La testimonianza di una protagonista della Resistenza. “Tutti noi siamo partigiani, anche oggi, nel momento in cui decidiamo di ribellarci alle ingiustizie. Dico questo ai ragazzi, ai giovani, perché penso che vi è un grande bisogno di una nuova leva di ‘partigiani’ capace di contrastare pericolose derive sia nello scenario internazionale che nel nostro paese”.
Il 25 Aprile è sempre una giornata bella e straordinaria, perché si festeggia la storica riconquista della libertà, della democrazia e della pace. L’affermazione degli ideali che animarono la Resistenza antifascista, recepiti e tradotti settanta anni fa nella nostra straordinaria Carta Costituzionale che – come ho avuto modo di affermare molte volte – ha il solo limite di non essere stata ancora applicata, di essere stata tradita anche in molti dei suoi principi fondamentali.
Soggettivamente è anche una giornata particolare e speciale nella quale soffermarmi in ricordi che sono parte di quella “memoria collettiva” che avverto l’obbligo di dover trasmettere alle nuove generazioni, attraverso quei racconti che propongo ai ragazzi che incontro nelle scuole dove sovente vengo invitata.
Per me, nata in una famiglia di comunisti e socialisti, nella quale il senso di ribellione alle ingiustizie era forte ed indomito, rappresentato plasticamente dal volto tumefatto con il quale mio padre tornava spesso a casa dopo essersi rifiutato di aderire al partito fascista, partecipare attivamente alla Resistenza rappresentò un fatto spontaneo e naturale. Avevo appena tredici anni quando iniziai ad intrufolarmi nelle stalle del mio paese, vicino Rimini, per assistere alle riunioni segrete alle quali partecipavano miei familiari insieme ad altri partigiani.
Un giorno mio zio, comandante di Brigata, mi affidò il mio primo compito: portare due borse di viveri, attraversando un ponte sul fiume Faglia, ai partigiani che si trovavano al di là della Linea gotica. Nelle due borse, oltre ai viveri, probabilmente (anche se non lo ho mai saputo con certezza) c’erano anche delle armi.
Iniziai così, a soli quindici anni, a svolgere il ruolo di “staffetta partigiana” attraverso una serie di missioni, in sella alla mia bicicletta, in una sfida costante con la morte. Come quando ero nascosta con la mia famiglia e altri partigiani in delle grotte, ma una soffiata fascista ci fece rastrellare dai tedeschi che ci caricarono su un treno piombato, diretto a Buchenwald. Durante il viaggio gli alleati bombardarono la linea ferroviaria; il treno fu costretto a fermarsi e noi riuscimmo a scappare.
O quando, poco tempo dopo, ero diretta ad una riunione segreta con tre partigiani; poco prima di arrivare in paese alcune donne che stavano chiacchierando per strada, e che sapevano che ero una staffetta, mi urlarono di tornare indietro e scappare perché era appena arrivata una camionetta di tedeschi. Purtroppo i tre partigiani con cui dovevo incontrarmi furono presi e il giorno dopo vennero impiccati nella piazza di Rimini.
Ero ribelle e, pure in ragione dell’età, a volte incosciente, ma come tutti avevo paura anche io. Ma non era possibile restare indifferenti. Occorreva reagire contro chi in quel momento stava occupando l’Italia e contro chi ci aveva tolto la libertà. La nostra grande forza era nella consapevolezza di non essere soli, di essere in tanti a lottare per un futuro migliore.
Quella forza ci ha consentito di scrivere la straordinaria pagina della Resistenza che meriterebbe e necessiterebbe di essere più approfonditamente e dettagliatamente trattata negli insegnamenti scolastici, per la formazione dei ragazzi ai quali, ogni volta che me ne viene data l’opportunità, dico: “Studiate, studiate e studiate: perché è con la cultura che ci si oppone ai regimi e alla soppressione delle nostre libertà. E’ la nostra mente l’arma più forte per poterci difendere, perché spesso l’intelligenza può sostituire anche i fucili. E tutti noi siamo partigiani, anche oggi, nel momento in cui decidiamo di ribellarci alle ingiustizie che continuano, copiosamente, ad interessare il nostro paese, l’Europa e l’intero mondo”.
Dico questo ai ragazzi, ai giovani, perché penso che nell’attuale fase sociale e politica vi è un grande bisogno di una nuova leva di “partigiani” capace di contrastare le pericolose derive che stanno intervenendo sia nello scenario internazionale (segnato da grandi incognite e perfino da rischi di nuovi e incontrollabili conflitti su scala mondiale) che nel nostro paese, dove l’esito delle elezioni del 4 marzo certifica un’insopportabile tendenza alla semplificazione dei problemi, premiando forze politiche attigue al fascismo o con grandi ambiguità sui temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo.
In questo quadro vi è certamente bisogno di iniziative simboliche ed al contempo importanti come l’appello “mai più fascismi”, finalizzato a chiedere interventi, delle istituzioni e delle autorità preposte, per il rispetto della Costituzione e della legge in tema di apologia del fascismo e di riproposizione di culture razziste.
Mi permetto però di dire che non basta. Vi è bisogno di togliere acqua nello stagno dove la cultura dell’intolleranza si alimenta, mettendo i penultimi contro gli ultimi. E’ necessario aggredire alla radice i problemi che generano ineguaglianze sociali insopportabili.
La Sinistra politica e sociale non può lasciare alla Lega la bandiera della cancellazione dell’iniqua legge Fornero sulle pensioni. Non può lasciare ai 5Stelle le proposte di tutela di quanti stanno peggio, sotto la soglia di povertà. Non può non ripartire da una forte mobilitazione tesa all’affermazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione, a partire dall’articolo 1: dalla centralità e dal primato del lavoro.
Non può non ripartire, rispetto a quanto avviene in Siria, in Palestina e in tante altre parti del mondo, da una grande mobilitazione pacifista. Purtroppo non siamo più nei primi anni del Duemila quando, dopo l’aggressione degli Usa in Iraq, milioni di persone scesero in piazza in tutto il mondo, animando un grande e straordinario movimento per la pace e contro la globalizzazione liberista.
Sono passati meno di venti anni, ma pare sia trascorso più di un secolo, rapportando quelle lotte con il “niente” di oggi in termini di mobilitazione contro le guerre. Il movimento pacifista appare quasi dissolto, nelle sue tante e plurali articolazioni.
Sommessamente, penso che spetti ad organizzazioni di rappresentanza sociale di massa come la Cgil (sindacato al quale ancora oggi, da pensionata, sono orgogliosamente iscritta) metterci la faccia e proporre mobilitazioni sui temi della pace, così come su quelli connessi all’antifascismo, all’antirazzismo, alle lotte per il lavoro, i diritti, l’equità sociale. Rischiando anche l’insuccesso. D’altro canto se tutte le azioni partigiane fossero state concepite solo con la certezza del successo, non ve ne sarebbe stata neppure una.
Questo penso debba essere il senso del 25 Aprile: osare per costruire un futuro migliore.