“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Con queste parole il comandante Sandro Pertini il 25 aprile 1945 proclamava lo sciopero generale a Milano.
Il 25 Aprile e il 1° maggio sono legati indissolubilmente da un filo rosso che intreccia valori, ideali, democrazia, libertà e giustizia. Sono tappe fondamentali della nostra storia nazionale, essenza e parte costitutiva del cammino compiuto dal movimento antifascista, dal movimento operaio nazionale e internazionale.
In questi anni nei quali si è cercato, con l’ideologia dell’omologazione, di far perdere senso, confine e identità alle differenze tra destra e sinistra, la tavola dei valori è stata sconvolta.
Appartenere a una sinistra “moderna” oggi rimane un valore, un’attitudine etica; prima di essere una posizione politica, rimanda a un ideale di giustizia sociale in favore dei meno abbienti, all’avere a cuore le condizioni di vita e di lavoro delle persone, di chi sta peggio, all’offrire a tutte e a tutti diritti e pari condizioni. Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni storiche della sinistra.
Il 25 Aprile è l’anniversario della Resistenza e della Liberazione dal nazifascismo, della lotta per la Pace che ha trovato espressione nell’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, che nega la nostra partecipazione e anche l’appoggio e il sostegno a qualsiasi azione di guerra.
Un monito e un impegno che assumono un valore dirimente in questa fase nella quale è reale il rischio di un’escalation incontrollata del conflitto siriano tra le superpotenze, in uno scontro geo-strategico che ha già prodotto oltre 500 mila morti e milioni di profughi. Un quadro allarmante che vede la corresponsabilità di tante nazioni e l’inaccettabile inconsistenza di ruolo politico e di mediazione diplomatica da parte dell’Europa.
Il movimento dei lavoratori in Italia è sempre stato presente nella lotta per la pace e per il disarmo.
Il Primo Maggio è la festa internazionale del lavoro: del riscatto, della denuncia e della lotta. Il suo significato è scritto nella storia e nelle lotte del movimento operaio. Vietata dal regime fascista, la festa fu ripristinata con l’avvento della Repubblica grazie alla lotta di Liberazione e agli scioperi del ’43, pagati con la deportazione di migliaia di lavoratori nei campi di concentramento. Attuale nei suoi simboli e nel valore solidale, quest’anno è anche occasione per affermare il diritto alla salute, alla prevenzione contro le tante morti sul lavoro e le malattie professionali, per ricordare il ruolo della classe lavoratrice nella conquista della democrazia, della giustizia, dei diritti sociali e politici sanciti dalla nostra Costituzione. Sono passati 73 anni dalla Liberazione, e 70 dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, ma le ragioni, gli ideali di quella lotta sono ancora attuali in un’Italia e un’Europa che vedono avanzare forze politiche di destra e pericolose derive razziste, xenofobe e fasciste.
Occorre riprendere una battaglia ideale e culturale per combattere l’indifferenza che c’è anche nelle istituzioni, nello Stato che dovrebbe manifestare coerentemente la sua natura antifascista nel far rispettare i dettati costituzionali sciogliendo le organizzazioni neofasciste, come richiesto dai promotori dell’appello “Mai più fascismi” tra i quali c’è la Cgil.
Occorre risalire la china valoriale, trasmettere alle nuove generazioni, a partire dalla scuola, la memoria storica e la conoscenza, non permettendo a nessuno di cancellare, disconoscere la lotta e il sacrificio di tanti per conquistare la democrazia e la libertà negate dal nazifascismo.
A nessuno deve essere permesso di equiparare chi ha lottato e pagato con la vita per affermare quei valori a chi l’ha fatto per difendere la dittatura fascista.
Oggi più di ieri la nostra Costituzione antifascista fondata sul diritto al lavoro attende di essere pienamente e coerentemente applicata, attuata nei suoi principi e valori fondamentali di giustizia e di democrazia sociale. A partire dal lavoro, valore fondante della Repubblica e diritto universale per ogni donna e ogni uomo.
Questo è quello che va chiesto a qualsiasi futuro governo: cambiare, migliorare il paese nel solco dell’antifascismo e della Costituzione.
Quel lavoro che la politica ha ignorato, e al quale, come indichiamo nella nostra Carta dei diritti, occorre restituire dignità, centralità e diritti universali, contro le tante diseguaglianze presenti nella società e nei luoghi di lavoro, contro la precarietà e la disoccupazione che, impoverendo ampi settori di popolo, sottraggono la prospettiva di una vita dignitosa alle nuove generazioni.
I valori ai quali ci ispiriamo sono quelli della democrazia fondata sulla rappresentanza, sulla partecipazione, sul rispetto della persona e dei suoi diritti universali, sull’accoglienza, la solidarietà e la legalità. Per costruire i ponti e abbattere i muri, per l’unità del mondo del lavoro. Per la Pace.
Per tutto questo la Cgil, il 25 Aprile e il Primo Maggio, come sempre sarà in campo con le sue bandiere, con la sua identità sociale e generale, il suo progetto futuro di paese, la sua scelta strategica della Carta dei diritti e del Piano del lavoro, le proposte concrete per il cambiamento e diritti e valori universali, che saranno al centro del suo congresso. Un congresso che vogliamo parli al paese, per costruire un orizzonte ideale, una prospettiva di sviluppo e di società migliore.
La testimonianza di una protagonista della Resistenza. “Tutti noi siamo partigiani, anche oggi, nel momento in cui decidiamo di ribellarci alle ingiustizie. Dico questo ai ragazzi, ai giovani, perché penso che vi è un grande bisogno di una nuova leva di ‘partigiani’ capace di contrastare pericolose derive sia nello scenario internazionale che nel nostro paese”.
Il 25 Aprile è sempre una giornata bella e straordinaria, perché si festeggia la storica riconquista della libertà, della democrazia e della pace. L’affermazione degli ideali che animarono la Resistenza antifascista, recepiti e tradotti settanta anni fa nella nostra straordinaria Carta Costituzionale che – come ho avuto modo di affermare molte volte – ha il solo limite di non essere stata ancora applicata, di essere stata tradita anche in molti dei suoi principi fondamentali.
Soggettivamente è anche una giornata particolare e speciale nella quale soffermarmi in ricordi che sono parte di quella “memoria collettiva” che avverto l’obbligo di dover trasmettere alle nuove generazioni, attraverso quei racconti che propongo ai ragazzi che incontro nelle scuole dove sovente vengo invitata.
Per me, nata in una famiglia di comunisti e socialisti, nella quale il senso di ribellione alle ingiustizie era forte ed indomito, rappresentato plasticamente dal volto tumefatto con il quale mio padre tornava spesso a casa dopo essersi rifiutato di aderire al partito fascista, partecipare attivamente alla Resistenza rappresentò un fatto spontaneo e naturale. Avevo appena tredici anni quando iniziai ad intrufolarmi nelle stalle del mio paese, vicino Rimini, per assistere alle riunioni segrete alle quali partecipavano miei familiari insieme ad altri partigiani.
Un giorno mio zio, comandante di Brigata, mi affidò il mio primo compito: portare due borse di viveri, attraversando un ponte sul fiume Faglia, ai partigiani che si trovavano al di là della Linea gotica. Nelle due borse, oltre ai viveri, probabilmente (anche se non lo ho mai saputo con certezza) c’erano anche delle armi.
Iniziai così, a soli quindici anni, a svolgere il ruolo di “staffetta partigiana” attraverso una serie di missioni, in sella alla mia bicicletta, in una sfida costante con la morte. Come quando ero nascosta con la mia famiglia e altri partigiani in delle grotte, ma una soffiata fascista ci fece rastrellare dai tedeschi che ci caricarono su un treno piombato, diretto a Buchenwald. Durante il viaggio gli alleati bombardarono la linea ferroviaria; il treno fu costretto a fermarsi e noi riuscimmo a scappare.
O quando, poco tempo dopo, ero diretta ad una riunione segreta con tre partigiani; poco prima di arrivare in paese alcune donne che stavano chiacchierando per strada, e che sapevano che ero una staffetta, mi urlarono di tornare indietro e scappare perché era appena arrivata una camionetta di tedeschi. Purtroppo i tre partigiani con cui dovevo incontrarmi furono presi e il giorno dopo vennero impiccati nella piazza di Rimini.
Ero ribelle e, pure in ragione dell’età, a volte incosciente, ma come tutti avevo paura anche io. Ma non era possibile restare indifferenti. Occorreva reagire contro chi in quel momento stava occupando l’Italia e contro chi ci aveva tolto la libertà. La nostra grande forza era nella consapevolezza di non essere soli, di essere in tanti a lottare per un futuro migliore.
Quella forza ci ha consentito di scrivere la straordinaria pagina della Resistenza che meriterebbe e necessiterebbe di essere più approfonditamente e dettagliatamente trattata negli insegnamenti scolastici, per la formazione dei ragazzi ai quali, ogni volta che me ne viene data l’opportunità, dico: “Studiate, studiate e studiate: perché è con la cultura che ci si oppone ai regimi e alla soppressione delle nostre libertà. E’ la nostra mente l’arma più forte per poterci difendere, perché spesso l’intelligenza può sostituire anche i fucili. E tutti noi siamo partigiani, anche oggi, nel momento in cui decidiamo di ribellarci alle ingiustizie che continuano, copiosamente, ad interessare il nostro paese, l’Europa e l’intero mondo”.
Dico questo ai ragazzi, ai giovani, perché penso che nell’attuale fase sociale e politica vi è un grande bisogno di una nuova leva di “partigiani” capace di contrastare le pericolose derive che stanno intervenendo sia nello scenario internazionale (segnato da grandi incognite e perfino da rischi di nuovi e incontrollabili conflitti su scala mondiale) che nel nostro paese, dove l’esito delle elezioni del 4 marzo certifica un’insopportabile tendenza alla semplificazione dei problemi, premiando forze politiche attigue al fascismo o con grandi ambiguità sui temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo.
In questo quadro vi è certamente bisogno di iniziative simboliche ed al contempo importanti come l’appello “mai più fascismi”, finalizzato a chiedere interventi, delle istituzioni e delle autorità preposte, per il rispetto della Costituzione e della legge in tema di apologia del fascismo e di riproposizione di culture razziste.
Mi permetto però di dire che non basta. Vi è bisogno di togliere acqua nello stagno dove la cultura dell’intolleranza si alimenta, mettendo i penultimi contro gli ultimi. E’ necessario aggredire alla radice i problemi che generano ineguaglianze sociali insopportabili.
La Sinistra politica e sociale non può lasciare alla Lega la bandiera della cancellazione dell’iniqua legge Fornero sulle pensioni. Non può lasciare ai 5Stelle le proposte di tutela di quanti stanno peggio, sotto la soglia di povertà. Non può non ripartire da una forte mobilitazione tesa all’affermazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione, a partire dall’articolo 1: dalla centralità e dal primato del lavoro.
Non può non ripartire, rispetto a quanto avviene in Siria, in Palestina e in tante altre parti del mondo, da una grande mobilitazione pacifista. Purtroppo non siamo più nei primi anni del Duemila quando, dopo l’aggressione degli Usa in Iraq, milioni di persone scesero in piazza in tutto il mondo, animando un grande e straordinario movimento per la pace e contro la globalizzazione liberista.
Sono passati meno di venti anni, ma pare sia trascorso più di un secolo, rapportando quelle lotte con il “niente” di oggi in termini di mobilitazione contro le guerre. Il movimento pacifista appare quasi dissolto, nelle sue tante e plurali articolazioni.
Sommessamente, penso che spetti ad organizzazioni di rappresentanza sociale di massa come la Cgil (sindacato al quale ancora oggi, da pensionata, sono orgogliosamente iscritta) metterci la faccia e proporre mobilitazioni sui temi della pace, così come su quelli connessi all’antifascismo, all’antirazzismo, alle lotte per il lavoro, i diritti, l’equità sociale. Rischiando anche l’insuccesso. D’altro canto se tutte le azioni partigiane fossero state concepite solo con la certezza del successo, non ve ne sarebbe stata neppure una.
Questo penso debba essere il senso del 25 Aprile: osare per costruire un futuro migliore.
Una notizia locale che guarda all’intero paese. La magistratura contabile ha contestato alle Usl di Arezzo, Siena e Grosseto, riunite nella Asl Toscana Sud Est, di aver speso troppo per le prestazioni sanitarie erogate da operatori privati accreditati. Succede in una regione dove, per antiche (e meritorie) decisioni politiche, il servizio sanitario pubblico riusciva a tenere “in house”, in casa, le prestazioni mediche richieste dai cittadini. Ora non più, e addirittura la Corte dei Conti segnala un anomalo funzionamento della, pur complessa, macchina sanitaria di una delle tre “grandi Asl” toscane.
La politica sanitaria incide per quasi l’80% sul bilancio delle Regioni. Nell’arco di un decennio i pesanti tagli al comparto hanno progressivamente ridotto la capacità del pubblico ad assicurare risposte adeguate. In più l’aumento del costo dei ticket, specialmente nelle prestazioni ambulatoriali, ha portato un’ampia fascia della popolazione a ricorrere al privato. Che poi, a conti fatti, è pagato anch’esso dalla collettività. Ma si fa pagare troppo, denunciano i magistrati contabili.
Lo Stato spende ogni anno 4,6 miliardi di euro in rimborsi agli operatori privati in convenzione. Di questi, ha osservato Milena Gabanelli, se ne potrebbero risparmiare un paio, mantenendo comunque il doppio binario nell’erogazione delle prestazioni, ma con un corretto rapporto nelle spese.
Ma il vero problema, politico, è la mancata volontà degli ultimi cinque governi di investire nel servizio sanitario pubblico, per finanziare gli indispensabili aumenti di personale – medici e infermieri – e dei macchinari necessari a velocizzare i tempi di risposta alle richieste dei cittadini-pazienti. Sarebbe stato anche il modo migliore, riducendo il ricorso agli operatori privati, di finanziare convenzioni pagate a caro prezzo dai contribuenti, attraverso le loro denunce dei redditi.
All’azione squadristica di Forza nuova, la Casa Internazionale delle Donne risponde con una grande manifestazione di piazza, il 22 maggio, 40° anniversario della legge 194.
L’azione squadrista alla Casa Internazionale delle Donne, a Roma, pochi giorni fa, ha suscitato immediata solidarietà da parte dei tanti comitati delle donne, dell’associazionismo, da parte del movimento “Non una di meno”, ma anche da parte di istituzioni e politici (Zingaretti, Boldrini).
Il fatto è accaduto mentre era in corso un’iniziativa dell’Anpi sull’eccidio di un gruppo di partigiane a Roma, e parallelamente, sempre da parte della Casa, c’era stata una presa di posizione finalizzata a rimuovere un manifesto del “movimento della vita” contro l’aborto e lesivo della dignità delle donne.
Perciò l’attacco del gruppo fascista di Forza nuova, un volantinaggio contro l’aborto all’interno della Casa delle Donne, ha avuto un duplice significato: rimettere radicalmente in discussione la legge 194 “per una maternità consapevole”, di cui corre in questo periodo l’anniversario dell’approvazione, e insieme “cancellare” i luoghi liberi, democratici, laici delle donne e non solo.
Certo, l’attuale clima politico con il voto del 4 marzo, che ha visto la vittoria delle destre e, con essa, “l’eclissi” delle sinistre non aiuta, anzi rafforza questa strategia finalizzata a contrastare la libertà delle donne e di un luogo politico e simbolico di fondamentale importanza nella storia del movimento delle donne, appunto, la Casa Internazionale, unica nella sua specificità sia a livello nazionale che internazionale.
Purtroppo, a causa della sconfitta delle sinistre a livello europeo come mondiale, le tendenze minacciose e regressive si fanno sempre più forti e preoccupanti, tutte finalizzate a mettere in discussione i diritti acquisiti dalle donne e, con essi, la loro libertà.
Ma la risposta del movimento al capitale e al patriarcato è stata altrettanto globale.
La lotta delle donne per riaffermare l’autodeterminazione sui loro corpi e le loro vite è in atto in molte parti del mondo (Argentina, Polonia, Brasile, Irlanda, Stati Uniti, ecc.) non ultima l’Italia.
Nell’assemblea che si è svolta alla Casa Internazionale come prima risposta al provocatorio attacco fascista, molto partecipata, si è deciso di rilanciare con una grande manifestazione di piazza, il 22 maggio, in occasione del quarantesimo anniversario della legge 194.
Ma siamo tutte consapevoli che, insieme alla legge, quello che si vuole colpire è la libertà delle donne. La manifestazione si baserà, perciò, su una piattaforma non difensiva e vedrà insieme le diverse generazioni di donne, le tante differenze, con la volontà di essere unite, di fare rete, di fare fronte comune, di collegare le lotte nel territorio con un livello più globale.
Il riferimento politico e culturale sono le tante esperienze, la forza e l’autorevolezza conquistate dalle donne del femminismo dagli anni ’70, passando per le lotte per l’emancipazione delle donne che provengono dalla Resistenza, fino ad oggi, al nuovo femminismo di “non una di meno” che comprende le nuove generazioni di donne.
La sfida che abbiamo di fronte e che è alla base dello stesso movimento “Metoo”, partito dalla denuncia delle attrici americane delle molestie sessuali sul lavoro e con la forte connessione che queste hanno con il potere maschile così come si rappresenta in tutti i gangli della società, è la ricostruzione del patto sessuale che è all’origine di ogni relazione e di tutte le istituzioni umane. Una sfida che oggi può rappresentare il vero motore di cambiamento della politica e del mondo così come lo conosciamo.