In una Milano uggiosa si è svolta la Conferenza di programma della Cgil “Buon Lavoro. Governare l’innovazione, contrattare la digitalizzazione”.

Al centro della due giorni, la riflessione sulle grandi trasformazioni in atto nel mondo del lavoro: la nuova rivoluzione tecnologica, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, la robotica. Una sfida che non rinunciamo a vincere. Non siamo certo quei nostalgici del telefono a gettoni che la satira ha usato per descriverci.

Il filo conduttore dell’azione della Cgil rimane il contrasto alle disuguaglianze, all’impoverimento del lavoro e alla frantumazione e divisione della classe lavoratrice. Dietro alla modernità ci sono anche forme di sfruttamento, di precarietà e di schiavismo. Da qui le nostre proposte: dal Piano del lavoro, che ha posto il tema della sua qualità, alla Carta dei diritti, una risposta “nuova” all’esigenza di riunificare il lavoro, di favorire inclusione e solidarietà.

Un percorso da proseguire riflettendo sull’impatto delle tecnologie sulla democrazia, sul controllo dell’attività produttiva e sulla qualità lavorativa.

Occorre, si è detto, verificare l’efficacia della contrattazione, misurarsi nella sfida dei cambiamenti imposti dalla digitalizzazione, dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla globalizzazione dei processi, partendo da un pensiero critico sull’attuale globalizzazione - non governata dagli Stati né da esecutivi ancora dominati da logiche neoliberiste e privatistiche, ma dalle multinazionali che, in una competizione al ribasso, spostano il lavoro da un’area all’altra del pianeta, alla ricerca delle migliori condizioni di profitto, cancellando i diritti e riducendo i salari.

Occorre poi sfatare luoghi comuni: la tecnologia non è neutra ma frutto di una scelta, quindi governabile. La digitalizzazione non è solo rivoluzione industriale; le tecnologie informano e trasformano direttamente la società.

Occorre governare, indirizzare questa rivoluzione, piegarla al bene pubblico, alla società del benessere e dell’inclusione, con investimenti pubblici e infrastrutture sociali diffuse, dare risposte all’invecchiamento delle persone, alla qualità dell’ambiente e dei luoghi di lavoro ma anche al tempo di non lavoro.

Ripensare la contrattazione a ogni livello, contrattare le flessibilità e intervenire sull’organizzazione del lavoro e sugli orari.

Con un’idea alternativa di sviluppo e di società: il nostro compito è sperimentare e sviluppare la contrattazione, il nostro strumento principe, con un approccio e una cultura confederali, non corporative, forti delle nostre radici e saldi sui nostri principi di solidarietà e di inclusione.

Quasi sette anni fa, il 13 dicembre del 2011, a Firenze due giovani senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, furono uccisi a sangue freddo da Gianluca Casseri, un fascista di Casa Pound che poco dopo, circondato dalla polizia, si suicidò. Da allora non è cambiato niente. E nemmeno l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, massacrato di botte un anno fa da un altro fascista, mentre a Fermo cercava di difendere la fidanzata, ha insegnato alcunché.

Come stupirsi dunque se per le strade di una tranquilla città di provincia come Macerata ci sia un altro fascio-leghista che cerca di fare strage di immigrati, sparando come un ossesso dalla sua auto? Luca Traini, con tatuato un simbolo nazista sulla fronte, ha ferito sei giovani, tutti immigrati, provenienti dal Ghana, dalla Nigeria, dal Mali. Questa volta per fortuna non rischiano la vita. Ma riuscirà a far riflettere il fatto che il giornale online più letto nella zona aveva subito indicato in due immigrati i responsabili della sparatoria?

La tentata strage di Macerata, osserva il sociologo Marco Revelli, si inserisce in un quadro spaventosamente degradato: “Viene dopo le oscene esternazioni della sindaca di Gazzada sul Giorno della memoria nella terra del leghismo. Dopo la pubblicazione in rete di un aberrante fotomontaggio in cui la testa mozzata di Laura Boldrini (terza carica dello Stato) appare sotto la scritta ‘Sgozzata da un nigeriano inferocito, questa è la fine che deve fare così per apprezzare le usanze dei suoi amici’. Dopo un lungo rosario di dichiarazioni, atti, ordinanze di sindaci leghisti, e sfregi da parte di squadristi fascisti, di cui si va perdendo il conto”.

Traini non è un pazzo, come hanno cercato di dire in tanti. Il suo è stato un atto terroristico, come quello di Casseri. La politica e i media se ne rendono conto? Pare proprio di no.

“Mai più” - di Claudio Treves

 

èdifficile scrivere della Giornata della memoria, perché si rischia di cadere nella retorica. Lo è ancora di più per un ebreo, perché in un certo senso ce lo si aspetta, da lui, ed è il rischio peggiore, perché quasi automaticamente può scattare il riflesso “ne parla lui perché lo riguarda, noi posiamo solo rispettarne il dolore, ma non riguarda noi”.

E invece, mai come in questo anno 2018, la Giornata della memoria deve parlare a tutti. Perché mai come in questo anno il grido che accompagnò la scoperta dei lager, “Mai Più!”, rischia di non avere più la forza e l’efficacia che ebbe fin qui. Si è infatti assistito, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, ad annunci, fatti da soggetti a vario titolo pubblici, di termini come “razza”, “sostituzione etnica” che credevamo sepolti sotto la cenere di Auschwitz e che mai più - appunto – potessero riemergere. E la cosa più grave è la scrollata di spalle, il sorrisetto, la battutina di chi, dopo aver premesso che certo, lui non è razzista, poi prosegue dicendo che però, insomma, di tutti questi immigrati non se ne può più, e che “prima gli italiani”.

Si dovrebbero ascoltare i, purtroppo, pochi sopravvissuti ai lager per sapere che i nazisti non furono un’escrescenza improvvisa che esplose in corpi sani, che non operarono di nascosto e alla chetichella, ma che furono invece l’esito di una lunga stagione di antisemitismo pubblico, avallato e sostenuto da “scienziati” ma soprattutto da ceti sociali diffusi, e che l’antisemitismo, prima di materializzarsi nella Shoah, fu strumento di lotta politica, ampiamente utilizzato dalle polizie segrete di tutta Europa, e che i pogrom ebbero triste fulgore dalla metà dell’Ottocento fino alla notte dei cristalli (1938). E che gli ebrei vennero accusati, non solo dei sacrifici rituali per la confezione delle azzime, ma più efficacemente da un lato della condizione di miseria delle masse per via del loro connubio col capitalismo e la finanza, e dall’altro di essere a capo della rivoluzione mondiale socialista.

In queste accuse si trovavano riuniti le Chiese cattoliche ed ortodossa, i governi reazionari, la stampa borghese, ma non ne era immune lo stesso movimento operaio, come drammaticamente dimostra la storia delle purghe staliniane, o la repressione polacca degli anni ’50.

Dunque cosa fu lo specifico nazista? Fu la scelta di estirpare in modo industrialmente scientifico un segmento dell’umanità, definito Untermensch (razza inferiore), epiteto affibbiato agli ebrei, ai nomadi, ai disabili, agli omosessuali. E i campi non furono solo luoghi di detenzione, come purtroppo accade anche oggi in tante parti del mondo, anche vicinissime a noi (vedi Libia e Turchia), ma “luoghi di annientamento”, cui era collegato un apparato logistico scrupolosamente pensato fatto di luoghi di raccolta (intendendosi per tali i campi come Fossoli in Emilia Romagna dove venivano ammassate le vittime dei rastrellamenti), trasporto con treni, collegamento con l’apparato industriale (Primo Levi lavorò in una fabbrica chimica dentro il lager di Auschwitz), attivazione di spietati esperimenti biologici per l’estirpazione in vita degli elementi supposti propri della razza da eliminare (Mengele).

Con la scoperta dei campi, nel 1945, l’umanità disse “Mai Più!”, e ne nacquero la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, e – tra le altre – la Costituzione della Repubblica italiana, con i suoi splendidi articoli 2 e 3. E lo si fece perché tutti sentirono il peso di una colpa collettiva, nel non aver saputo o potuto impedire l’abominio della “soluzione finale”. A distanza di anni, l’esempio più grande di questa assunzione di responsabilità fu Willy Brandt, combattente antinazista ed esiliato in Norvegia, che da cancelliere della Repubblica federale tedesca cadde in ginocchio davanti al monumento in ricordo dei combattenti del Ghetto di Varsavia.

Oggi, 2018, c’è voluta la ferma voce nobile del Presidente della Repubblica per ricordare a tutti che le leggi razziali fasciste e l’entrata in guerra non furono – anche qui - episodi casuali e sfortunati di una storia altrimenti non condannabile in toto: questo la dice purtroppo lunga su come si sia corrotto il discorso pubblico, in Italia e in Europa, e di come sia necessaria non una rievocazione nella giornata della memoria, ma una lotta per che ciò che è stato non succeda, nelle possibili diverse forme, “Mai Più!”.

Per questo è importante l’appello “Mai più fascismi!” lanciato dall’Anpi e da tante associazioni, tra cui la Cgil, affinché il tragico grido di Primo Levi “Meditate che questo è stato” sia fatto proprio da tutti e si impedisca alla storia i compiere un drammatico salto all’indietro.

Sottoscritta l’ipotesi di rinnovo contrattuale “Sicurezza e difesa” - di Natale Minchillo

 

In un comparto dove le libertà sindacali non sono piene, per la Cgil bisogna ottenere il massimo anche sotto il profilo normativo, con l’estensione di tutele e diritti tuttora negati.

Dopo l’incontro interlocutorio del 25 luglio 2017, Fp e Silp Cgil, non ricevendo convocazioni dall’esecutivo, indissero una giornata di mobilitazione per il 21 dicembre. Nella stessa giornata arrivò la convocazione per il giorno successivo, e solo in quella sede venne enunciata l’entità delle risorse disponibili per il rinnovo del contratto dei circa 45mila operatori del comparto “Sicurezza e difesa”, e cioè 779 milioni di euro a regime per il 2018. A cui aggiungere 74 milioni per gli arretrati 2016 e 200 milioni per il 2017, somme da erogare come “una tantum”. A queste cifre si sommano ulteriori risorse scaglionate in 50 milioni nel 2018, 100 milioni nel 2019 e 150 milioni nel 2020. Queste risorse, spalmate tra il 2018 e il 2020, sono frutto di un emendamento alla legge di bilancio votato prima della fine della legislatura.

Fp e Silp Cgil hanno chiesto da subito di garantire sul salario fisso una cifra, in particolare per le qualifiche più basse, in grado di recuperare quanto più possibile rispetto alla perdita di potere d’acquisto determinatasi in questi nove anni di blocco contrattuale. Più risorse possibili per compensare il disagio di chi svolge attività operativa, da destinare sulla contrattazione di secondo livello. In questa ipotesi di accordo, avendo destinato il 90% delle risorse sul salario fisso e il 10% sull’accessorio, si è andati esattamente in questa direzione, come pure le risorse destinate alla specificità che, come richiesto dalla Cgil, vanno proprio a finanziare il disagio di quegli operatori che lavorano su turni continuativi. Nel testo ci sono poi altre modifiche, proposte dalla Cgil, che riguardano alcuni aspetti degli istituti normativi, come i permessi brevi, i congedi, il trattamento di missione, la tutela legale.

L’intesa, sottoscritta il 26 gennaio, prevede per il personale della polizia penitenziaria un incremento medio di 97,38 euro lordi nel rispetto dell’intesa del 30 novembre 2016. Con le competenze del mese di i marzo arriveranno incremento e arretrati che, per la polizia penitenziaria, equivalgono a 54,46 euro per il 2016, e 182,23 euro per il 2017.

Fp Cgil e Silp Cgil hanno dichiarato che “si tratta del primo rinnovo contrattuale della parte economica dal 2007, che pur non compensando pienamente nove anni di blocco, suggella finalmente la ripresa della stagione contrattuale sbloccata con la sentenza della Corte Costituzionale, e che mira a utilizzare al meglio le risorse disponibili - comunque esigue - segnando un percorso verso la discussione di nuovi diritti”.

Ulteriori aspetti della parte giuridico-normativa saranno trattati con la coda contrattuale, la cui discussione riprenderà immediatamente dopo la sottoscrizione definitiva della parte economica. Il governo si è impegnato ad affrontare altre materie, come la parità di genere, la previdenza complementare e la defiscalizzazione degli incrementi delle voci accessorie. Per la Cgil bisogna portare a casa il massimo anche sotto il punto di vista normativo, in un comparto dove le libertà sindacali non sono piene, anche tramite l’estensione di tutele e diritti tuttora negati e favorendo migliori condizioni di vita e di lavoro delle donne e degli uomini del comparto.

Il momento politico ed economico che stiamo vivendo è molto delicato, è in atto da tempo un inaccettabile processo di (ri)militarizzazione della sicurezza che ha portato alla soppressione del Corpo Forestale. Dalle elezioni per il rinnovo delle Rsu nelle amministrazioni pubbliche del 17, 18 e 19 aprile, questo comparto è escluso. La Fp Cgil rappresenta sia i poliziotti penitenziari che i Vigili del fuoco, che purtroppo non voteranno, ed è per questo che la Cgil e le categorie che rappresentano questi comparti invitano a sottoscrivere la petizione promossa da: Cgil, Fp Cgil, Ficiesse, Assodipro,Silp Cgil: https://www.change.org/p/marianna-madia-estensione-delle-libert%C3%A0-sindacali-e-democratizzazione-dei-luoghi-di-lavoro-pubblici

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