Clicca sulla copertina per scaricare il pdf
- Visite: 439
La fase sociale e politica che stiamo vivendo è caratterizzata per un verso dalle prossime elezioni politiche e dall’altro dal persistere ed estendersi degli scenari di guerra, dalla crisi climatica e dalla ulteriore distruzione dell’apparato industriale e manifatturiero del paese, che aggrava l’impoverimento della maggioranza del mondo del lavoro e dei ceti popolari all’interno di una polarizzazione sociale e territoriale che mina le basi stesse della democrazia.
La battaglia contro il caro vita deve essere al centro della nostra iniziativa.
Forse rinazionalizzare le aziende del settore energetico è necessario, forse la stessa cosa va fatta per tutti i servizi pubblici locali, forse bisognerebbe rilanciare il mercato interno e riedificare un sistema di economia mista che veda i settori fondamentali per la riproduzione sociale ed il benessere collettivo di pubblica proprietà.
Noi siamo per uscire definitivamente e radicalmente dalla narrazione tossica e dalle scelte scellerate della lunga stagione neoliberista.
La stampa, i commentatori televisivi e la classe politica hanno mostrato grande attenzione per le posizioni della Cgil espresse e ribadite dal segretario generale Maurizio Landini all’attivo dei delegati di Bologna del 14 settembre - e confermate nell’intervento di oggi - nei confronti del passaggio elettorale. Un’attenzione malevola tuttavia, che travisa in maniera fastidiosa ed interessata quanto detto e scritto, dipingendo una Cgil ed il suo segretario come indifferente rispetto alla destra ed alla sinistra, equidistante pure.
La Cgil è di sinistra, antifascista, come lo sono tutte le cose che sono scritte nella nostra carta fondamentale e che cerchiamo di praticare ogni giorno. Il tema posto è qual è - e se esiste-, nella sfera della politica, la forza, le forze, lo schieramento o il polo che rappresenti la sinistra del lavoro, che metta cioè al centro della sua azione e delle sue scelte i bisogni materiali e le condizioni concrete che vivono i lavoratori nei luoghi di lavoro. E se esista oggi uno schieramento, dopo la fine del governo Conte II, elettoralmente e politicamente competitivo nei confronti del centrodestra, che sia permeato e permeabile dalla questione sociale, dai milioni di poveri senza lavoro e poveri pur lavorando.
Un mondo al quale parlano e danno risposte il reddito di cittadinanza reso universale ed il salario minimo orario per via legislativa che si incardini sui contratti e sulla legge della rappresentanza.
I valori ed i programmi della destra sono incompatibili con quelli della Cgil, ma nelle forze che non stanno in quel campo chi può vantare e rivendicare scelte di governo ed iniziative che hanno migliorato le condizioni materiali dei lavoratori e dei pensionati ed hanno riconosciuto nei fatti – non a parole – il ruolo delle organizzazioni sindacali?
E soprattutto, quali forze hanno credibilità nei confronti del mondo del lavoro e riscuotono ancora fiducia dal mondo del lavoro?
Il Jobs act è sempre lì, come il taglio delle agibilità nei settori pubblici o dei trasferimenti ai patronati per garantire a lavoratori e pensionati di esercitare i loro diritti senza doversi rivolgere ad avvocati, medici e commercialisti.
Questo il punto: sinistra è chi sinistra fa.
L’astensionismo al cinquanta per cento è un grave problema democratico, l’astensionismo selettivo che vede le classi medie ed alte partecipare al voto in maniera ben più robusta del mondo del lavoro e delle classi popolari è la prova provata che quel mondo, che è il mondo della Cgil, non trova forze politiche e schieramenti dove potersi riconoscere e militare. Questo è il punto.
E nessuno pensi di cavarsela ignorando, con un senso di superiorità etica o brandendo – anche quando non strumentalmente - temi fondamentali come i diritti civili, il risentimento anche rancoroso che si muove ed anima molti degli sconfitti della globalizzazione. Quel moto parla ai nostri fallimenti ed alla nostra incapacità.
Dobbiamo tornare ad intrecciare il nostro cammino con il “popolo dell’abisso”.
Questa discussione e questa campagna elettorale si svolgono in un quadro internazionale che ha di fronte a sé due scenari: un mondo multipolare che si riaggrega per aree sovranazionali in una prospettiva di coesione pacifica o la corsa alla terza guerra mondiale per tentare da parte della potenza declinante di utilizzare lo strumento militare per riproporre un mondo a guida unipolare ed euroatlantica. Essere per la pace significa il no all’invio delle armi all’Ucraina, la soluzione diplomatica, la riduzione delle spese militari.
Occorre lavorare per costruire una grande mobilitazione che arrivi ad una Manifestazione nazionale promossa dalle donne e dagli uomini di buona volontà.
La crisi ambientale miete vittime, e gli scampoli del governo Draghi propongono risposte inutili se non addirittura dannose. Venerdì 23 settembre si svolgerà lo sciopero per il clima promosso dai Fridays For Future: saremo con loro, cercando di portare coerenza nei territori e nelle categorie tra quanto affermiamo sia necessario e quel che pratichiamo a partire dalle energie rinnovabili, le comunità energetiche, il cambiamento delle produzioni e degli stili di vita, consapevoli che l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio.
Al cuore di tutto c’è e ci deve essere il primato della questione sociale. Chi produce la ricchezza, come la produce, quali sono le catene globali del valore, come si disarticola il lavoro protetto e quello del capitalismo delle piattaforme, come resistere al corrosivo mondo dell’imprenditore di se stesso e delle retoriche manageriali, dove la disoccupazione è una colpa individuale e dove non ci sono alternative al realismo capitalista.
Bisogna passare dal possibile al necessario, è questa la cifra che proponiamo per la sinistra sindacale confederale a venire, alla quale proponiamo a tutte e tutti gli interessati di cominciare a lavorare assieme.
È questa una sfida di tutta la Cgil.
Maurizio Landini nel suo intervento ha detto che avrebbe paura di una Cgil di cinque milioni di persone che la pensano tutte allo stesso modo.
Compagno, ci siamo qua noi. Anche per questo.
Rilanciamo la Cgil unita e plurale. Unita nei valori e nelle pratiche, confederale come traduzione dell’esser soggettività politica autonoma del Lavoro, plurale nei punti di vista sul mondo e sulla società, dove il marxismo ed il pensiero sistemico di figure come Karl Polanyi possono dare oggi più di ieri un grande contributo, assieme a tutte le teorie critiche del capitalismo reale.
Una Cgil che assuma nel proprio statuto e nelle proprie pratiche il valore e la normalità di compagni e compagne che collettivamente e pubblicamente, da un congresso all’altro, elaborano e propongono all’interno della casa comune.
Perché c’è bisogno di contributi attivi e non di consuetudini rispetto alle discontinuità che ci impone il tempo presente.
Allora, più e oltre che la ripulitura della linea politico-sindacale, siamo chiamati a cambiare il nostro modello organizzativo, il ruolo delle Camere del Lavoro e lo stesso profilo categoriale per essere capaci di parlare - e rappresentare organizzandolo - a quella gran parte del mondo del lavoro che è fuori dai nostri confini.
Ed è un dato sia sociologico che di culture del lavoro. Noi siamo una delle poche organizzazioni di massa rimaste, ma questa forza ci deve dare l’umiltà di sapere che non bastiamo a noi stessi.
Il mondo del lavoro di questo paese, gli esclusi dal lavoro, i precari disoccupati cassintegrati lavoratori poveri e quanto il dominio del capitale ha disgregato, diviso e messo contro ha bisogno di una Cgil ancora più forte, che innalzi il Lavoro al centro della scena sociale e politica indicando una prospettiva di trasformazione sociale che metta la produttività del lavoro al servizio della liberazione degli uomini e delle donne.
Il Capitalismo non è la fine della Storia.
Grazie dell’ascolto.
La Pubblica Amministrazione e tutti i servizi pubblici a partire dalla fine degli anni ‘90 sono stati gradualmente ed inesorabilmente impoveriti. La cosiddetta stagione delle esternalizzazioni e privatizzazioni inizia da lì.
Ma cosa ci ha insegnato la pandemia? Che senza pubblico e senza protezione sociale siamo tutti più poveri.
Quando tutto questo incubo sarà finito, ma già da ora, dobbiamo ricominciare a ricostruire sulle macerie che il virus ha provocato. La nostra “rete pubblica” ha retto anche nel momento in cui la “rete familiare”, che per anni ha supplito ai tagli al welfare, non è riuscita ad intervenire, banalmente per le misure di contenimento. Forse è il caso di ripartire da lì, dall’idea che il servizio pubblico è un bene comune e come tale fondamentale, per preservarlo bisogna innovarlo e alimentarlo, farlo crescere e strutturare.
Del resto la creazione della categoria, della Funzione Pubblica viene da una scelta della Cgil, ma soprattutto da un’intuizione di Luciano Lama e dalla convinzione che proprio dopo le grandi conquiste dei diritti di cittadinanza degli anni ‘70, fosse necessario creare una categoria che si occupasse di chi questi diritti li rende esigibili. Le lavoratrici ed i lavoratori del Pubblico Impiego.
Ed è proprio per questo che la Funzione Pubblica Cgil da anni chiede un grande piano straordinario di assunzioni. Perché la fine della gradualità è arrivata, anni di blocchi delle assunzioni e di tagli e privatizzazioni hanno messo in serio pericolo la esigibilità dei diritti di cittadinanza.
Lo abbiamo visto: la gestione della pandemia ha funzionato meglio laddove c’era la Sanità Pubblica e universalistica, quella che, nonostante i tagli, aveva investito sulle risorse territoriali di prossimità e sulla buona comunicazione riguardo ai comportamenti individuali e collettivi.
È necessario assumere tra 800mila ad 1 milione e 200mila lavoratori pubblici, ci vorrebbe una nuova Legge 285, quella che alla fine degli anni ‘70 permise di assumere tanti giovani nella Pubblica Amministrazione, che ora sono andati tutti in pensione.
La FP e la Cgil, lo dicono da mesi: il Pnrr rappresenta un’occasione importante di spesa per investimenti ma se il governo non aumenta la spesa corrente, cioè di bilancio, le risorse stanziate difficilmente saranno spese e diventeranno un grosso affare per le speculazioni private piuttosto che di implementazione dei servizi pubblici, ovvero le infrastrutture sociali ed economiche fondamentali per lo sviluppo. Da tempo diciamo esattamente ciò che sta diventando evidente in queste ore: puoi costruire ospedali e asili nido con i fondi del Pnrr, ma per assumere il personale e per attivare i servizi devi avere un piano straordinario di assunzioni, che siano mirate, per profili professionali, coerenti con la programmazione del Piano, finanziato però con risorse del bilancio dello Stato.
Non è accettabile che, di fronte all’inflazione che cresce e a una crisi economica che rischia di determinare un’emergenza sociale e per il sistema produttivo, si decida da un lato di spendere 13 miliardi in più per le spese militari e non, al contrario, di garantire le risorse alle Regioni per coprire le spese Covid, quelle indispensabili per i contratti di chi nella pandemia ci ha letteralmente salvato la vita, e per le assunzioni nei settori pubblici, che rappresenterebbero non solo una risposta per migliorare la qualità della vita e del benessere per le persone, ma anche uno stimolo immediato all’occupazione e all’economia. Un’economia ad oggi basata in gran parte sulle rendite finanziarie. Di fatto, fino ad ora, le assunzioni messe a bando sono poche decine di migliaia di fronte al fatto che da qui al 2026, anno di realizzazione del Pnrr, ci sarà un vero e proprio esodo: dal Conto annuale, infatti, al 2019 erano 645.266 i dipendenti tra 55-59 anni, 430.540 tra 60-64 anni e 85.212 oltre i 65 anni. Le assunzioni previste, quindi, tra Stato, sanità ed enti locali, saranno a mala pena sufficienti a coprire i pensionamenti, se non c’è un piano straordinario con risorse proprie.
Tutto ciò di cui si discute è incerto, abbiamo le emergenze nei Pronto soccorso, dove il personale è al collasso, e nei territori dove rischiamo la desertificazione del settore pubblico.
In particolare migliaia di Comuni e tanti uffici dello Stato sul territorio, che hanno 2 o 3 dipendenti e qualche contratto precario, oppure personale condiviso con altri enti. Siamo in una situazione da allarme rosso: come si fa a non vedere che l’emergenza è potenziare i servizi pubblici?
Se la crisi economica accelerata dalla dinamica di perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni e dal costo dei prodotti energetici dovesse perdurare, sarà difficile dare risposte ai cittadini senza servizi pubblici.
Per queste ragioni, la nostra mobilitazione deve continuare: ad oggi nessuna forza politica né il Governo hanno messo in agenda il Piano straordinario per l’occupazione nelle pubbliche amministrazioni. Se non si affronta questa priorità non solo sprecheremo le risorse del Pnrr ma soprattutto non saremo un Paese in grado di proteggersi dalle crisi, siano esse sanitarie, economiche e ambientali.
Dove sono gli operai forestali e il corpo forestale dello Stato, che dovrebbero controllare i nostri boschi che bruciano? Non ci sono più.
Quanti sono i Vigili del Fuoco, gli altri “nostri eroi”, che intervengono in tutte le situazioni di pericolo, dall’incidente stradale agli spengimenti e a tutte le calamità naturali che sempre più affliggono i nostri territori? Pochi. Molto pochi, senza mezzi e senza tutela per la loro salute e sicurezza.
Quanti sono gli Ispettori del Lavoro che devono controllare la Salute e la Sicurezza di tutti i lavoratori? Pochissimi, mal pagati e non lasciati liberi di intervenire laddove ce n’è più bisogno. Non bisogna disturbare troppo le aziende.
E ancora, come pensiamo di poter fare una seria e capillare lotta all’evasione e all’elusione fiscale democratica ed indifferenziata se non si permette di operare ai lavoratori dell’Agenzia delle Entrate? Pochi e con strumenti insufficienti. Senza un reale piano di lotta all’evasione.
E a che punto siamo con i servizi pubblici locali? In tutti i manuali di economia si pone l’attenzione su chi se li spartisce: soggetti privati o la collettività? Beni che non sono riproducibili, preziosi e fondamentali per la vita. Devono essere pubblici!
La FP Cgil è stata tra i promotori del referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua.
L’acqua deve essere pubblica.
E invece qual era e qual è lo spirito del Decreto Concorrenza?
Resta di fondo l’idea, inaccettabile, della sussidiarietà del pubblico, visto solo come ostacolo alla concorrenza, di uno Stato che deve operare solo in caso di fallimento del mercato. Il cosiddetto Stato minimo.
Sull’intero sistema dei servizi pubblici locali di interesse generale va profondamente rivisto il sistema di finanziamento e di gestione delle varie modalità di compartecipazione dei cittadini, salvaguardandone i caratteri di pubblicità, universalità, accessibilità su tutto il territorio nazionale. Fermi restando l’impegno e la mobilitazione contro le esternalizzazioni e le privatizzazioni.
Possono andare bene anche le società uniche dei servizi – acqua, rifiuti, e in prospettiva luce e gas - con l’obiettivo di razionalizzare e migliorare la performance per l’utenza e abbassare quanto più possibile le bollette. Ma con l’impennata dei prezzi del gas, con la spinta speculativa in atto è per noi impensabile affidare i beni comuni alle dinamiche della Borsa.
E nel ciclo integrato dei rifiuti?
Bisogna intervenire sulla quantità e sulla qualità: produrre meno rifiuti e migliori per poter permettere il recupero della materia. Questo deve avvenire, evidentemente, cambiando anche il proprio stile di vita. Il ciclo dei rifiuti è dappertutto terreno per la criminalità organizzata, le cosiddette ecomafie. Solo il controllo e la proprietà pubblica può permettere un presidio di legalità e di superare l’attuale dumping contrattuale. Da una parte i lavoratori diretti, pubblici, dall’altra una massa di lavoratori dei servizi in appalto, sulla quale si scarica la competizione tra utente e lavoratori stessi: per poter pagare i lavoratori ho bisogno di avere più soldi e quindi devo aumentare le tasse; si entra così in una logica di mercato.
Meno rifiuti, più impianti per l’economia circolare, allungare la vita dei prodotti. No ai nuovi termo-valorizzatori. Bisogna andare verso la riduzione, tendenzialmente allo zero, per il conferimento in discarica.
La FP Cgil deve essere impegnata perciò a tenere alta la guardia, a proseguire nella sua analisi, nella ricerca e nella sua mobilitazione e vertenzialità, e insieme alla Confederazione, a tutelare tutti i settori coinvolti, continuando nelle mobilitazioni con tutte le reti impegnate ed interessate alla difesa dei servizi pubblici, a garanzia dei diritti universali e di cittadinanza di tutte e tutti.
Allargare il perimetro pubblico, vigilare sull’unità del paese, contro le spinte secessionistiche è il modo per cambiare la qualità dello sviluppo e garantire una democrazia sostanziale.
Solo il pubblico può garantire parità di trattamento, arginare e combattere le disuguaglianze. Unire laddove si vuole dividere.
Contaminiamoci. L’importanza dei servizi pubblici deve diventare patrimonio comune a partire dalla Cgil e da tutte le sue categorie, perché il pubblico è per noi, per i lavoratori, i pensionati, i disoccupati, gli studenti, i migranti.
Noi lo sappiamo e lo dobbiamo trasmettere anche alle nostre figlie e ai nostri figli. l
Care compagne, cari compagni, buona giornata
grazie di essere qui alla nostra assemblea nazionale. Un ringraziamento personale e collettivo al segretario generale, il compagno Maurizio Landini, che oggi è presente nonostante gli intensi impegni e dopo la significativa assemblea nazionale delle delegate e dei delegati di Bologna. Porterà a fine mattinata il suo prezioso contributo a questa nostra iniziativa che, lo sappiamo, si colloca in un momento particolarmente difficile e grave per il Paese, per la nostra rappresentanza sociale e per milioni di persone. Per chi ha pagato e sta pagando la crisi e le emergenze in atto da tempo, e le conseguenze di una folle guerra nel cuore dell’Europa che doveva e poteva essere evitata, e che oggi potrebbe essere fermata se ce ne fosse la volontà politica, se non prevalessero gli interessi e le tendenze belliciste dei potenti della terra.
Questa assemblea precede di pochi giorni una tornata elettorale che potrebbe consegnare il Paese alla peggiore destra, e di poche settimane l’avvio del nostro congresso nazionale, con le assemblee nei luoghi di lavoro a partire dalla prima settimana di ottobre.
Sarà una giornata significativa e impegnativa, un incontro di donne e uomini organizzati nell’aggregazione programmatica di sinistra sindacale “Lavoro Società per una Cgil unita e plurale”, di militanti generose e generosi, coerenti, leali e con forte senso di appartenenza e di responsabilità verso la Cgil e di lealtà verso il suo segretario generale, che abbiamo sostenuto con convinzione e impegno disinteressato nel precedente congresso.
Personalmente posso dire che in questa assemblea ci sono compagne e compagni da cui ho imparato e avuto molto, da cui ho tratto la forza e la convinzione per ricoprire il ruolo di referente che mi è stato affidato, e posso affermare che qui ci sono persone libere e militanti generosi e leali, c’è una parte significativa e importante della storia della Cgil, una ricchezza propositiva fatta di saperi e di esperienze che la nostra organizzazione nel suo complesso dovrebbe maggiormente valorizzare e riconoscere. La Cgil, la nostra confederazione, per attraversare l’uragano che si sta abbattendo sul Paese e in Europa, per sostenere la nostra agenda sociale e le necessarie mobilitazioni, ha bisogno di tutte le iscritte e gli iscritti, di tutte le dirigenti e i dirigenti. Al compagno Maurizio posso sommessamente dire che di noi si può fidare.
Detto questo, confesso che non è stato facile scrivere questa introduzione per il susseguirsi tumultuoso degli avvenimenti che muta continuamente il quadro di riferimento. La Cgil ha molto elaborato, deciso e realizzato dal congresso a oggi e noi abbiamo prodotto decine di contributi, convegni nazionali, documenti e prese di posizione.
La memoria serve a non dimenticare, come spesso ci capita, le cose che facciamo e conquistiamo, a dare continuità alle nostre scelte, perché è ancora troppo ampia la distanza tra quanto scriviamo e quanto coerentemente mettiamo in pratica.
Questa introduzione consegnerà una riflessione al confronto, senza sconti su ciò che penso rispetto alla situazione politica e sociale del Paese e alla deriva e all’arretramento etico e valoriale che ci accompagna da tempo, a partire dalle ragioni e dalle cause che stanno, probabilmente, consegnando il Paese alla destra più oscurantista, omofoba, familista, nazionalista e razzista.
La democrazia è confronto e conflitto tra interessi, ceti, partiti e classi, e la Cgil è un soggetto di rappresentanza sociale con una robusta autonomia. Sappiamo che non ci sono scorciatoie demagogiche e populiste. Per far vincere la democrazia, l’uguaglianza, la civiltà, la giustizia sociale occorre una battaglia politica coerente, capace di reggere la sfida del futuro.
La politica è smemorata, non ricorda i numeri, la realtà del Paese, i dati che vengono pubblicati per poi sparire subito dai giornali e dalla testa di chi dovrebbe intervenire per cambiare le cose.
La pandemia ha insegnato poco o nulla, e i problemi si stanno ripresentando con la solita gravità. Ci sono numeri che indicano la qualità e il livello di civiltà di un paese, mi riferisco alle oltre 1200 morti ufficiali sul lavoro del 2021, alle 116 donne vittime di femminicidio, agli oltre 2000 migranti, donne, uomini, bambini affogati nel Mediterraneo o morti di freddo e di stenti nei lunghi percorsi di fuga dai loro paesi. Vere stragi, omicidi a cui non possiamo abituarci. Il femminicidio, la violenza degli uomini sulle donne, un’emergenza che chiama in causa prima di tutto gli uomini e una cultura patriarcale di pretesa di possesso su una donna.
La strage sul lavoro, morti non bianche ma rosse di vergogna, per cupidigia, avidità, per irresponsabilità e mancanza di umanità di troppi imprenditori, padroni che si sentono proprietari della vita e della dignità delle persone. Per mancanza di controlli, di prevenzione e per leggi sbagliate come il Jobs act che hanno lasciato mano libera e tolto le minime garanzie ai lavoratori per organizzarsi. Non abbiamo mai sentito il presidente di Confindustria, di un’associazione imprenditoriale vergognarsi o almeno richiamare questa piaga sociale.
Come dimenticare il volto di Luana D’Orazio, della giovane operaia e mamma ventiduenne che lavorava in una piccola industria tessile di Prato, straziata da una macchina industriale, l’orditoio, alla quale era stata disinnescata la misura di sicurezza. E la retorica, l’indignazione di quei giorni dei politici, degli amministratori, dei commentatori, insopportabili di fronte alla loro inerzia.
Sono morti senza voce né speranza.
La criminalizzazione dei migranti, braccia da sfruttare, persone da nascondere, le politiche nazionaliste, razziste, di respingimento. Nell’era dei satelliti, delle tecnologie sofisticate, si lasciano morire di stenti migliaia di persone senza volto e identità, senza una sepoltura o un luogo dove i loro cari possano piangerli. Quanta crudeltà e ipocrisia. Una crisi umanitaria, una violazione dei diritti umani che testimonia del degrado, dell’inciviltà dell’Europa e del nostro paese.
Abbiamo davanti l’immagine dolorosa di Loujin, la bambina di quattro anni lasciata morire di sete su un barcone proveniente dalla costa libanese abbandonato alla deriva per giorni. È la conseguenza dell’accordo tra il Libano e Cipro sui respingimenti.
Lo stesso accordo economico-militare sottoscritto dall’Italia con la Libia che porta la firma del ministro Minniti. Obiettivo è far fare il lavoro sporco a un regime che imprigiona, tortura, uccide i migranti nei lager libici. Quell’accordo è stato reiterato dal governo Draghi nonostante le proteste delle associazioni umanitarie e del movimento pacifista e antirazzista.
Alla mamma, alla cristiana Giorgia chiediamo cosa prova dinanzi a tanta disumanità.
I dati Istat e Censis sono allarmanti, fotografano un paese diseguale, rancoroso, con una sofferenza diffusa. Un paese dove il numero dei cittadini che non lavora supera quello di chi lavora, che invecchia con un significativo calo demografico e perde competitività. Le ragioni vanno ricercate nelle condizioni materiali in cui vivono le giovani coppie, le famiglie con redditi bassi, il lavoro precario e il salario misero; non è un caso che al Sud e nei territori più poveri, dove mancano strutture pubbliche, asili e protezioni lavorative e sociali adeguate per le madri e i padri, crollino le nascite. I dati che la politica non vede sono impietosi: 18 milioni di persone a rischio esclusione, 9 in povertà relativa e 5 in povertà assoluta. Ben 10 milioni hanno difficoltà a farsi curare, 4 sono i milioni di lavoratori poveri, 1 milione di minori vive nell’indigenza. Questi i frutti velenosi di oltre vent’anni di politiche liberiste, tagli sociali, fiscalità regressiva, nessuna riforma innovativa di welfare, attacco al sistema pensionistico pubblico, precarizzazione del lavoro, privatizzazione dei beni pubblici, mancati investimenti pubblici e privati. Aumento delle diseguaglianze e darwinismo sociale, criminalizzazione della solidarietà, della diversità, dell’immigrato e delegittimazione della rappresentanza sociale.
Noi abbiamo il diritto di non dimenticare e il dovere di ricordare.
Non abbiamo il dovere del politicamente corretto, ma del politicamente coerente, e il diritto di approfondire il perché siamo uno dei paesi più ricchi con una diseguaglianza di ceto, di genere e di generazione tra le più vistose, perché tra i paesi industrializzati abbiamo i salari più bassi e l’orario più lungo, perché andiamo in pensione più tardi e abbiamo pensioni al limite della sussistenza, perché sono così diffusi il lavoro nero e schiavizzato e la precarietà di vita e di lavoro soprattutto tra i giovani, perché grandi ricchezze sono accumulate nelle mani di pochi e l’evasione e l’elusione fiscale sono così socialmente devastanti. Perché abbiamo una spesa sociale per la scuola e la sanità pubblica tra le più basse, perché il nostro sistema sanitario nazionale è stato abbandonato e svilito, privilegiando quello privato. Perché il nostro tessuto industriale perde sul terreno dell’innovazione e della ricerca, perché si sono privatizzati i settori strategici e i beni pubblici. Perché siamo il paese con più morti sul lavoro e con più malattie professionali.
L’Italia di oggi non è una casualità, è il prodotto di decenni di politiche consociative sbagliate, di scelte liberiste e classiste, di depauperamento del territorio, delle risorse disperse e dello svilimento dei saperi, dell’erosione dei diritti civili e sociali, di abbandono del lavoro e del suo valore, della centralità del mercato e del profitto. Il Paese dove la Costituzione antifascista è stata svuotata, vilipesa e inapplicata tanto dai governi di centrodestra quanto da quelli di centrosinistra, dai governi “tecnici”, di larghe intese e da questo ultimo, dimissionario per scelta e non per obbligo: il governo dei “migliori” con l’uomo solo al comando.
Allora noi che non ci rassegniamo a consegnare il Paese alla destra diciamo che la vittoria o la sconfitta elettorale non si determinano in una campagna elettorale breve, vuota, personalizzata, fatta su promesse irrealizzabili e spot pubblicitari, ma sono il risultato di scelte economiche e sociali fatte, delle classi di riferimento e degli interessi sostenuti, delle coerenze dimostrate. Le persone, i cittadini, le lavoratrici e i lavoratori, i pensionati, molti disillusi e dimenticati, da elettori non dimenticano.
L’egemonia del pensiero liberista ci ha sovrastati, la sinistra l’ha assorbita e fatta propria. Si è perso sul campo culturale e valoriale, si sono perse identità e forza, si sono abbandonati i riferimenti storici, il mondo del lavoro e il proletariato diffuso.
Andremo a votare sapendo che il meno peggio non ci appartiene, rifuggendo dalla protesta di un solo giorno dell’astensione e avendo come pregiudiziale l’antifascismo e come discriminate la guerra. Il nostro faro è la Costituzione e il nostro riferimento l’agenda sociale della Cgil.
L’astensione, con l’infausta legge elettorale vigente, quel “Rosatellum” anticostituzionale oggi rimasto sorprendentemente senza padri, e con il taglio antipolitico e qualunquistico dei parlamentari, premierà solo la destra. Noi ci siamo battuti a suo tempo organizzando un confronto pubblico contro il taglio della democrazia parlamentare, dichiarando ufficialmente, in solitudine e non ascoltati, il nostro voto contrario al referendum del 20 e 21 settembre 2020 per la sua pericolosità, per difendere la Costituzione, la rappresentanza e la partecipazione democratica. Ricordiamo il fronte progressista a sostegno di quel referendum, per questo facciamo fatica a capire chi si accorge solo oggi del suo concreto significato. E non è accettabile che la politica non sia riuscita ad approvare una nuova legge elettorale democratica, proporzionale e di garanzia che sanasse almeno in parte lo scardinamento dell’ordinamento della Repubblica. La stessa Cgil, nel documento del direttivo nazionale, denunciava i pericoli del taglio e la necessità di avere una nuova legge elettorale. Le forze democratiche di governo del presidente Draghi non hanno avuto la sensibilità istituzionale, la determinazione per sanare la ferita inferta. Una mancanza imperdonabile, anche perché già la Corte costituzionale aveva dichiarato non legittima una legge elettorale che “priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti”. Una legge che fu votata da tutti i parlamentari del Pd di Renzi. E non è politicamente accettabile né responsabile verso il Paese dire “io non c’ero”.
Dopo il 25 settembre non staremo in disparte, non ci ritireremo dalla vita sociale e politica. Non lasceremo, dopo il voto, il vuoto. Siamo uomini e donne della Cgil. E l’8 ottobre saremo a Roma, in piazza, a manifestare a un anno dall’assalto fascista alla nostra sede, a ribadire, rimarcare che dalla crisi noi vogliamo uscire da sinistra, con un altro progetto di sviluppo e un’idea forte di società, più giusta ed egualitaria. Abbiamo le nostre piattaforme, le nostre elaborazioni, e abbiamo un congresso che si articolerà per noi su un documento “Il lavoro crea futuro” al quale abbiamo dato il nostro contributo con emendamenti finalizzati a dargli più concretezza e su alcuni temi per noi centrali, a partire dalla guerra. Sosteniamo con coerenza quel documento nel quale ci riconosciamo e pensiamo che, attraverso e dopo la consultazione delle iscritte e degli iscritti, dovrà essere aggiornato, rafforzato rispetto ai cambiamenti politici e sociali che si determineranno, alle conseguenze della recessione e della guerra e alle analisi sulla situazione geopolitica internazionale ed europea.
Noi siamo cittadini informati, elettori consapevoli non da convincere con richiami sul voto utile contro le pericolose destre. Nessun partito ha le carte in regola per tirare la giacchetta alla Cgil, per chiederci di entrare come organizzazione direttamente nella competizione elettorale. Da decenni abbiamo superato le componenti e si è rotta la cinghia di trasmissione con i partiti di riferimento storico. La Cgil non è affatto indifferente né equidistante, ha valori radicati e un’identità precisa che non ha smarrito.
La Cgil è un’organizzazione di massa, plurale e democratica, non è fuori dalla campagna elettorale, ma non è un partito che deve conquistarsi dei voti; è una forza sociale che deve aumentare la sua rappresentanza e migliorare il suo insediamento nei luoghi di lavoro, tra i pensionati, i giovani, le donne, nel territorio. La Cgil era ed è in campo con la sua autonomia, di pensiero e di azione, con la sua rappresentanza, i suoi progetti, le sue proposte e i suoi giudizi rispetto al merito e alle azioni dei governi e non alla loro composizione.
Il 23 marzo del 2002 a Roma, al Circo Massimo, la Cgil ha realizzato la più grande manifestazione del dopoguerra contro le politiche antisociali e anticostituzionali del governo; eravamo tre milioni di persone, cittadini, lavoratrici e lavoratori, pensionati e giovani: un popolo, il nostro popolo. Difendevamo la democrazia, i diritti sociali e civili, il lavoro e la nostra Costituzione. Difendevamo lo Statuto dei lavoratori e con esso il pilastro del diritto rappresentato dall’articolo 18. Quell’articolo 18 che è stato scippato non dalla destra ma dal governo Renzi che, approvando il Jobs act, ha ampliato la precarietà, i demansionamenti e favorito l’impresa mettendo in un angolo il sindacato confederale. Non lo abbiamo dimenticato. Non lo hanno dimenticato i lavoratori, come non abbiamo dimenticato la politica finanziaria del governo Monti e l’approvazione di quella infausta legge Fornero che chiediamo di archiviare perché iniqua e ingiusta.
In sostanza la nostra agenda sociale e politica è questa, quella della Cgil e non quella liberista, mercantile e classista di Draghi che piace alle lobby finanziarie e ai fabbricanti di armi, alle platee selettive del Forum di Cernobbio e del Meeting di Rimini.
A ognuno il proprio ruolo e le proprie responsabilità. Non è la Cgil che deve ricercare il voto degli operai, di chi vive di pensione e ai margini della società, nelle periferie dimenticate, di chi è stato lasciato senza diritti, speranze e garanzie sociali. Le forze progressiste e di sinistra vadano, si interroghino sul perché dell’astensione o di un voto di protesta di strati popolari che guardano a una destra che non migliorerà di certo le loro condizioni sociali. Noi non siamo per l’antipolitica e contrastiamo qualunquismo e corporativismo, siamo per la buona politica della quale sentiamo una grande mancanza, vorremmo partiti di massa che abbiano al centro il lavoro e non il mercato, che rappresentino la parte migliore del Paese, che applichino la Costituzione e non ricalchino le scelte della destra finanziaria e lobbistica.
Mentre si lanciano allarmi sul pericolo fascista e sulle scelte del prossimo governo, è lo stesso Draghi che al meeting di CL ha dichiarato che “il prossimo governo ce la farà, qualunque sia il suo colore politico”. Il banchiere Draghi non ha messo in allarme il mondo occidentale sulla pericolosità del governo di destra, anzi, ha convenuto non solo che la sua agenda economica liberista, il suo filo atlantismo, la sua politica bellicista prona agli Usa non sarà cambiata, ma ha dato consigli e avanzato proposte persino sul nome di alcuni futuri ministri. La destra ha radici profonde nella società italiana perché il Paese non ha mai fatto i conti con il ventennio. E perché la lotta contro ciò che di male il fascismo esprime e rappresenta si è allentata nella società. Non è un caso che lo stesso Draghi abbia messo nel cassetto la petizione popolare firmata da migliaia di cittadini, sostenuta dall’Anpi, dalla Cgil e da tante associazioni democratiche, che chiedeva di far rispettare la Costituzione mettendo fuorilegge le associazioni, i gruppi nazi fascisti che da anni fanno scorrerie nel nostro paese, manifestano negli stadi, nelle piazze, esaltando e propagandando il fascismo. E assaltando liberamente con sicura copertura la nostra sede, devastandola.
Non invochiamo qualcuno che agisca e decida per noi. In una democrazia sana non c’è bisogno di un potere autocratico, dell’uomo solo al comando, del salvatore della patria. Non solo non ci piace l’agenda Draghi, ma non ci piacciono neppure i suoi metodi e il suo pensiero.
Quando le azioni parlano, le parole non contano.
Abbiamo partecipato attivamente a respingere le riforme costituzionali di questi anni che stravolgevano l’assetto costituzionale, cambiavano la natura della nostra Repubblica parlamentare per lasciare spazio a un presidenzialismo strisciante con lo svuotamento del Parlamento. La Cgil, nei suoi organismi dirigenti, ha scelto il 25 e 26 giugno 2006 di entrare in campo facendo campagna referendaria contro la controriforma costituzionale voluta dal centrodestra e da un Presidente del Consiglio pluricondannato e maschilista ossessivo che definiva la Costituzione “bolscevica” e si ispirava al programma piduista di Gelli, riabilitato dalla politica e candidato alla presidenza della Repubblica.
La Cgil si è spesa per difendere la Costituzione e l’assetto democratico istituzionale anche in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma Renzi-Boschi dando indicazione di voto NO. Quella riforma, per fortuna bocciata dal popolo italiano come quella di Berlusconi, era all’insegna di quel presidenzialismo, una pericolosa deriva democratica e obiettivo della destra. Quella riforma voluta dal partito di Renzi.
Noi, come Lavoro Società, il 4 ottobre 2016 organizzammo il primo confronto pubblico a Milano presso la Camera del Lavoro per indicare ufficialmente il nostro “NO di buone ragioni”. Ricordo il salone strapieno dove aprimmo, di fatto, la campagna referendaria della Cgil alla presenza del segretario nazionale Danilo Barbi e di illustri ospiti, tra i quali il professor Carlo Smuraglia, che ricordiamo con affetto, e una donna straordinaria, una costituzionalista di assoluta grandezza scomparsa da poche settimane nell’indifferenza di troppi, la professoressa Lorenza Carlassare, alla quale va il nostro sentito riconoscimento. Troverete un ricordo della sua figura nelle pagine del nostro periodico, Sinistra sindacale.
La stessa riforma del Titolo V del 7 ottobre 2001, voluta dal centrosinistra, fu nefasta. Passò nell’indifferenza e con la partecipazione al voto del 34%. Fu la risposta sbagliata alla pressione della Lega secessionista. La riforma ha ridisegnato e ripartito le competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, riconoscendo la potestà legislativa esclusiva e concorrente con quella dello Stato delle Regioni. Iniziò così l’ubriacatura dei presidenti divenuti governatori. Il principio di sussidiarietà, fonte di profitto per molte associazioni private vicine a Comunione e Liberazione, ha aperto una breccia nella tenuta unitaria del Paese, accelerando la privatizzazione del sistema sanitario pubblico. L’autonomia differenziata, in tutte le sue articolazioni, è al centro del programma della destra; noi l’abbiamo contrastata in solitudine anche nel voto referendario consultivo che si è tenuto nelle regioni del Nord, con Presidenti di destra e di sinistra.
La Carta costituzionale, la sua natura antifascista non va richiamata solo in campagna elettorale, occorre difenderla, applicarla ogni giorno in una lotta costante e coerente. Così non è stato in questi decenni sia per i governi e i partiti di centrodestra che purtroppo anche per quelli di centrosinistra.
La Carta per la Cgil, per noi, noi, è faro, il nostro riferimento sociale, etico, politico e culturale. “La Cgil - recita così il suo Statuto - basa i propri programmi e le proprie azioni sui dettati della Costituzione della Repubblica e ne propugna la piena attuazione”.
La Costituzione è la nostra “Magna Carta”, definita progressiva perché contiene un programma di trasformazione dei rapporti sociali e di classe che si realizza con le leggi attuative conquistate dentro ai processi sociali, nel conflitto partecipato, essenza e motore del cambiamento e della democrazia stessa. L’abbiamo difesa con le mobilitazioni in ogni fase storica da ogni attacco reazionario, piduista e fascista, lo abbiamo fatto per noi e per le future generazioni, per onore e rispetto verso chi si è fatto ammazzare per conquistarla, dai tanti partigiani a dirigenti sindacali e politici come Placido Rizzotto e Pio La Torre, a magistrati come Borsellino e Falcone, a cittadini e militanti come Peppino Impastato.
Molto viene rimosso in questa campagna elettorale, il contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata, alla corruzione è sparito dall’agenda Draghi come dai programmi dei partiti. La questione morale, posta con forza dal segretario del Pci Enrico Berlinguer, non trova più spazio e peso etico nell’agire politico di oggi.
Dopo il risultato elettorale si rischia di avere una “dittatura della maggioranza” in un Parlamento svuotato e poco rappresentativo della realtà politica e sociale di un Paese in cui peraltro l’astensione è ormai il partito maggioritario. A noi non è mai piaciuto il modello di democrazia nel quale pochi finiscono per contare e decidere per tutti. Questa perdita di credibilità della politica e delle istituzioni democratiche non viene presa in considerazione, e la progressiva desertificazione della democrazia partecipata, l’astensione diffusa in particolare tra i ceti popolari, non interessa ai partiti se non secondo convenienza.
Siamo consapevolmente preoccupati della situazione in cui ci troviamo, della crisi di sistema e delle emergenze ambientali, sanitarie, economiche e sociali che ci troveremo ad affrontare come Cgil e movimento sindacale nei prossimi mesi.
La guerra, per quanto rimossa e dimenticata, sta producendo orrori e distruzione, razionamenti e chiusure di attività, impoverimento generale, e sta assumendo dimensioni e intensità talmente preoccupanti che solo degli idioti senza cervello possono pensare che si possa concludere sul campo.
E non si manifesta la benché minima volontà politica di fermarla con l’azione diplomatica, con una capacità di interlocuzione e di proposta che non si riduca all’essere tifosi. Non si muove nulla in quella direzione, mentre si procede imperterriti sulla strada bellicista indicata dai signori della guerra, dell’invio di armi e delle politiche sanzionatorie che colpiranno pesantemente tutti, ma soprattutto la parte più fragile del nostro Paese.
Si rispetti l’articolo 11 della Costituzione!
Non abbiamo bisogno di ribadire che sappiamo chi è l’aggressore e chi l’aggredito, ma siamo persone pensanti e non omologabili, che non metteranno mai l’elmetto in questa guerra per procura e di scontro tra potenze. Lo abbiamo detto e ribadito con la forza dell’analisi e della proposta nella nostra assemblea nazionale “Partigiane e partigiani di Pace contro la guerra, contro il riarmo” in Camera del lavoro a Milano il 6 giugno, e in quella significativa di Bari del 14 aprile presso l’università. Il pensiero unico del conflitto fino alla vittoria è mortale in primis per lo Stato ucraino e per la sua popolazione martoriata. La guerra, la corsa al riarmo inquinerà ancor di più il pianeta a rischio di collasso e affamerà interi popoli
La sproporzione abissale tra forze militari russe e ucraine può essere riequilibrata non inviando armi a una popolazione stremata ma solo con una terza guerra mondiale e l’utilizzo delle bombe atomiche. Allora non ci sarà la fatidica vittoria agognata, ma solo la distruzione della civiltà umana.
La disinformazione di guerra banalizza e rimuove i processi geopolitici in atto. In questa campagna elettorale assistiamo sgomenti alla miserevole afonia sulla guerra e sulla primaria necessità di fermarla. Si rimuove come si rimuovono le emergenze, il vivere e la condizione materiale delle persone. I partiti italiani di governo, di destra e progressisti, hanno il pensiero mortifero della vittoria: una necropolitica che manda al macello giovani militari, popolazioni inermi e che risponde alle lobby delle armi, agli interessi Usa a discapito di quelli europei.
La guerra non è un destino irreversibile, non è accettabile questa deriva umana che procura dolore, sofferenza ansia a persone che amano la vita e vogliono la pace, una retorica bellicista fascistoide, impregnata dell’ideologia del sacrificio per la patria e della figura dell’eroe nazionale. Non a caso la fascista Meloni ha già dichiarato la sua assoluta fedeltà filo atlantista con il mantenimento dell’invio delle armi e l’aumento delle spese militari.
“Ci siamo appropriate della cultura antifascista semplicemente perché eravamo state educate a riflettere criticamente su ogni cosa, ad amare la libertà e ad avversare ogni forma di violenza, soprattutto la guerra”. Questo è il lascito di Carla Capponi, capitano della Resistenza romana, medaglia d’oro al valor militare. Il contributo delle donne nella lotta al nazifascismo non venne mai riconosciuto come avrebbe meritato. Sappiamo la differenza tra destra e sinistra, difendiamo la Resistenza e la storia antifascista, ma non dimentichiamo la risoluzione del Parlamento europeo del 19/09/2019 che sostanzialmente equiparava il nazismo al comunismo sulla base di una versione revisionista della storia dell’Europa, un insulto al popolo russo che ha pagato con ben 25 milioni di morti la resistenza all’oppressore nazista e fascista. Non dimentichiamo che la risoluzione fu votata dai parlamentari italiani del fronte progressista, con la contrarietà motivata dell’allora Presidente del Parlamento, il compianto David Sassoli.
In questo, come in altro, si deve distinguere la destra e la sinistra, il nero e il rosso. Quel rosso che cromaticamente è il colore primario, storicamente colore del riscatto e della lotta del proletariato che noi manteniamo vivo nei nostri valori, che tinge le nostre bandiere e risalta e riempie il quadrato del nostro simbolo. Anche i simboli contano.
L’Europa senza la Russia non esiste, e le sanzioni in atto non hanno l’effetto sperato di chi pensava di mettere in ginocchio la sua economia, la sua forza imperiale e il suo sistema autoritario. La Russia non è isolata a livello globale e sta già costruendo mercati e canali dove piazzare le sue risorse energetiche e le sue materie prime. E ieri e oggi, mentre siamo qui, è riunito il vertice dell’organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, la cosiddetta Sco. Oltre al nucleo base, Cina e Russia, anche India, Pakistan, Iran, Kazakhistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Cioè stati che rappresentano miliardi di persone e un’economia, quella cinese, più grande di quella degli Usa.
Il mondo globale e bipolare come lo abbiamo conosciuto sta scomparendo: prima ne prendiamo atto e prima costruiamo un mondo multipolare, fondato sul rispetto e la solidarietà tra popoli e civiltà, l’interscambio e la ricerca del bene comune globale.
L’Italia dovrebbe guardare oltre il proprio recinto, smetterla di pensare che l’Occidente sia un modello di civiltà, con un’economia al centro del mondo e una moneta, il dollaro, a farla da padrone. Costruiamo l’Europa dei popoli e sociale con un ruolo e un’identità che non sia quella attuale, finanziaria, tecnocratica e priva di prospettiva, succube degli Usa e della Nato.
L’Europa pagherà il prezzo più alto di questo scontro tra potenze, gli stati dipendenti per il gas e le materie prime subiranno conseguenze non governabili con pannicelli caldi e qualche intervento calmierante rispetto alla recessione e all’inflazione galoppanti. L’euro è, non a caso, al minimo massimo rispetto al dollaro. La guerra, se continuerà e assumerà una dimensione globale, si farà sul suolo europeo. L’Europa non deve spegnere la luce ma spegnere la guerra. Allora chiediamo ai segretari di partito, alla politica bellicista: dove ci state portando? In quale inferno ci state cacciando? Cosa sapete dei paesi che dovrebbero fornirci il gas in sostituzione di quello russo, dell’Angola, del Mozambico e dell’Algeria. E della guerra civile che si sta combattendo in Libia e che porterebbe conseguenze non prevedibili per noi e per l’Europa, destabilizzando ulteriormente il Mediterraneo?
Prima di tutto la Pace. Trovare una soluzione diplomatica per la guerra in Ucraina, fermare l’invio delle armi, ridurre le spese militari e riconvertire le fabbriche di armi. Basta con palliativi, interventi tampone e razionamenti demagogici. Occorre un radicale cambiamento con politiche strutturali e scelte lungimiranti, alzando lo sguardo sui fallimenti delle politiche liberiste che mettono al centro il mercato e l’impresa, e scaricano i costi della crisi sul mondo del lavoro e sulla parte più debole della società.
Intervenire subito sulla speculazione finanziaria sull’energia con misure di nazionalizzazione delle aziende del settore. Ripubblicizzare i servizi pubblici locali, beni comuni e monopoli naturali. Trasporto pubblico collettivo, preferibilmente su ferro. Scostamento di bilancio per far fronte al caro vita, insostenibile per le classi popolari e lavoratrici. Rilancio delle energie rinnovabili in tutte le loro forme, eolico, solare, geotermico, idroelettrico, da maree, stop all’utilizzo devastante per l’ambiente di gas liquido, carbone e nucleare.
Lotta per l’aumento dei salari che non passi solo dalla leva fiscale ma dagli aumenti contrattuali, lotta alle rendite immobiliari e finanziarie. Rilancio e rafforzamento del reddito di cittadinanza, reso universale e sganciato dall’uso improprio legato alle politiche attive del lavoro. Legge sulla rappresentanza e ripristino dell’articolo 18 esteso alle aziende con più di 5 dipendenti. Abrogazione delle norme contenute nel Jobs act che hanno devastato il mondo del lavoro assieme ai diritti e al potere stesso dei lavoratori. Rilancio del sistema industriale e manifatturiero all’interno di una riconversione ecologica che riduca i fabbisogni di energia e di materia prima, rilanciando il mercato interno in modo da poter effettuare un’efficace e innovativa programmazione industriale. Ruolo centrale del sistema pubblico, scolastico e sanitario e dei suoi dipendenti da aumentare e da riconoscere. In 40 anni il liberismo, con i suoi tecnocrati e sacerdoti del pensiero unico, ha determinato scelte e assunto poteri propri della politica. Ha deciso le sorti dei paesi e dei popoli e determinato ricchezza e povertà. È la concentrazione della ricchezza e la sua mancata distribuzione a produrre impoverimento e diseguaglianze per milioni di persone. Continuare a sviluppare, generare diseguaglianze è fattore distruttivo della civiltà umana e dello stesso ambiente.
Basta con il silenzio, la rimozione verso l’allarme di tanti scienziati, delle nazioni unite sul pianeta malato che sta continuando a riscaldarsi per mano dell’uomo e a causa di un sistema fondato sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali e l’utilizzo dei fossili. Ci dicono che se non si interverrà entro i prossimi dieci anni sulle emissioni di Co2, l’emergenza climatica si trasformerà in sanitaria e sociale, con desertificazioni e alluvioni. Le temperature alte e la scarsità di acqua non insegnano nulla a questi politicanti.
Se non interveniamo sul modello distorto di sviluppo e di consumo in Italia, in Europa e a livello globale avremo povertà e miseria, e le immigrazioni per fame e disperazione saranno bibliche, inarrestabili, non basterà chiudere i porti, respingere la povera gente o creare una cortina di ferro.
Un ministro incapace, che ha affossato qualsiasi idea di transizione ecologica, energetica e ambientale, oggi pensa al razionamento come risposta alla guerra, dettando un decalogo comportamentale per ridurre i consumi familiari e personali inutile e umiliante, persino classista come ogni politica di austerity. Queste raccomandazioni, queste scelte impositive come l’aumento delle bollette e dei generi alimentari hanno un forte impatto per la popolazione più povera. Non siamo solo in presenza di una crisi petrolifera ma di tutto il sistema energetico. Siamo nel libero mercato, i prezzi non vengono calmierati dagli Stati ma si determinano nel rapporto tra la domanda e l’offerta. I governi europei hanno perso da tempo il controllo diretto dei prezzi, degli investimenti e della pianificazione energetica che determinavano negli anni Settanta. Allora diciamo che oltre che fermare la guerra e avviare programmi che non prevedano l’utilizzo di risorse fossili, l’apertura di centrali a carbone e nuove trivellazioni nel Mediterraneo, se si vuol culturalmente far cambiare lo stile di vita consumistico privilegiando la dimensione del cittadino rispetto a quella del consumatore, se si vuole risparmiare energia, sarebbe utile seguire la proposta della nostra categoria Filcams: si chiudano i centri commerciali e i supermercati alla domenica.
La Cgil è stata protagonista e partecipe in massa nelle piazze in difesa della Costituzione, per il lavoro, per la dignità delle persone, per la difesa del pianeta contro le discriminazioni, la paura, la disumanità, la xenofobia, l’omofobia e il sessismo.
Eravamo in piazza anche a Verona contro la destra integralista, il revanscismo patriarcale, l’attacco alla legge 194, le discriminazioni contro le donne e le persone Lgbtq. I diritti delle donne sono la prima linea dei diritti civili e sociali, sono la misura di ogni democrazia; non sono mai acquisiti per sempre ma conquiste da difendere. Per dirla con Gino Strada “i diritti fondamentali o sono di tutte e di tutti o sono privilegi”.
Infine, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” diceva Seneca. Noi sappiamo dove andare; il nostro faro è la Costituzione, la nostra agenda quella politico-sociale della Cgil, il nostro riferimento il mondo del lavoro, la parte di popolo meno abbiente sulla quale viene scaricato il peso della crisi. Noi vogliamo continuare ad andare in direzione ostinata e contraria. Come aggregazione di sinistra di una Cgil plurale continueremo, con senso di appartenenza e responsabilità, a dare il nostro contributo all’elaborazione di analisi, alla linea politico-sindacale e alle iniziative di lotta e mobilitazione necessarie della nostra Organizzazione.
“Il bene comune” è concretezza, per noi esprime diritti fondamentali sociali e civili, il diritto alla vita e alla cura, il diritto all’acqua e al pane, all’istruzione e alla conoscenza. Il diritto al buon lavoro.
La prima forma di bene comune che gli esseri umani conoscono è la relazione, lo stare insieme, il pensare insieme, l’agire insieme.
Per questo considero bene comune anche la nostra Cgil.
Grazie, per l’attenzione. Buon lavoro l
Pace subito.
Questa deve essere la priorità e l’impegno di tutto il movimento sindacale.
Adoperarsi per un mondo multipolare segnato dalla coesione pacifica, uscendo da unilateralismi euroatlantici e rinascenti nazionalismi che affondano le radici negli Imperi novecenteschi. Soluzione diplomatica per la guerra di aggressione e di procura tra potenze sul martoriato territorio ucraino. Stop all’invio delle armi, battaglia per la riduzione delle spese militari e per la riconversione delle fabbriche di armi.
Impegno per proporre una grande Manifestazione nazionale per la pace, animata dalle donne e gli uomini di buona volontà. L’Italia ripudi la guerra in rispetto della Costituzione antifascista.
Superare le politiche controproducenti delle sanzioni alla Russia, che non indeboliscono Putin e l’economia russa ma innescano processi inflazionistici e recessivi, colpiscono il tessuto industriale e manifatturiero europeo, in particolare di Germania ed Italia, dove il nord del paese è dipendente di materie prime e sostanzialmente un subcommittente del sistema produttivo tedesco.
L’Europa non deve spegnere la luce ma spegnere la guerra.
Intervento immediato nei confronti della speculazione finanziaria sull’energia, che è uno dei fattori dell’aumento insostenibile dei suoi prezzi, con misure di nazionalizzazione delle aziende del settore.
Campagna e battaglia per la ripubblicizzazione dei servizi pubblici locali, molto spesso beni comuni e monopoli naturali.
Centralità, difesa e valorizzazione, con investimenti adeguati e aumento del personale, del sistema sanitario nazionale, determinante nel salvare vite nella fase acuta della pandemia, e del sistema dell’istruzione e della ricerca, elemento fondamentale di formazione, crescita ed esercizio di un diritto primario di ogni cittadino.
Rispetto del referendum popolare sull’acqua pubblica, ancora più fonte di vita necessaria a fronte della crisi climatica e dei sempre più frequenti fenomeni di siccità e desertificazione di aree del paese.
Rilancio del trasporto pubblico collettivo, preferibilmente su ferro, che non è solo Alta velocità ed aree forti del paese.
Recupero risorse dagli extraprofitti di aziende e multinazionali che, con la pandemia e la guerra, hanno fatto e fanno enormi profitti, scostamento di bilancio per far fronte al caro vita, all’aumento folle delle tariffe elettriche e dei generi alimentari, insostenibili per le classi popolari e lavoratrici.
Lotte e mobilitazioni contro il carovita, la recessione, la disoccupazione e la precarietà, per non consegnare la disperazione sociale alla destra sociale e politica ed alla passività.
Fermare la strage, gli assassinii sul lavoro. Morti non per fatalità ma responsabilità di imprenditori irrispettosi delle leggi, della vita e la salute delle persone. Morti per sfruttamento, mancanza di controlli, di prevenzione, di formazione e di cultura della prevenzione.
Rilancio delle energie rinnovabili in tutte le loro forme, eolico, solare, geotermico, idroelettrico e da maree a fronte di quanto si sta cianciando di gas liquefatto, carbone e “nucleare di quarta generazione”. Comunità energetiche in ogni dove, in modo da passare ad un sistema di produzione e di consumo distribuito, utilizzando gli strumenti che la tecnologia mette ormai da tempo a disposizione.
Garantire manutenzione e salvaguardia delle reti per ridurre gli sprechi e ottimizzare l’uso delle risorse.
Lotta per l’aumento dei salari che non passi solo dalla leva fiscale ma dall’azione contrattuale e dall’introduzione del salario minimo, contrasto all’evasione fiscale, alle rendite immobiliari e finanziarie che assommano nel nostro paese ad una cifra pari a 15.000 miliardi di euro.
Aggiornamento e rafforzamento del reddito di cittadinanza, reso universale e sganciato dall’uso improprio legato alle politiche attive del lavoro.
Approvazione della Legge sulla rappresentanza e ripristino articolo 18, esteso alle aziende con più di 5 dipendenti, riprendendo l’elaborazione e le proposte della Carta Universale dei diritti del Lavoro.
Abrogazione delle norme che hanno devastato il mondo del lavoro assieme ai diritti ed al potere stesso dei lavoratori.
Rilancio del sistema industriale e manifatturiero all’interno di una riconversione ecologica che riduca i fabbisogni di energia e di materia, contrastando l’obsolescenza programmata dei prodotti ed il consumismo sfrenato.
Superamento di un sistema produttivo teso sostanzialmente alle esportazioni, rilanciando il mercato interno in modo da poter effettuare una efficace programmazione industriale.
Assunzione di un milione di dipendenti pubblici in modo da poter effettivamente garantire i diritti universali di cittadinanza in modo eguale in tutto il territorio nazionale, allargando in maniera significativa il perimetro pubblico, respingendo qualsiasi proposta di “autonomia differenziata”, strada pericolosa aperta da quella modifica del Titolo V che ha equiparato poteri dello Stato e delle Regioni, favorendo squilibri tra regioni e la rottura dell’unità del paese.
Ripresa di una presenza pubblica in economia che non sia solo programmazione ed indirizzo ma anche proprietà, in modo da dare gambe ad una rinnovata economia mista come indicato dal Nuovo Piano del lavoro elaborato dalla Cgil.
Contrasto alla devastazione del valore del lavoro e al peggioramento delle condizioni materiali di chi vive del proprio lavoro, della propria pensione che ha visto troppo spesso accomunate la destra e le stesse forze e governi che si definivano “tecnici” e di centrosinistra.
Lotta alle mafie, alla criminalità organizzata e alla diffusa corruzione.
Forte intervento sull’emergenza climatica e ambientale, sulle emissioni CO2, sullo sfruttamento e la cementificazione del territorio, e cambiamento del modello di sviluppo e di consumo. Vogliamo un paese che dia il meglio di sé nella prevenzione e non nei tanti disastri annunciati.
Riconoscimento sociale della generazione più anziana, ricchezza di saperi e di memoria, cui va garantita una esistenza attiva e dignitosa e una adeguata assistenza sanitaria e sociale.
Uguaglianza e parità di genere. Difesa dei diritti delle donne a partire dalla legge 194, messa in discussione e inapplicata da troppe Regioni. Diritti e leggi sotto attacco da una destra patriarcale, oscurantista e illiberale e da alcuni presidenti di Regione di centrodestra.
Avviare una politica di accoglienza seria e dignitosa con percorsi di inserimento e leggi che garantiscano il diritto di cittadinanza a chi vive, studia e lavora nel paese.
Fermare le disumane politiche contro l’immigrazione, disdire gli accordi di respingimento con la Libia. Basta donne, uomini, bambini affogati, morti di sete e di fame nel Mediterraneo, o morti di freddo e di stenti fuggendo dai loro paesi. Uomini e donne che per padroni avidi divengono braccia da sfruttare, da schiavizzare e da usare sul mercato per abbassare diritti e salari in una guerra tra poveri.
Questi alcuni dei temi rilanciati a tutta l’organizzazione ed a tutto il mondo del lavoro dall’Assemblea Nazionale dell’aggregazione “Lavoro Società per una Cgil unita e plurale”, alla presenza del Segretario generale, il compagno Maurizio Landini, svoltasi il giorno 16 settembre a Roma al Centro Congressi Frentani.
Un’assemblea partecipata, arricchita da molti qualificati interventi, dall’introduzione e dalla conclusione dei lavori, in cui si è posta, tra l’altro, la necessità di superare limiti e ritardi accumulati e di aumentare la rappresentanza e l’insediamento della Cgil in tutti i luoghi di lavoro, dando riconoscimento e valore al ruolo vitale delle delegate e dei delegati.
Ribadendo l’importanza di andare a votare per le elezioni politiche del 25 settembre e la distanza ideologica, valoriale e programmatica che ci separa dalle forze del centrodestra, riconfermiamo che la Cgil è una organizzazione democratica e plurale con riferimento alla Costituzione antifascista, non è indifferente né equidistante rispetto ai possibili risultati elettorali, e rivendica la propria autonomia di pensiero, di giudizio e di azione.
Come pluralismo di Sinistra Sindacale continueremo a dare nel libero e partecipato percorso congressuale e nella coerente azione quotidiana il nostro contributo all’elaborazione di analisi, alla linea politico-sindacale ed alle iniziative di lotta e mobilitazione proposte dalla nostra Organizzazione e necessarie per rinsaldare il rapporto tra la democrazia e il Lavoro, a partire dalle mobilitazioni del’8 e 9 ottobre prossimi, a un anno dall’assalto fascista alla nostra sede nazionale, di lotta per ribadire la centralità del lavoro e dei diritti, perché dalla crisi vogliamo uscire da sinistra.
Il “bene comune” per noi esprime diritti fondamentali sociali e civili, il diritto alla vita e alla cura, il diritto all’acqua e al pane, all’istruzione. Il diritto al buon lavoro. Bene comune è stare insieme, pensare insieme, agire insieme.
Per questo consideriamo bene comune anche la nostra Cgil.
Come sempre, al lavoro allo studio ed alla lotta.