Un anno di guerra dimenticata in Sudan - di Sinistra Sindacale

Sono bastate poche settimane dal 15 aprile 2023 – giorno di inizio dei combattimenti nella capitale Khartoum – perché il mondo si dimenticasse del Sudan e della guerra in corso tra l’esercito governativo (Saf) e le truppe paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf). Eppure quest’ultima guerra ha causato finora circa 15mila morti, molti dei quali civili. Gli sfollati sudanesi sono circa 10,7 milioni (su una popolazione di circa 42 milioni), il numero più alto al mondo, di cui più di due milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. Il 50% dei bambini, almeno 14 milioni, ha bisogno di aiuti umanitari. Circa il 65 % della popolazione non ha accesso ad assistenza sanitaria, e il 70% delle strutture ospedaliere nelle aree coinvolte nei combattimenti non è più funzionante.

Si tratta di un nuovo capitolo in una storia attraversata da decenni di guerra civile. Ad aver ottenuto la maggiore esposizione mediatica, a causa del disastro umanitario che lo ha accompagnato, è stato il conflitto armato in Darfur, iniziato nel 2003.

Alla fine del 2018 una rivoluzione popolare ha posto fine ai 30 anni di governo di Omar al-Bashir, che guidava il Paese dal 1989. Un anno più tardi, nonostante le pressioni civili per un cambio di regime e le massicce proteste, al-Bashir è stato deposto con un colpo di Stato organizzato da un’alleanza tra il capo dell’esercito regolare, Abdel-Fattah Al-Burhan (Saf), e le forze paramilitari (Rsf) comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come “Hamedti”.

Il primo, già stretto alleato di Bashir e comandante militare delle sue campagne in Darfur, ha presieduto il Consiglio militare di transizione finalizzato all’instaurazione di un regime democratico fino a ottobre 2021, quando con un colpo di Stato ha rovesciato il primo ministro civile Abdalla Hamdok. Il governo Bashir aveva reso possibile la scalata al potere anche di Hemedti, diventato leader della milizia in seguito diventata Rsf.

Burhan ha firmato accordi di normalizzazione con Israele e mantenuto relazioni diplomatiche con l’Egitto e gli Stati del Golfo, perseguendo una politica estera di impegno con gli Stati Uniti, principale donatore del Paese. Hamedti, invece, ha perseguito un’agenda indipendente, stringendo alleanze con i gruppi ribelli del Darfur e del Sud Kordofan e con i mercenari Wagner – dopo aver promesso ai russi una concessione per una base navale sul Mar Rosso – e costruendo un vasto impero economico basato sul commercio dell’oro e sull’estrazione del petrolio.

Le Ong denunciano che il lavoro umanitario sta diventando sempre più difficile. In una nota, Medici senza frontiere afferma che “il Sudan sta affrontando una delle peggiori crisi mondiali degli ultimi decenni, un colossale disastro causato dall’uomo”. Emergency riferisce che Khartoum, la capitale, è una città fantasma e che Port Sudan (seconda città e più importante porto del Paese) sembra ormai un vasto campo profughi, ospitando più di 500mila sfollati.

La risposta umanitaria, infatti, è rimasta tragicamente inadeguata: solo il 5% dei fondi richiesti sono stati stanziati, rendendo disperata una situazione già critica, in cui le autorità sudanesi bloccano sistematicamente la consegna di aiuti in alcune aree, mentre le Rsf saccheggiano strutture sanitarie e forniture. Finora i donatori internazionali hanno destinato al Sudan meno di un millesimo degli aiuti stanziati per l’Ucraina.

Attualmente armi e milizie si riversano in Sudan dai confini con il Ciad, dalla Libia e dalla Repubblica Centrafricana, e attraverso il Mar Rosso. Secondo diverse fonti, anche mercenari provenienti da Russia e Ucraina appoggiano ora questa ora quella milizia, mentre la competizione per l’accesso alla terra e alle risorse del sottosuolo alimenta le violenze.

Sul paese incombe il rischio carestia: secondo un rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) la malnutrizione acuta colpirà la maggior parte del paese entro giugno, uccidendo mezzo milione di persone. Nello scenario “estremo” previsto dal Clingendael Institute, potrebbero morire fino a un milione di persone.

A causa della guerra, nel 2023 in gran parte del Sudan, in particolare il Darfur, non si è raccolto. La produzione di cereali è crollata, mentre il prezzo dei beni alimentari di base è aumentato fino all’88%. Queste previsioni sono destinate a peggiorare poiché i combattimenti hanno ormai raggiunto il ‘granaio’ del paese, lo Stato di Gezira. A complicare ulteriormente la situazione c’è il fatto che gli scarsi aiuti umanitari non arrivano nelle zone di conflitto. Le organizzazioni internazionali hanno denunciato molteplici ostacoli e la volontà dei gruppi armati di controllare tutto ciò che entra ed esce dalle zone sotto il loro controllo.

Al momento, le speranze che qualcosa intervenga per salvare il paese dal baratro sono minime e guardano verso il Cairo, dove sono in corso colloqui per un cessate il fuoco.

 

 
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