Democrazia, partecipazione, mobilitazione per rafforzare ruolo e funzione del sindacato - di Andrea Raschia

La lettura, sul numero 9 di Sinistra Sindacale, dell’efficace resoconto del seminario di Lavoro Società (https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-09-2024/3176-lavoro-societa-la-sinistra-sindacale-oggi-e-domani-di-leopoldo-tartaglia) consegna interessanti spunti di ulteriore riflessione. Ecco alcune prime considerazioni che provo così a richiamare in modo crudo, per dovere di chiarezza.

È un fatto che, di fronte a cambiamenti profondi, sono venute meno capacità e forza per mettere in campo pensieri lunghi e organizzare risposte adeguate. Come si legge nell’articolo, sembrano prevalere logiche di autoconservazione, segno di sostanziale resa dinanzi a processi epocali. Certo, l’assenza di sponde politiche non fa che ingigantire le difficoltà. Guai a nasconderle, però: sono imputabili in larga misura a responsabilità nostre.

Davanti alla condizione del lavoro - crollo del potere di acquisto dei salari; contratti collettivi senza rinnovo da lustri; contrattazione aziendale e territoriale negata, mentre non passa giorno senza contar vittime fuori e dentro la fabbrica -, di fronte a tutto ciò, siamo proprio sicuri di svolgere al meglio ruolo e funzione?

Il sindacato nasce per fare contratti, incrementare salari, salvaguardando la salute dei lavoratori. Proprio per questo abbiamo il dovere del dubbio. Ancor più se si proclamano scioperi cui i lavoratori non sembrano aderire con trasporto. Insomma, registriamo seri problemi che non possiamo più affrontare aggiungendo polvere sotto il tappeto.

Diciamola tutta, con l’attuale gruppo dirigente sarebbe stato impensabile dar vita e gestire fasi che, nel recente passato, hanno visto l’organizzazione mettere in campo robuste reazioni a inique politiche neoliberiste consentendo al Paese in primo luogo di non sprofondare. Ricordo molti di quei protagonisti, per fortuna voci di minoranza, sostenere allora che la Cgil occupasse spazi impropri (sic!).

Ricordo però anche un confronto libero e aperto di cui oggi si è persa memoria. Emblematica, rappresentazione plastica di quella concezione, nel 2016 l’esposizione della Carta dei diritti alla Facoltà Politecnica Marche: dinanzi al folto pubblico di studenti l’allora segretario regionale, dopo l’efficace introduzione, replica alle domande. “E se la raccolta di firme non avesse riscontri?” La risposta non lascia dubbi sulla mission sindacale: “Noi abbiamo consegnato al Parlamento la proposta di legge. Adesso tocca all’istituzione”. Non è un caso che i diritti restano al palo insieme a quel milione di firme, no?

Bene fa l’articolo a richiamare discriminazioni che pesano tutt’ora e danno il segno del restringersi di spazi di discussione. Il pensiero critico non sembra albergare più neanche dalle nostre parti, proprio nel momento in cui ce ne sarebbe tanto bisogno. Siamo evidentemente lo specchio di una società smarrita che non sa ove volgere lo sguardo, esposta come preda ai pifferai di turno.

Riunioni di assemblee generali dalla scarsa vitalità, assai poco rappresentative di realtà complesse con spazi invece da occupare, iniziative da svolgere, partecipazione da stimolare. Proprio quando servirebbe. Ripeto: tutto ciò non sembra nelle corde di chi ha responsabilità in particolare nel territorio.

Senza ripartire da qui, difficile ricostruire il potere del sindacato. Finiremmo solo per piangerci addosso. Serve invece un’opera che deve vedere ogni singola energia attivarsi in modo collettivo. Uno sforzo generale per ridare smalto, credibilità e autorevolezza ad una azione collettiva ispirata da rinnovata consapevolezza, capace di indicare la strada e di suscitare impegno, passione ed entusiasmo.

Anche la stessa questione salariale, rivendicazione che deve assumere carattere strategico, può trovare efficaci risposte ripartendo da qui. Proprio in queste ore tornano alla ribalta situazioni aberranti di lavoro povero. Ad esempio, centomila lavoratrici e lavoratori della ristorazione scolastica, paghe da fame! Sul tema, vogliamo parlare del caso Ancona? Centocinquanta addetti circa, tanto part time involontario. Non ho più deleghe per seguire la questione ormai da qualche anno, credo però di esser stato tra gli ultimi a denunciare anche questa condizione di lavoro anonimo, non riconosciuto, mal pagato; in continua evoluzione negativa, a sentir novità: assunzioni da 1,45 ora giornaliere! Ancor più grave che tra gli stessi interessati prevalga paura, insicurezza, silenzio.

A questo siamo. Ecco cause di malessere e inquietudine che minano la coesione sociale. Ripartire da qui per una battaglia generale, dal valore politico, per ridare forza a un soggetto sindacale finalmente in grado di far ripartire la società.

 

 
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