India: le elezioni più grandi e più lunghe del mondo - di Giovanni Monaci

Le elezioni politiche in India si svolgono ogni cinque anni: quelle di quest’anno, iniziate il 19 aprile, riguardano la Camera bassa del Parlamento indiano, la Lok Sabha, composta da 543 seggi. Il partito, o la coalizione, che riuscirà a ottenere la maggioranza di 272 seggi potrà nominare il proprio candidato come primo ministro e formare il governo.

Il capo del governo in carica Narendra Modi, leader del partito conservatore Bharatiya Janata Party (Bjp), sembra essere lanciato verso un terzo mandato, risultato che avrebbe solo un precedente nella storia dell’India democratica, quello del primo leader dell’India indipendente, Jawaharlal Nehru.

Sono circa 970 milioni gli aventi diritto al voto. Parliamo di circa il 10% dell’intera popolazione mondiale, più della somma delle popolazioni di Stati Uniti, Unione Europea e Russia. Tra questi, 18 milioni votavano per la prima volta: l’India è un Paese giovanissimo, con un’età media di circa 28 anni. Nel 2019, alle elezioni ha votato il 67% degli aventi diritto.

Il processo elettorale si è concluso il 1° giugno, e i risultati dovrebbero essere annunciati a breve. Sono state allestite oltre un milione di cabine elettorali in tutto il Paese, per far sì che ogni elettore avesse a disposizione almeno un seggio nel raggio di due chilometri.

La competizione elettorale è stata dominata dai due maggiori partiti politici indiani: il Bjp, attualmente al governo, e l’Indian National Congress (Inc, più noto come Congress), attualmente all’opposizione. Dopo aver governato all’inizio degli anni Duemila, il Bjp è salito al potere per la seconda volta nel 2014 sotto la guida di Narendra Modi, precedentemente capo di Stato del Gujarat. Da allora governa con la coalizione National Democratic Alliance (Nda), che nel 2019 ha ottenuto una vittoria schiacciante: maggioranza assoluta al Bjp con 303 seggi parlamentari, saliti a 353 per l’intera coalizione.

Il principale partito d’opposizione, il Congress, ha governato il Paese per più di cinquant’anni dopo l’indipendenza, ma si trova ora in una situazione di stallo. Nel tentativo di impedire un’altra vittoria di Modi, il Congress ha formato un’alleanza con altri 28 partiti dell’opposizione (compresi i principali partiti regionali) dando vita alla coalizione Indian National Developmental Inclusive Alliance (India). Il volto del Congress e principale sfidante di Modi è Rahul Gandhi, nipote di Indira e pronipote e Nehru.

I temi su cui si è giocata la campagna elettorale sono stati molteplici, differendo spesso da Stato a Stato tra i 28 Stati federati e 7 territori dell’Unione. Si possono però individuare tematiche comuni quali la disoccupazione, l’economia e gli agricoltori, il welfare, la corruzione, il nazionalismo religioso.

L’economia indiana, nonostante una crescita intorno al 6%, sta incontrando difficoltà nel creare abbastanza posti per il flusso annuale di circa otto milioni di nuovi ingressi nel mercato del lavoro. La disoccupazione colpisce soprattutto i giovani (under30), che rappresentano circa il 53% della popolazione totale. Alla fine del 2023, il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 20 e i 24 anni era del 44,9%, mentre quello complessivo era dell’8,7%, anche se va tenuto conto dell’amplissima e maggioritaria fetta di lavoro informale, soprattutto femminile, che rende “evanescenti” molte statistiche ufficiali.

L’agricoltura impiega la maggior parte della forza lavoro indiana, circa il 40% della popolazione, ma è il settore che meno contribuisce alla crescita del Pil. In Stati agricoli, come il Punjab e l’Uttar Pradesh (200 milioni di abitanti), l’aumento del debito degli agricoltori ha portato a massicce proteste, diventate ormai una costante degli ultimi anni. Si sono ripetute più volte grandiose marce e “occupazioni” della capitale Delhi da parte di migliaia di piccoli agricoltori e braccianti agricoli. Le richieste degli agricoltori includono l’aumento dei loro redditi e l’istituzione di prezzi minimi, che garantiscano loro almeno il 50% di guadagno sugli acquisti governativi di alcune colture.

Il governo del Bjp ha posto al centro della sua campagna elettorale la realizzazione di un nuovo tipo di programma di welfare, impegnandosi in quello che gli economisti hanno definito “nuovo assistenzialismo”. Il governo ha sovvenzionato la fornitura di beni essenziali come l’elettricità, gli alloggi, i conti bancari e il gas da cucina, oltre a sussidi in contanti, in un Paese che continua ad avere il record mondiale per numero di abitanti in povertà assoluta. La forza e la continuità dei programmi di welfare sono uno degli elementi chiave su cui poggia il consenso del Bjp.

Anche la lotta alla corruzione è un terreno di forte battaglia politica. L’agenzia governativa che indaga sui sospetti di riciclaggio di denaro ha convocato, interrogato o arrestato nell’ultimo decennio quasi 150 politici dell’opposizione, contro solo una mezza dozzina di politici del Bjp. L’arresto più eclatante è stato quello del capo del governo di Delhi, Arvind Kejriwal, esponente di spicco dell’opposizione. Modi sostiene che le agenzie sono libere di investigare, portando avanti la sua politica di “tolleranza zero” verso la corruzione, ma l’opposizione lo accusa di abusare delle agenzie governative, strumentalizzandole a fini politici.

Uno dei fili conduttori delle politiche dell’attuale governo è il nazionalismo induista, un aspetto molto caro a Modi, che si è presentato al Paese come paladino degli induisti, la comunità religiosa maggioritaria e principale base di sostegno elettorale del Bjp. A gennaio di quest’anno, Modi ha guidato la consacrazione di un grande tempio dedicato al dio indù Rama in un sito che si ritiene essere il suo luogo di nascita, ma che prima ospitava una moschea, abbattuta da un gruppo di fondamentalisti indù nel 1992. Questo episodio si è aggiunto ad una serie di azioni controverse di cui il governo si è reso protagonista, che hanno suscitato rabbia e preoccupazione nella minoranza musulmana. Il governo ha, tra l’altro, interrotto il sostegno federale alle scuole musulmane. Soprattutto, il governo ha introdotto una legge sulla cittadinanza fortemente criticata in quanto discriminatoria nei confronti dei musulmani.

Nel corso degli ultimi vent’anni, l’India ha assistito alla crescita costante di un movimento nazionalista religioso induista, un fenomeno che include questioni identitarie e nazionaliste. La conformità religiosa non è mai stata di particolare importanza per gruppi come il Bjp per cui l’induismo rappresenta, invece, un simbolo di identità nazionale (del resto il suo nome è traducibile come “il partito del popolo indiano”). Dall’elezione di Modi nel 2014, gli oltre 200 milioni di indiani musulmani (circa il 15% della popolazione) hanno dovuto affrontare crescenti ostilità, anche istituzionalizzate in alcuni Stati governati dal Bjp.

Il governo Modi ha respinto le accuse di pregiudizio nei confronti dei musulmani indiani, ma azioni come la revoca dell’autonomia del Kashmir – regione a maggioranza musulmana – nel 2019 e in generale il diffondersi di un clima di intolleranza hanno sollevato dubbi sui reali obiettivi dell’amministrazione. Molti osservatori ritengono che dietro di esse si celi un’agenda etno-nazionalista, specialmente considerando lo stretto legame che il primo ministro e molti esponenti del Bjp hanno con il Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), un’organizzazione di estrema destra con l’obiettivo dichiarato di rendere l’India una nazione hindu.

Il governo guidato dal Bjp è stato accusato di aver fatto regredire i diritti civili in India, imponendo un giro di vite sul dissenso, sui media indipendenti ed esercitando pressioni su attivisti, oppositori e difensori dei diritti umani. Osservatori indipendenti hanno espresso preoccupazione per il fatto che la magistratura e le agenzie esecutive indiane siano sottomesse alla volontà di Modi, emettendo verdetti favorevoli a personaggi vicini al Bjp in casi cruciali e incriminando i leader dell’opposizione.

Molti osservatori internazionali hanno declassato la democrazia indiana a “regime ibrido”, che non è né una piena democrazia né una piena autocrazia. È innegabile che, nei dieci anni di governo Modi, le libertà civili dei cittadini indiani siano state minacciate, che le proteste, anche pacifiche, siano state spesso represse con la forza e che la stampa indiana, per quanto ancora molto vivace, abbia subito pressioni e minacce dagli organi governativi. Le violenze contro la minoranza musulmana sono in aumento e il sistema giudiziario del Paese appare sempre più allineato con il potere esecutivo.

In un prossimo articolo vedremo quale quadro politico e di governo è emerso dalle urne.

 

 
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