno spiegato di come oggi l’apparente calma sia il segnale della salute delle organizzazioni mafiose, che prosperano grazie a una rete di affari ramificati in molteplici ambiti di iniziativa, sia criminale che apparentemente legali. La mafia è stata descritta come un’organizzazione che muta con il mutare della società ma che non abbandona mai la propria radice violenta ed opprimente.

Il tema della violenza israeliana in Palestina è stato oggetto di più interventi. Dall’identificazione dell’identità culturale dei palestinesi, popolo ricco di storia e cultura, alla loro lotta in patria e all’estero, alle differenze di status di questi cittadini che hanno sempre diritti molto limitati se non completamente assenti. Il genocidio in atto - è stato ben raccontato - non è frutto soltanto degli interventi militari che distruggono infrastrutture e uccidono persone costantemente, ma anche della negazione dell’esistenza di un popolo e della sua storia.

La cultura ha connesso i diversi argomenti affrontati nei tre giorni di lavoro: la cultura della mafia che uccide Peppino Impastato e permea la società, la cultura della legalità a volte rifiutata anche da giovani che vedono nei boss criminali degli eroi da idolatrare, infine la cultura di un popolo che se viene annientata e tenuta nascosta permette di giustificare anche la più efferata delle guerre di aggressione.

Infine la cultura dell’accoglienza, su cui l’intervento di Mimmo Lucano ha saputo accendere un riflettore denso di emozione. Un uomo, Lucano, che ha pagato pesantemente la propria idea di umanità e di accoglienza e che oggi, dopo aver ritrovato una parte della giustizia che merita, con la chiusura dei processi a suo carico, può finalmente tornare a praticare in prima persona.

Il terzo giorno è stato quello dedicato alle manifestazioni in memoria della vita, e della morte, di Peppino Impastato. Ogni anno il corteo di giovani, associazioni, sindacati e forze politiche democratiche si ritrova di fronte alla sede di Radio Aut, la radio da cui Peppino con i suoi compagni di Democrazia Proletaria combatteva la propria lotta alla mafia, e percorrono la strada che porta a “casa memoria”, la casa dove viveva la famiglia Impastato e dove oggi è allestito il museo che ricorda l’opera del compagno Peppino. Un fiume di ragazzi molto giovani che offrono una speranza alternativa a quella descritta anche nel corso del convegno, su cui si dovrà continuare a lavorare per il futuro.

Quest’anno la manifestazione è stata chiusa dal compagno Luigi Giove, della segreteria nazionale Cgil. Un positivo fatto nuovo che conferma il compimento del percorso della Cgil – sempre in prima fila nella lotta alla mafie – nel pieno riconoscimento della lotta e del sacrificio di Peppino e della sua famiglia.

In definitiva tre giorni di lavoro interessanti, importanti. Un’occasione per abbracciare compagni con cui condividiamo la stessa radice storica, e un rapporto umano e politico che non deve mai venire meno. Il mio grazie a Saverio Cipriano, il compagno che organizza nella sua amata Sicilia l’assemblea, e che mi ha invitato a partecipare all’iniziativa.

 

 
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