L’abrogazione delle tre leggi agricole, promessa qualche settimana fa dal primo ministro Narendra Modi, sancisce una prima vittoria dei contadini indiani, dopo un braccio di ferro durato oltre un anno, con centinaia di migliaia di persone che si sono messe in marcia e poi accampate alle porte di Nuova Delhi. Hanno sfidato il freddo dell’inverno, le torride temperature estive, e affrontato la seconda ondata di Covid-19 che ha travolto l’intera India.
“Faccio appello a tutti gli agricoltori che hanno preso parte alla protesta. Tornate nelle vostre case, dai vostri cari, alle vostre fattorie e dalle vostre famiglie. Ricominciamo da capo e andiamo avanti”, ha dichiarato Modi, in un discorso televisivo più somigliante a un comizio elettorale. E in effetti fra pochi mesi ci saranno le elezioni legislative in Punjab e nello Uttar Pradesh, due Stati a forte presenza contadina. Modi poi non ha scelto un giorno qualsiasi per rivolgersi alla nazione, ma il 19 novembre, in cui cade la festività più importante per i Sikh, minoranza cui appartengono molti dei contadini in lotta.
Ma per l’abrogazione definitiva delle leggi, ha continuato Modi, ci vorrà ancora qualche tempo. Per questo i leader delle proteste festeggiano sobriamente. Seppur riconoscano l’importanza del passo indietro, rimane la diffidenza nei confronti di Modi. Fino a quando il Congresso non ufficializzerà lo stop alla riforma agricola, rimarranno nelle loro tende di fronte a Nuova Delhi, per far sentire la loro voce e mettere pressione alle autorità.
L’approvazione delle tre leggi, arrivata a fine settembre dello scorso anno senza alcun confronto con le parti interessate, avrebbe deregolamentato il settore a favore della grande distribuzione, costringendo i contadini e i produttori alla compravendita sul mercato senza alcun vincolo di prezzo. In questo modo, i contadini avrebbero dovuto rivolgersi a mercati non regolamentati dal governo, dove i prezzi minimi non sono garantiti come accade per le derrate acquistate dal sistema pubblico.
Il sistema precedente, infatti, permetteva a Nuova Delhi di porre dei paletti alle piazze commerciali e, soprattutto, consentiva di accumulare scorte di cibo da rivendere a prezzi bassi e fissi. Così facendo la popolazione più povera poteva sfamarsi e i produttori incassare un compenso equo. La contrarietà alla riforma, quindi, è giustificata dalla certezza di vedere ridotti i prezzi del proprio raccolto e dalla paura per un’inflazione sui beni primari, prima scongiurata grazie all’acquisto minimo del governo che fungeva da calmiere.
Durante tutti questi mesi Modi si era sempre detto contrario a passi indietro, sostenendo che la sua riforma avrebbe fatto il bene degli agricoltori, grazie agli investimenti che ne sarebbero derivati. Per l’India, il settore agricolo riveste un’importanza chiave, rappresentando il 15% dell’economia e coinvolgendo il 60% della forza lavoro indiana, che vive una situazione precaria tra debiti e fallimenti. A favore della comunità agricola si era esposta anche la Corte Suprema, che a gennaio aveva bloccato le tre leggi, incostituzionali secondo i giudici.
La protesta ha avuto un salto di qualità quando i contadini hanno deciso di forzare gli sbarramenti delle forze dell’ordine per entrare nella capitale, dove hanno temporaneamente occupato il Forte Rosso. In quell’occasione, un manifestante era rimasto ucciso e si contavano centinaia di feriti da una parte e dall’altra. Da quel momento la lotta si è acuita sempre di più. Otto agricoltori sono morti a ottobre durante le proteste nello Stato dell’Uttar Pradesh, dove altri quattro lavoratori – fra cui un giornalista locale - hanno perso la vita in seguito a uno dei tanti scontri con le squadracce organizzate dal partito di governo, il Bharatiya Janata Party (Bjp). Per questa aggressione è stato accusato di omicidio il figlio di un ministro. Nel complesso, secondo i contadini in lotta, le vittime delle proteste ammontano a 750, un dato che governo ha smentito.
“Questa è una vittoria per tutti quegli agricoltori che hanno dato la vita per salvare centinaia di migliaia di contadini poveri di questo Paese dall’avidità delle imprese”, ha dichiarato il leader Singh Mann, riferendosi alla promessa di abrogazione delle leggi. A unirsi ai festeggiamenti sono stati anche i partiti di opposizione, come l’Indian National Congress, che si sono congratulati con i contadini.
L’opposizione ha accusato Modi di aver ceduto alle richieste degli agricoltori solo perché spaventato dalle elezioni imminenti. L’annuncio del primo ministro, ha dichiarato un deputato, sarebbe dovuto soltanto ad una strategia elettorale.
Quella di oggi, in sintesi, è una tregua. I contadini e i movimenti che li sostengono, scettici sui ripensamenti del primo ministro, per il momento si godono la vittoria dopo oltre un anno di battaglia, ma non hanno alcuna intenzione di smobilitare finché non avranno ottenuto un risultato inequivocabile.