Il debito pubblico dovrebbe essere posto al centro della discussione politica e culturale, soprattutto nell’imminenza del voto, ma le forze politiche sembrano quasi tutte impegnate nel medesimo gioco di prestigio: far credere realizzabili tutte le promesse senza mettere in discussione l’attuale dinamica sul debito imposta dai vincoli europei, da Maastricht al Fiscal Compact, passando per il Patto di stabilità e il Pareggio di bilancio.
Diversi opinionisti hanno posto l’accento sulla necessità di un’operazione di verità sul debito pubblico, senza mai un’analisi conseguente, ostinandosi a riproporre il mantra del debito da eccesso di spesa pubblica e dall’insieme sprechi-clientelismo-corruzione. La verità sul debito è, invece, la ragione primaria per la quale è nato Cadtm Italia (Comitato per l’annullamento dei debiti illegittimi.
Guardando i dati, non dovrebbe essere difficile approdare ad una prima verità. Un vero e proprio raddoppio del debito pubblico italiano si è avuto nel decennio 1982-1991, conseguente all’avvento della dottrina liberista, con la liberalizzazione dei capitali e la progressiva privatizzazione dei sistemi bancari e finanziari. E’, infatti, del 1981 il divorzio fra ministero del tesoro e Banca d’Italia, con la fine del suo ruolo di acquirente di ultima istanza dei titoli di finanziamento dello Stato, a tassi d’interesse predeterminati. Questa scissione ha provocato un forte innalzamento dei tassi di interesse, con un salto nel rapporto debito/pil da meno del 60% del 1981 (invariato dal 1960) a oltre il 120% del 1992.
Una seconda verità viene dalla spesa pubblica: non trova alcun riscontro reale la favola che gli italiani abbiano vissuto al di sopra delle loro possibilità. La spesa pubblica (al netto degli interessi) è passata, infatti, dal 42,1% del Pil nel 1984 al 42.9% nel 1994. Nello stesso periodo la media europea aumentava dal 45,5% al 46,6% e quella dell’eurozona dal 46,7% al 47,7%. La spesa pubblica italiana, cioè, si è sempre posizionata a livelli inferiori del resto dell’Ue e dell’eurozona. E se è stata ulteriormente falcidiata dall’insieme di sprechi-clientelismo-corruzione, ciò ha solo reso ancor peggiori le condizioni di vita della fasce deboli.
Quello del nostro paese è stato, e continua ad essere, un problema di insufficienza di entrate (nel periodo, inferiori di 10 punti a quelle di Francia e Germania), dovuta ad una gigantesca evasione fiscale, e ad una fiscalità che ha continuato a scaricare gli oneri dai grandi patrimoni al mondo del lavoro.
Una terza verità è facilmente riscontrabile analizzando l’avanzo primario. Dal 1990 ad oggi, l’Italia ha chiuso il bilancio in avanzo primario 26 volte su 28. Quindi non solo non ha speso in eccesso, ma addirittura al di sotto delle pur basse entrate. Cioè, gli italiani che hanno pagato le tasse hanno dato allo Stato 750 miliardi in più di quanto ricevuto in termini di servizi.
Sorge spontanea la domanda: chi è in debito con chi? Perché l’Italia continua ad essere uno dei paesi più indebitati al mondo? Il circolo vizioso degli interessi sul debito ci ha costretti a pagare, dal 1980 ad oggi, oltre 3.400 miliardi di euro su un debito che continua ad essere di 2.250 miliardi, e che ogni anno si autoalimenta senza soluzione di continuità.
La verità sul debito è essenziale per comprendere l’utilizzo ideologico che ne viene fatto, per ottenere rassegnazione sociale all’approfondimento delle politiche di austerità, di precarizzazione dei diritti, di mercificazione dei beni comuni e di privatizzazione del patrimonio e dei servizi pubblici, a vantaggio dei grandi interessi speculativi, che su questi settori hanno necessità di investire una parte dell’enorme massa di denaro accumulata sui mercati finanziari.
D’altronde, se il debito non fosse una trappola ideologica, perché la gran parte delle misure prese per ridurlo è stata scaricata sui Comuni, nonostante il loro apporto al debito pubblico non superi l’1,8%? Con il risultato che, mentre i Comuni, nel periodo 2010-2016, hanno aumentato le imposte locali di 7,8 miliardi, le loro risorse complessive sono oggi inferiori di 5,6 miliardi rispetto al 2010.
Mettere mano alla questione del debito è una priorità per l’intera collettività nazionale, ma in un senso inverso rispetto alla narrazione dominante: per questo diviene urgente la costituzione di una Commissione indipendente e popolare per l’audit sul debito pubblico nazionale. Perché tutte e tutti abbiamo il diritto di conoscerne l’origine, la legalità delle modalità con cui è stato contratto, la legittimità e sostenibilità degli obiettivi e degli interessi a cui è stato finalizzato. Così come tutte e tutti abbiamo il diritto di decidere come agire in merito. Il futuro è troppo importante per delegarlo agli indici di Borsa.