Conclusioni - di Maurizio Brotini

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La fase sociale e politica che stiamo vivendo è caratterizzata per un verso dalle prossime elezioni politiche e dall’altro dal persistere ed estendersi degli scenari di guerra, dalla crisi climatica e dalla ulteriore distruzione dell’apparato industriale e manifatturiero del paese, che aggrava l’impoverimento della maggioranza del mondo del lavoro e dei ceti popolari all’interno di una polarizzazione sociale e territoriale che mina le basi stesse della democrazia.

La battaglia contro il caro vita deve essere al centro della nostra iniziativa.

Forse rinazionalizzare le aziende del settore energetico è necessario, forse la stessa cosa va fatta per tutti i servizi pubblici locali, forse bisognerebbe rilanciare il mercato interno e riedificare un sistema di economia mista che veda i settori fondamentali per la riproduzione sociale ed il benessere collettivo di pubblica proprietà.

Noi siamo per uscire definitivamente e radicalmente dalla narrazione tossica e dalle scelte scellerate della lunga stagione neoliberista.

La stampa, i commentatori televisivi e la classe politica hanno mostrato grande attenzione per le posizioni della Cgil espresse e ribadite dal segretario generale Maurizio Landini all’attivo dei delegati di Bologna del 14 settembre - e confermate nell’intervento di oggi - nei confronti del passaggio elettorale. Un’attenzione malevola tuttavia, che travisa in maniera fastidiosa ed interessata quanto detto e scritto, dipingendo una Cgil ed il suo segretario come indifferente rispetto alla destra ed alla sinistra, equidistante pure.

La Cgil è di sinistra, antifascista, come lo sono tutte le cose che sono scritte nella nostra carta fondamentale e che cerchiamo di praticare ogni giorno. Il tema posto è qual è - e se esiste-, nella sfera della politica, la forza, le forze, lo schieramento o il polo che rappresenti la sinistra del lavoro, che metta cioè al centro della sua azione e delle sue scelte i bisogni materiali e le condizioni concrete che vivono i lavoratori nei luoghi di lavoro. E se esista oggi uno schieramento, dopo la fine del governo Conte II, elettoralmente e politicamente competitivo nei confronti del centrodestra, che sia permeato e permeabile dalla questione sociale, dai milioni di poveri senza lavoro e poveri pur lavorando.

Un mondo al quale parlano e danno risposte il reddito di cittadinanza reso universale ed il salario minimo orario per via legislativa che si incardini sui contratti e sulla legge della rappresentanza.

I valori ed i programmi della destra sono incompatibili con quelli della Cgil, ma nelle forze che non stanno in quel campo chi può vantare e rivendicare scelte di governo ed iniziative che hanno migliorato le condizioni materiali dei lavoratori e dei pensionati ed hanno riconosciuto nei fatti – non a parole – il ruolo delle organizzazioni sindacali?

E soprattutto, quali forze hanno credibilità nei confronti del mondo del lavoro e riscuotono ancora fiducia dal mondo del lavoro?

Il Jobs act è sempre lì, come il taglio delle agibilità nei settori pubblici o dei trasferimenti ai patronati per garantire a lavoratori e pensionati di esercitare i loro diritti senza doversi rivolgere ad avvocati, medici e commercialisti. 

Questo il punto: sinistra è chi sinistra fa.

L’astensionismo al cinquanta per cento è un grave problema democratico, l’astensionismo selettivo che vede le classi medie ed alte partecipare al voto in maniera ben più robusta del mondo del lavoro e delle classi popolari è la prova provata che quel mondo, che è il mondo della Cgil, non trova forze politiche e schieramenti dove potersi riconoscere e militare. Questo è il punto.

E nessuno pensi di cavarsela ignorando, con un senso di superiorità etica o brandendo – anche quando non strumentalmente - temi fondamentali come i diritti civili, il risentimento anche rancoroso che si muove ed anima molti degli sconfitti della globalizzazione. Quel moto parla ai nostri fallimenti ed alla nostra incapacità.

Dobbiamo tornare ad intrecciare il nostro cammino con il “popolo dell’abisso”.  

Questa discussione e questa campagna elettorale si svolgono in un quadro internazionale che ha di fronte a sé due scenari: un mondo multipolare che si riaggrega per aree sovranazionali in una prospettiva di coesione pacifica o la corsa alla terza guerra mondiale per tentare da parte della potenza declinante di utilizzare lo strumento militare per riproporre un mondo a guida unipolare ed euroatlantica. Essere per la pace significa il no all’invio delle armi all’Ucraina, la soluzione diplomatica, la riduzione delle spese militari.

Occorre lavorare per costruire una grande mobilitazione che arrivi ad una Manifestazione nazionale promossa dalle donne e dagli uomini di buona volontà.

La crisi ambientale miete vittime, e gli scampoli del governo Draghi propongono risposte inutili se non addirittura dannose. Venerdì 23 settembre si svolgerà lo sciopero per il clima promosso dai Fridays For Future: saremo con loro, cercando di portare coerenza nei territori e nelle categorie tra quanto affermiamo sia necessario e quel che pratichiamo a partire dalle energie rinnovabili, le comunità energetiche, il cambiamento delle produzioni e degli stili di vita, consapevoli che l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio.

Al cuore di tutto c’è e ci deve essere il primato della questione sociale. Chi produce la ricchezza, come la produce, quali sono le catene globali del valore, come si disarticola il lavoro protetto e quello del capitalismo delle piattaforme, come resistere al corrosivo mondo dell’imprenditore di se stesso e delle retoriche manageriali, dove la disoccupazione è una colpa individuale e dove non ci sono alternative al realismo capitalista.

Bisogna passare dal possibile al necessario, è questa la cifra che proponiamo per la sinistra sindacale confederale a venire, alla quale proponiamo a tutte e tutti gli interessati di cominciare a lavorare assieme.

È questa una sfida di tutta la Cgil.

Maurizio Landini nel suo intervento ha detto che avrebbe paura di una Cgil di cinque milioni di persone che la pensano tutte allo stesso modo.

Compagno, ci siamo qua noi. Anche per questo.

Rilanciamo la Cgil unita e plurale. Unita nei valori e nelle pratiche, confederale come traduzione dell’esser soggettività politica autonoma del Lavoro, plurale nei punti di vista sul mondo e sulla società, dove il marxismo ed il pensiero sistemico di figure come Karl Polanyi possono dare oggi più di ieri un grande contributo, assieme a tutte le teorie critiche del capitalismo reale.

Una Cgil che assuma nel proprio statuto e nelle proprie pratiche il valore e la normalità di compagni e compagne che collettivamente e pubblicamente, da un congresso all’altro, elaborano e propongono all’interno della casa comune.

Perché c’è bisogno di contributi attivi e non di consuetudini rispetto alle discontinuità che ci impone il tempo presente.

Allora, più e oltre che la ripulitura della linea politico-sindacale, siamo chiamati a cambiare il nostro modello organizzativo, il ruolo delle Camere del Lavoro e lo stesso profilo categoriale per essere capaci di parlare - e rappresentare organizzandolo - a quella gran parte del mondo del lavoro che è fuori dai nostri confini.

Ed è un dato sia sociologico che di culture del lavoro. Noi siamo una delle poche organizzazioni di massa rimaste, ma questa forza ci deve dare l’umiltà di sapere che non bastiamo a noi stessi.

Il mondo del lavoro di questo paese, gli esclusi dal lavoro, i precari disoccupati cassintegrati lavoratori poveri e quanto il dominio del capitale ha disgregato, diviso e messo contro ha bisogno di una Cgil ancora più forte, che innalzi il Lavoro al centro della scena sociale e politica indicando una prospettiva di trasformazione sociale che metta la produttività del lavoro al servizio della liberazione degli uomini e delle donne.

Il Capitalismo non è la fine della Storia.

Grazie dell’ascolto.

 

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