Diritti senza confini - di Paolo Righetti

Venerdì 9 febbraio si è tenuta a Padova un’iniziativa regionale con circa 400 attivisti sindacali della Cgil e dello Spi del Veneto per approfondire la consapevolezza sul fenomeno immigrazione, anche con qualificati contributi esterni del professor Ambrosini dell’Università di Milano, della dottoressa Tronchin della Fondazione Moressa, del sindaco di Santorso vicentino Franco Balzi.

I contributi esterni e quelli dei dirigenti sindacali hanno ribadito il carattere ormai strutturale dell’immigrazione. Non siamo in presenza nè di un’invasione nè tantomeno di farneticanti progetti di sostituzione etnica e di cambio di civiltà, ma di un fenomeno globale che ha tante e diverse cause e che è impensabile eliminare o ridurre in tempi brevi, per di più con politiche in palese contrasto con lo stesso mantra dell’“aiutiamoli a casa loro”.

E’ illusorio e irrealistico che le migrazioni si possano arrestare: si possono esternalizzare le frontiere, costruire muri, fare blocchi navali, ma i flussi troveranno comunque altri sbocchi, altre rotte. Senza contare che una parte consistente dei migranti in cerca di una nuova vita e di un futuro diverso non arriva solo dal Mediterraneo con i barconi, ma da altre regioni del mondo, con i visti per turismo e mezzi tradizionali. Una realtà che non si può catalogare con un’astratta distinzione tra profughi e migranti economici. Per questo non c’è un’alternativa a un governo strutturale, non più emergenziale, del fenomeno migratorio, promuovendo soluzioni realistiche nel rispetto dei diritti umani e dei valori di solidarietà, a partire dalla salvaguardia della vita.

Questo significa anzitutto promuovere canali umanitari gestiti dalle organizzazioni internazionali, alternativi alla immane strage nel Mediterraneo, alla tratta degli scafisti, alla deportazione nei centri di detenzione libici; insistere sulla necessità di modificare il trattato di Dublino per distribuire il flusso migratorio in modo più equo tra i diversi paesi europei; riaprire i flussi d’ingresso regolare.

Sul piano nazionale serve un’estensione generalizzata del sistema di accoglienza diffusa, per attivare i percorsi di inclusione e per evitare i rischi di tensioni sociali derivanti dalle grandi concentrazioni come Cona, Bagnoli, e altre realtà del territorio veneto. E’ proprio l’approccio di netta chiusura di molti comuni che spinge a queste soluzioni, pericolose e insostenibili sia sul piano sociale che su quello delle condizioni di accoglienza.

Serve un piano organico di interventi per l’inclusione sociale, dalla formazione linguistica, culturale e giuridica all’inserimento nelle politiche attive del lavoro. L’assenza di percorsi di inclusione e regolarizzazione crea situazioni di forte ricattabilità e di esposizione al rischio di cadere, per necessità, nella rete del lavoro sommerso e illegale. Una situazione che coinvolge anche chi ha il riconoscimento della protezione umanitaria, ma è costretto ad uscire immediatamente da qualsiasi programma di accoglienza, oltre a chi ha un esito negativo e, per la legge Bossi-Fini, diventa un “clandestino”, o chi ha perso il lavoro e rischia di perdere anche i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno.

Bisogna, quindi, dare continuità ai programmi di accoglienza, almeno per un periodo di accompagnamento; favorire i percorsi di regolarizzazione; dare piena attuazione alle politiche di inclusione sociale e di contrasto al caporalato, allo sfruttamento nella catena degli appalti e nell’intermediazione di manodopera; investire più risorse per rispondere alla domanda di casa e servizi socio-assistenziali per tutti.

E’ necessario inoltre programmare politiche di reale integrazione e garantire la piena esigibilità dei diritti di cittadinanza, dallo ius soli al diritto di voto amministrativo, per i residenti di origine straniera, ormai pari al 9% della popolazione, al 10% dei lavoratori occupati, al 9% degli imprenditori, che producono il 9% del Pil, e, tra entrate fiscali e contributive e spesa complessiva, determinano un saldo positivo pari a 2,1 miliardi di euro l’anno.

E’ stata ribadita l’importanza di inserire strutturalmente tutte queste tematiche e proposte nella nostra azione di contrattazione sociale e territoriale, per la loro forte incidenza sulle politiche di integrazione e coesione sociale. E’ necessario un nostro intervento organico e strutturato, anche sul piano culturale e valoriale, per contrastare una regressione che porta a rifiutare solidarietà, accoglienza, integrazione e per promuovere un’idea di coesione sociale fondata sulla convivenza etnica e multiculturale, sul valore delle differenze e sulla laicità dello Stato, più che mai necessario per mettere un argine al riemergere di propaganda e azioni razziste, xenofobe e fasciste, con un escalation intollerabile di intimidazioni e aggressioni fino alla tentata strage di Macerata.

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