èdifficile scrivere della Giornata della memoria, perché si rischia di cadere nella retorica. Lo è ancora di più per un ebreo, perché in un certo senso ce lo si aspetta, da lui, ed è il rischio peggiore, perché quasi automaticamente può scattare il riflesso “ne parla lui perché lo riguarda, noi posiamo solo rispettarne il dolore, ma non riguarda noi”.

E invece, mai come in questo anno 2018, la Giornata della memoria deve parlare a tutti. Perché mai come in questo anno il grido che accompagnò la scoperta dei lager, “Mai Più!”, rischia di non avere più la forza e l’efficacia che ebbe fin qui. Si è infatti assistito, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, ad annunci, fatti da soggetti a vario titolo pubblici, di termini come “razza”, “sostituzione etnica” che credevamo sepolti sotto la cenere di Auschwitz e che mai più - appunto – potessero riemergere. E la cosa più grave è la scrollata di spalle, il sorrisetto, la battutina di chi, dopo aver premesso che certo, lui non è razzista, poi prosegue dicendo che però, insomma, di tutti questi immigrati non se ne può più, e che “prima gli italiani”.

Si dovrebbero ascoltare i, purtroppo, pochi sopravvissuti ai lager per sapere che i nazisti non furono un’escrescenza improvvisa che esplose in corpi sani, che non operarono di nascosto e alla chetichella, ma che furono invece l’esito di una lunga stagione di antisemitismo pubblico, avallato e sostenuto da “scienziati” ma soprattutto da ceti sociali diffusi, e che l’antisemitismo, prima di materializzarsi nella Shoah, fu strumento di lotta politica, ampiamente utilizzato dalle polizie segrete di tutta Europa, e che i pogrom ebbero triste fulgore dalla metà dell’Ottocento fino alla notte dei cristalli (1938). E che gli ebrei vennero accusati, non solo dei sacrifici rituali per la confezione delle azzime, ma più efficacemente da un lato della condizione di miseria delle masse per via del loro connubio col capitalismo e la finanza, e dall’altro di essere a capo della rivoluzione mondiale socialista.

In queste accuse si trovavano riuniti le Chiese cattoliche ed ortodossa, i governi reazionari, la stampa borghese, ma non ne era immune lo stesso movimento operaio, come drammaticamente dimostra la storia delle purghe staliniane, o la repressione polacca degli anni ’50.

Dunque cosa fu lo specifico nazista? Fu la scelta di estirpare in modo industrialmente scientifico un segmento dell’umanità, definito Untermensch (razza inferiore), epiteto affibbiato agli ebrei, ai nomadi, ai disabili, agli omosessuali. E i campi non furono solo luoghi di detenzione, come purtroppo accade anche oggi in tante parti del mondo, anche vicinissime a noi (vedi Libia e Turchia), ma “luoghi di annientamento”, cui era collegato un apparato logistico scrupolosamente pensato fatto di luoghi di raccolta (intendendosi per tali i campi come Fossoli in Emilia Romagna dove venivano ammassate le vittime dei rastrellamenti), trasporto con treni, collegamento con l’apparato industriale (Primo Levi lavorò in una fabbrica chimica dentro il lager di Auschwitz), attivazione di spietati esperimenti biologici per l’estirpazione in vita degli elementi supposti propri della razza da eliminare (Mengele).

Con la scoperta dei campi, nel 1945, l’umanità disse “Mai Più!”, e ne nacquero la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, e – tra le altre – la Costituzione della Repubblica italiana, con i suoi splendidi articoli 2 e 3. E lo si fece perché tutti sentirono il peso di una colpa collettiva, nel non aver saputo o potuto impedire l’abominio della “soluzione finale”. A distanza di anni, l’esempio più grande di questa assunzione di responsabilità fu Willy Brandt, combattente antinazista ed esiliato in Norvegia, che da cancelliere della Repubblica federale tedesca cadde in ginocchio davanti al monumento in ricordo dei combattenti del Ghetto di Varsavia.

Oggi, 2018, c’è voluta la ferma voce nobile del Presidente della Repubblica per ricordare a tutti che le leggi razziali fasciste e l’entrata in guerra non furono – anche qui - episodi casuali e sfortunati di una storia altrimenti non condannabile in toto: questo la dice purtroppo lunga su come si sia corrotto il discorso pubblico, in Italia e in Europa, e di come sia necessaria non una rievocazione nella giornata della memoria, ma una lotta per che ciò che è stato non succeda, nelle possibili diverse forme, “Mai Più!”.

Per questo è importante l’appello “Mai più fascismi!” lanciato dall’Anpi e da tante associazioni, tra cui la Cgil, affinché il tragico grido di Primo Levi “Meditate che questo è stato” sia fatto proprio da tutti e si impedisca alla storia i compiere un drammatico salto all’indietro.

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