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Il 24 settembre i giovani di Fridays For Future sono scesi nelle strade di decine di città per la giornata di mobilitazione globale contro la crisi climatica e per il futuro del pianeta. Il 25 settembre le donne hanno riempito piazza del Popolo, a Roma, contro la violenza e lo stillicidio di femminicidi per mano maschile e per affermare la loro “rivoluzione della cura”. Il sabato precedente, Firenze era stata invasa da decine di migliaia di lavoratrici, lavoratori, cittadini, insorti insieme alle maestranze della Gkn in una manifestazione preludio di una prima vittoria della lotta: la sentenza che annulla la procedura di licenziamento per comportamento antisindacale (art.28 Statuto dei Lavoratori). Qualche giorno prima la Cgil aveva riunito migliaia di delegati a Milano, e lo Spi oltre mille attivisti delle leghe a Cattolica, per rilanciare le vertenze d’autunno.
Le forze in campo ci sono, cominciano a mobilitarsi, sono squadernati tutti i temi dell’inevitabile confronto-scontro con governo e padronato.
Questioni fondamentali sono sul tappeto: una politica industriale che – anche con le risorse del Pnrr – attui una transizione ecologicamente e socialmente sostenibile, blocchi nei fatti i licenziamenti, produca posti di lavoro stabili e di qualità nel privato come nel pubblico, definisca regole che impediscano delocalizzazioni o chiusure speculative.
E ancora la riforma pensionistica, superando definitivamente la legge Fornero; quella degli ammortizzatori sociali, con una vera universalità dei sussidi e la difesa dell’occupazione; il ribaltamento delle ipotesi in campo sul fisco, con una tassazione progressiva di tutti i redditi (inclusi quelli finanziari) e una patrimoniale sulle grandi ricchezze; la legge sulla non autosufficienza; la centralità del Servizio sanitario pubblico insieme a una scuola di qualità; il contrasto alle stragi sul lavoro, al lavoro povero, nero e schiavizzato. Per affermare i diritti universali, sociali e civili.
Sono tutti nodi che verranno al pettine nelle prossime settimane. E impongono alla Cgil e al sindacato confederale un salto di qualità nella mobilitazione, prevedendo da subito – visto il disconoscimento delle rappresentanze sociali e la continuità con le politiche del passato di Confindustria e ampi settori governativi – la preparazione delle iniziative di lotta, fino allo sciopero generale.
Il “patto sociale” proposto da Bonomi e sostenuto da Draghi è il solito manifesto dell’ideologia liberista.
Una fase difficile che la Cgil affronta dentro all’impegno dell’assemblea organizzativa: una libera, proficua discussione di carattere politico-organizzativo. Occorre decidere e attuare i necessari cambiamenti: radicamento territoriale, centralità delle Camere del lavoro, azioni per ricomporre e rappresentare un mondo del lavoro sempre più frammentato. Un coinvolgimento del gruppo dirigente diffuso che dev’essere utilizzato anche per preparare più capillarmente la necessaria, consapevole e duratura mobilitazione.
Alla discussione e alla lotta!
C’è Confindustria che insiste e alla sua assemblea nazionale detta la linea, peraltro già cara al ministro leghista Giorgetti che, non casualmente, è a capo del ministero dello Sviluppo economico: “No a logiche punitive nel decreto delocalizzazioni”. E c’è Maurizio Landini che si stupisce: “Non è stata detta una parola sulle multinazionali che hanno fatto licenziamenti e non arretrano”. Una perplessità più che giustificata, visto lo scandalo suscitato dalla vertenza alla Gkn di Campi Bisenzio, dove è dovuto intervenire un giudice del lavoro per riportare le lancette dell’orologio al giorno precedente una chiusura proditoria di una fabbrica in salute, con commesse e un valore aggiunto – assi, semiassi e giunti cardanici – di almeno il 40% su ogni euro investito.
In questo contesto, Mario Draghi non tocca proprio l’argomento. Anzi il presidente del consiglio, il “migliore dei migliori”, di fronte all’assemblea proclama l’esigenza di “una prospettiva economica condivisa”, che subito identifica con quella di un “patto sociale” lanciata dallo stesso leader di Confindustria, Carlo Bonomi. Un ulteriore motivo, agli occhi degli industriali, per definirlo testualmente “l’uomo della necessità”. E dedicargli una standing ovation, peraltro già programmata a tavolino, visti i numerosi provvedimenti a sostegno delle imprese che gli ultimi governi hanno messo in atto. Quantificabili, secondo le stesse fonti di governo (la viceministra pentastellata Alessandra Todde) e di maggioranza (il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani), in almeno 115 miliardi in due anni.
Il segretario generale della Cgil, alla fine dell’assemblea, osserva, anche con troppa cautela, che il “patto sociale” avanzato da Bonomi e rilanciato da Draghi non appare sostanziato da proposte precise. “Quanta distanza fra i Campi Bisenzio della Gkn e l’Eur della Confindustria – annota al tempo stesso Alfonso Gianni sul manifesto – due realtà antagoniste. Nella seconda vincono Draghi e Bonomi. Nella prima no”.
Cos’è la vertenza Gkn credo sia piuttosto noto e non mi ci soffermo per motivi di spazio. Così come credo siano note la grande capacità di mobilitazione dei lavoratori, il sostegno della Cgil tutta (dalla Fiom alla Camera del lavoro di Firenze alle altre strutture), la solidarietà trasversale che ha attraversato tutti i settori sociali del territorio fiorentino e oltre. Tutti elementi che si sono condensati nel grande corteo di sabato 18 settembre a Firenze, convocato dal Collettivo di fabbrica.
La vertenza si apre però adesso a nuovi scenari, ancora tutti da percorrere. Dopo oltre due mesi di mobilitazioni, proprio mentre il fondo Melrose sperava di poter essere prossimo a dare l’assalto più duro con l’invio delle lettere di licenziamento (il 22 settembre sarebbe scaduta la procedura, diventando il primo giorno utile per poter rendere effettivi i licenziamenti), il Tribunale del Lavoro ha accolto le richieste avanzate dalla Fiom Cgil di Firenze di condannare l’azienda per condotta antisindacale. Procedimenti annullati, si torna al punto di partenza.
La giudice infatti non si è limitata a considerare scorrette le modalità di comunicazione dell’avvio dell’iter per arrivare ai licenziamenti; ha richiamato soprattutto il valore della contrattazione nazionale e aziendale che stabilisce modalità di confronto con i sindacati sull’andamento dell’azienda e sul suo futuro.
Il comportamento antisindacale della Gkn si basa principalmente, a parere del tribunale, sul fatto di aver impedito al sindacato un confronto, seppur non vincolante, con la proprietà nella fase di formazione della decisione di chiudere lo stabilimento.
Sia chiaro, lo stabilimento non è salvo. Fanno bene i lavoratori Gkn e la Fiom a chiedere al governo di garantire la ripresa produttiva del sito di Campi Bisenzio. D’altronde si tratta di un’azienda sana, che la proprietà vorrebbe chiudere solo per interessi speculativi e finanziari. Su come portare avanti la vertenza non servono consigli: tutti gli attori in causa hanno dimostrato di avere enormi capacità rispetto alle azioni da mettere in campo nella salvaguardia di tutti e 500 i posti di lavoro (tra diretti e appalti). E questa credo sia la principale priorità.
La lotta Gkn ha reso plasticamente l’esigenza di interventi di natura più generale, il primo dei quali riguarda sicuramente le delocalizzazioni. Quanto sia ormai urgente trovare una nuova legislazione lo dicono in molti, a partire dai lavoratori interessati dalle crisi e dalla Cgil. Servirebbe a poco una norma che prevedesse solo delle sanzioni per chi se ne va: non basta monetizzare la devastazione di un sito produttivo.
Serve un ruolo pubblico in economia, come proposto nell’ultimo congresso Cgil, quando parlavamo di creare un nuovo strumento pubblico di governo delle politiche di sviluppo industriale, “una nuova Iri o Agenzia per lo sviluppo industriale” in cui progettare, programmare e governare le scelte strategiche in ambito industriale. Oggi quella proposta è di grande attualità. Le multinazionali che se ne vanno da siti sani, oltre a restituire eventuali sostegni pubblici e a pagare un’ammenda, dovrebbero poterlo fare solo dopo che sia stata garantita la continuità produttiva anche con un intervento statale.
La vertenza Gkn si inserisce quindi in un più ampio contesto, che deve vedere la Cgil protagonista per dare reale e generale unitarietà al bisogno di cambiamento espresso dai lavoratori (come accaduto a Firenze con lo sciopero generale del 19 luglio scorso indetto da Cgil, Cisl e Uil territoriali). Lavorando per definire accordi avanzati laddove possibile, e per mobilitare contestualmente su alcuni grandi temi che hanno assunto oggi carattere di urgenza: dalle crisi aziendali al ruolo del pubblico, dalla strage sui luoghi di lavoro allo sblocco definitivo dei licenziamenti, dalla riforma delle pensioni all’universalità degli ammortizzatori sociali.
L’unità e l’estensione delle mobilitazioni hanno diversi avversari, uno particolarmente insidioso: le tentazioni di piccoli gruppi di strumentalizzare questa o quella vertenza per avere un ritorno di immagine e possibilmente di consenso. Tutti coloro che davvero ambiscono ad allargare il fronte delle lotte devono impedire simili incursioni, che danneggiano non solo l’azione politico-sindacale generale, ma prima di tutto danneggiano i lavoratori impegnati nelle singole vertenze, e questo non può essere tollerato da chi quei lavoratori li vuole tutelare davvero.
Il 17 settembre scorso, a Cattolica, si è svolta l’Assemblea nazionale delle Leghe Spi Cgil, la prima in presenza dal lockdown del marzo 2020. La relazione introduttiva di Ivan Pedretti e le conclusioni di Maurizio Landini si sono incentrate sulle questioni legate ai vaccini e al Green pass, ma soprattutto su quanto la Cgil e lo Spi debbono e vogliono fare per condizionare le scelte relative all’utilizzo degli ingenti fondi derivanti dal Pnrr.
Entrambi hanno teso a sottolineare come il feroce attacco alla Cgil, portato avanti dai media per l’intero mese di agosto e non ancora sopito, abbia teso principalmente a delegittimare il nostro sindacato nel momento in cui chiede un confronto serrato (unitario) proprio su come utilizzare il Pnrr, per cambiare un Paese che non può e non deve tornare quello ante pandemia. Sanità, fisco, precarietà, sicurezza sul lavoro e compatibilità ambientale sono tra i capitoli più dirimenti per trasformare in meglio il nostro Paese.
Sanità pubblica e territoriale per superare i grossi limiti dimostrati nella pandemia; un fisco finalmente più equo e più progressivo in cui chi più ha più deve pagare; un lavoro finalmente scevro dalle scorie di una precarietà e di una discrezionalità padronale insopportabili; una barriera normativa ed un cambio culturale forte per evitare lo stillicidio quotidiano delle morti sul lavoro; la compatibilità ambientale che pretende il cambio dei modelli di vita e di consumo cui oggi siamo abituati e che vede, contrariamente ai molti detrattori del sentire degli anziani, lo Spi in prima linea nel rivendicare un altro mondo possibile.
Poi un punto fondamentale: tutto lo Spi e tutta la Cgil sono al fianco delle donne, e saranno presenti alla manifestazione di Roma del 25 settembre, in questa terribile recrudescenza di femminicidi.
Tra relazione e conclusioni gli interventi delle Leghe: sette compagne e due compagni che in quasi tutti i casi, nel tracciare il bilancio di questo anno e mezzo di “passione”, hanno testimoniato quanto siano stati utili, direi indispensabili, il loro ruolo e la loro vicinanza ai cittadini ed agli iscritti. Nella fase più acuta della pandemia questa vicinanza è consistita in una presenza telefonica prolungata, che è servita moltissimo a non far ulteriormente demotivare migliaia di donne e uomini che si sono rivolti alla Cgil e allo Spi per ottenere servizi, ma anche conforto e vicinanza.
Assistenza su cosa e come fare a seguito degli infiniti decreti anti covid; su come fare le pratiche da remoto e come usare le tecnologie; su come, parlando con una nostra volontaria o un nostro volontario, si potesse sentire meno la solitudine di una permanenza forzata fra le quattro mura domestiche. Un lavoro importantissimo, compiuto nonostante il Covid si sia abbattuto pesantemente anche tra i volontari delle Leghe, seminando contagi e decessi. Pedretti, nella relazione, ha ricordato che almeno 20mila iscritti allo Spi sono deceduti durante il periodo pandemico.
Le testimonianze ci hanno raccontato anche del dopo lockdown, di come si è ripreso a presidiare il territorio, lega per lega. Anche qui grande apprezzamento dell’utenza che ha potuto, seppur con i dovuti appuntamenti e distanziamenti, fruire dei nostri servizi appieno e ripristinare un minimo di normalità. Ha fatto bene al cuore dei mille delegati presenti sentire testimonianze dirette che parlano di persone che, una volta ottenuti i benefici, ad esempio di diritti inespressi (con conseguente inaspettato aumento della propria pensione), hanno ringraziato inondando la sede della lega con grossi ciambelloni fatti in casa.
Ancora, ci hanno raccontato di utilizzo di facebook, di reti di solidarietà con Caritas e centri antiviolenza, di camper che girano per i paesi e le campagne. Citando Di Vittorio, Pedretti ha ricordato che “se i contadini sono nei campi anche i sindacalisti debbono andare nei campi”, così i volontari dello Spi sono sul territorio vicino ai cittadini e si industriano anche ad usare i camper per raggiungere chi non può recarsi alle nostre sedi. Un ragionamento anche in relazione alla prossima assemblea organizzativa della Cgil: può la strutturazione in Leghe dello Spi essere un esempio per tutta la Cgil su come si presidia il territorio e si sta vicini ai cittadini attraverso la stretta collaborazione con Camere del lavoro, Inca, Caf, Auser? La risposta è certamente sì.
Un cenno è stato fatto anche agli accordi fra categorie e Spi sulla continuità dell’iscrizione. Non più del 20% degli iscritti alle categorie Cgil rimane iscritto allo Spi col pensionamento, una dispersione che non possiamo permetterci: bisogna generalizzare questi accordi e discuterne nell’ambito dell’Assemblea organizzativa.
Lo slogan dell’assemblea, “C’è bisogno”, ci sembra azzeccato, a conferma che mai come in questi momenti è necessaria la presenza e la capacità di contrattare di un sindacato confederale e di un sindacato dei pensionati forte e rappresentativo delle fragilità messe a durissima prova dal Covid.