Dietro ai “boia chi molla” l’alleanza tra la destra neofascista e la ‘ndrangheta calabrese.
La rivolta di Reggio Calabria, esplosa nel luglio del 1970, si trascinò, pur con fasi alterne, fino al marzo 1971, proseguendo poi con ulteriori strascichi fino al 1973. Non fu dunque una semplice fiammata. Lasciò sul terreno cinque morti, dieci mutilati o invalidi permanenti, cinquecento feriti tra le forze dell’ordine e circa mille tra la popolazione civile. Nel suo corso furono innalzate barricate, effettuati blocchi stradali, svaligiate armerie, occupata più volte la stazione ferroviaria, l’aeroporto, il palazzo delle poste, assaltata la prefettura e la questura. Alla fine i denunciati furono 1.231 per oltre duemila reati commessi. Il numero degli attentati fu impressionante, da non trovare precedenti nell’Italia del dopoguerra. Agli atti del ministero dell’Interno, tra il 20 luglio 1970 e il 21 ottobre 1972, risultarono alla fine 44 gravi episodi dinamitardi, di cui ben 24 a tralicci, rotaie e stazioni ferroviarie.
In questo contesto si consumò anche una strage, il 22 luglio 1970, quando il direttissimo Palermo-Torino (la Freccia del Sud) fu fatto deragliare con una carica esplosiva poco fuori dalla stazione di Gioia Tauro, provocando la morte di sei persone e il ferimento di altre settantadue, diverse delle quali con gravi conseguenze invalidanti. Molti anni dopo, alcuni pentiti indicarono negli ambienti di Avanguardia nazionale e del “Comitato d’azione per Reggio capoluogo”, diretto da Ciccio Franco, consigliere comunale missino e sindacalista Cisnal dei ferrovieri, divenuto in breve tempo la figura più rappresentativa della rivolta, gli ispiratori della strage.
La scintilla
La collera esplose in una delle città tra le più povere d’Italia, nel momento in cui il governo decise di attribuire, dopo le prime elezioni regionali, il capoluogo di regione a Catanzaro. La scintilla fu accesa il 12 luglio, quando i cinque consiglieri della Democrazia cristiana, eletti nella provincia reggina, unitamente a quello socialdemocratico, si rifiutarono di riconoscere come valida la convocazione dell’assemblea regionale. Ma già il 4 luglio il sindaco democristiano Piero Battaglia aveva dichiarato che Reggio avrebbe chiesto la sospensione delle riunioni del consiglio a Catanzaro. Il 14 iniziarono i primi blocchi del traffico ferroviario e, verso sera, le barricate.
Nel quadro di una drammatica situazione socio-economica e di forte declino della città, la battaglia per Reggio capoluogo convogliò in un solo istante i disagi, le frustrazioni ed i malcontenti di una popolazione allo stremo, in cui ancora dodicimila persone erano costrette a vivere nelle casupole costruite dopo il terremoto del 1908.
Piani golpisti
La ’ndrangheta e la destra eversiva vi giocarono un ruolo di primo piano, egemonizzando largamente gli scontri di piazza al grido di “Boia chi molla!”, divenuto presto lo slogan della rivolta. Avanguardia nazionale e il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese, in particolare, cercarono di sfruttare la sollevazione popolare ai fini dei propri piani golpisti. Tantissimi gli episodi di violenza anche fuori Reggio. Di particolare gravità quello del 4 febbraio del 1971, a Catanzaro, quando nel corso di una manifestazione antifascista, una bomba ferì 13 persone e uccise Giuseppe Malacaria, un muratore socialista di 36 anni.
I treni per Reggio Calabria
Gli uomini di Avanguardia nazionale nel 1972 si resero protagonisti di un ulteriore atto criminale, quando nella notte fra il 21 e il 22 ottobre portarono a termine ben sette attentati dinamitardi ai danni dei convogli che trasportavano decine di migliaia di lavoratori, mobilitati da Cgil, Cisl e Uil in occasione di una grande manifestazione sindacale a Reggio Calabria, come risposta democratica alle violenze che sconvolgevano la città. Rimasero feriti cinque passeggeri. Solo il caso impedì che non vi fosse un’altra strage. Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista nero, sostenne che Stefano Delle Chiaie, il capo di Avanguardia nazionale, gli confidò che i timer usati appartenessero allo stesso lotto di quelli impiegati per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
’Ndrangheta e destra eversiva
In questo quadro si consumò anche l’ascesa, all’interno della ’ndrangheta, della famiglia dei De Stefano, che strinse un patto con l’eversione di destra, ambienti dei servizi segreti, la massoneria deviata, e i grandi trafficanti internazionali di armi e droga. Questa alleanza consentì al “casato” di affrontare e vincere la cosiddetta “prima guerra di mafia” e assumere una posizione egemonica. Da qui la venuta, a più riprese, in Calabria di Junio Valerio Borghese e di Stefano Delle Chiaie.
Vincenzo Vinciguerra così riassunse questi rapporti: “Il neofascismo si trovò ad un certo punto vicino alle organizzazioni storiche della criminalità italiana in nome di un esasperato anticomunismo, e della salvaguardia di tradizioni e valori che queste organizzazioni sembravano voler difendere e talvolta incarnavano”. Un’alleanza mai indagata a fondo.