Gli ultimi due anni sono stati molto impegnativi per la Cgil, i suoi militanti, i suoi iscritti. Il 2018 non lo sarà di meno sul fronte sociale e politico. Ci vedrà impegnati a dare continuità alle lotte a sostegno delle vertenze aperte, dal lavoro alle pensioni. E sarà l’anno del nostro congresso nazionale.
Ci arriviamo forti di una stagione difficile, complicata anche dalla deriva valoriale e culturale che attraversa la società e il mondo del lavoro, dalle difficoltà incontrate sul fronte unitario, dai rapporti di forza a noi sfavorevoli, da limiti, ritardi e contraddizioni che come sindacato ci portiamo appresso da tempo.
Siamo stati protagonisti nel rappresentare il mondo del lavoro, le sue istanze, i bisogni di solidarietà, di giustizia sociale, di parità di genere. Un riferimento sociale riconosciuto, un’organizzazione capace di dare voce alla solitudine delle persone, di mettere al centro la precarietà di vita e di lavoro delle giovani generazioni. La Cgil, spesso da sola, ha retto l’urto di uno scontro con scelte del governo, del mondo associativo dell’impresa, di Confindustria che si ponevano contro il mondo del lavoro e i suoi diritti.
Mobilitazioni, iniziative, raccolte di firme, assemblee, conquista di contratti nazionali, impegno in difesa della Costituzione in occasione del referendum istituzionale hanno caratterizzato l’autonomia e la qualità della nostra proposta, dal Piano del lavoro alla Carta dei diritti universali e i referendum di sostegno. Abbiamo dovuto affrontare la scelta politica della disintermediazione, riconquistare tavoli di confronto, riaprire lo scontro strategico sulle pensioni, sulla giustizia sociale, sul lavoro e le prospettive di vita e occupazione delle giovani generazioni, in un mercato del lavoro frantumato dal proliferare a dismisura di rapporti di lavoro precari e di breve durata.
Le scelte fatte sono un patrimonio unitario e di qualità della Cgil, una base di confronto da cui partire in vista dell’ormai prossima conferenza di programma e del congresso, auspichiamo unitario, ma di aperto confronto e di sintesi tra le diverse opzioni programmatiche di merito sindacale.
C’è bisogno di riaffermare la funzione della confederalità per non scadere nel corporativismo, mantenendo una rappresentanza generale nello scontro tra capitale e lavoro. Il congresso dovrà disegnare una strategia di cambiamento, ripensare una Cgil innovata organizzativamente e attrezzata politicamente, preparata a una contrattazione inclusiva, capace di rappresentare meglio e di ricomporre il mondo del lavoro di ieri e di oggi. Di rialzare lo sguardo con la radicalità delle proposte e l’utopia del possibile. Per il futuro del paese. Buon 2018!
Una buona notizia: dopo un lungo e approfondito dibattito, il Parlamento italiano ha approvato il biotestamento, che così diventa legge dello Stato. Da commentatori anche schierati su fronti politici diversi, è stato osservato che in questa occasione l’assemblea degli eletti dal popolo ha mostrato una capacità legislativa di alto livello, approvando una legge nell’interesse tanto del singolo quanto della pubblica collettività.
Con il biotestamento, viene riconosciuto il diritto di ciascuno di noi di decidere sulle cure che vorremo accettare, se un giorno non fossimo più in grado di comunicare una decisione del genere. In altre parole, e nel concreto, se un incidente o un malore improvviso ci lasciassero in un coma vegetativo, senza speranza di tornare a un minimo di vita sostenibile, ora è possibile decidere in anticipo se volere, o non volere, essere curati fino all’ultimo.
La tragedia indimenticabile di Eluana Englaro è stata raccontata agli italiani e alle italiane dalla voce di suo padre Beppino, che per tanti, tanti anni ha mostrato una eccezionale forza d’animo. E che ha dato una spinta determinante, così come ha fatto Mina Welby a nome di migliaia di cittadini che hanno vissuto casi analoghi, a far sì che lo Stato italiano abbia fatto un passo avanti. Riconoscendo un diritto di libertà, di coscienza, e di azione.
Si tratta di un elemento di civiltà, che arricchisce anche la cultura di un paese come l’Italia, che proprio sulle lotte per il riconoscimento dei diritti civili e sociali ha scritto le pagine migliori dei suoi settant’anni di vita repubblicana. Lotte per i diritti civili e sociali che i lettori e i sostenitori di Sinistra Sindacale ben conoscono, avendole vissute in prima persona da attivisti o da delegati dei lavoratori.
E' stato presentato nei giorni scorsi l’ottavo rapporto sulla contrattazione sociale territoriale, frutto del lavoro condotto dall’Osservatorio, del quale sono parte la Cgil (area welfare), lo Spi e la Fondazione Di Vittorio.
Non si è trattato di un momento meramente formale. Al di là dell’interessante e proficuo confronto che ha seguito l’illustrazione dei dati – animato da dirigenti sindacali, rappresentanti delle istituzioni territoriali ed esperti – ha rappresentato un focus utile nel progetto di rilancio e sviluppo della contrattazione sociale territoriale. Un percorso avviato con un primo appuntamento nazionale il 16 maggio scorso, e proseguito con incontri nelle regioni che hanno coinvolto tutte le Camere del Lavoro territoriali, le categorie, il sistema servizi, le associazioni riconducibili alla Cgil.
Un percorso, coerente con le decisioni dell’ultimo Congresso e della Conferenza di organizzazione, segnato dall’ulteriore nevralgico seminario nazionale del 26 e 27 ottobre, finalizzato ad analizzare lo stato dell’arte, individuando criticità e potenzialità, ponendo le basi per un lavoro capace di coinvolgere tutte le articolazioni della Cgil per rafforzare e valorizzare la contrattazione sociale, imprescindibile terreno d’iniziativa sindacale volta all’interesse generale.
I dati contenuti nel rapporto forniscono un importante contributo per la compiuta definizione e la realizzazione di un progetto mirato a ridurre la distanza tra la capacità di azione sindacale e la soddisfazione dei bisogni dei lavoratori, pensionati e cittadini. Con l’efficacia dei numeri, ci descrivono limiti, avanzamenti, cose fatte e da fare, sia sul versante delle materie della contrattazione che su quello delle modalità con le quali si costruiscono le piattaforme e si coinvolgono – con percorsi democratici e partecipati – i beneficiari degli accordi.
Dal 2011 al 2016 l’Osservatorio ha raccolto 5.698 documenti, sottoscritti prevalentemente unitariamente dalle organizzazioni dei pensionati e, non sempre, da quelle confederali. Di questi, 3.860 attengono ad accordi, protocolli ed intese; 1.654 riguardano verbali di incontro; solo 184 sono le piattaforme negoziali.
Nel 2016 si è registrata (rispetto al 2015) una sensibile contrazione complessiva dei documenti raccolti. Al di là di molte altre spiegazioni, che interessano anche specifiche tendenze regionali e territoriali, il passggio dai 1.111 accordi, verbali e piattaforme del 2015 agli 894 del 2016 (con un decremento percentualmente rilevante) interroga su aspetti generali e complessivi. Ad esempio, su come l’anno scorso possa essere stato segnato – nei livelli territoriali – da quell’onda lunga della “disintermediazione” alla quale facciamo fatica ad opporci, finendo spesso per subire un’azione ed una cultura con la quale si cerca di marginalizzare e ridurre il ruolo negoziale del sindacato.
A riprova di questa tesi vi è la diminuzione sensibile in una regione, tradizionalmente positivo esempio per la quantità e qualità della contrattazione sociale, come la Toscana, che da qualche anno è patria e laboratorio dei promulgatori dell’attacco ai corpi intermedi. Se è così, nell’ambito del progetto di rilancio e sviluppo della contrattazione sociale territoriale, dobbiamo lavorare per trovare i giusti antidoti per riaffermare pienamente il ruolo negoziale del sindacato.
I dati raccolti e il lavoro di ricerca e analisi dell’Osservatorio rappresentano un importante punto di partenza, perché raccontano di una difficoltà (presente nell’intero territorio nazionale) nel considerare la contrattazione sociale territoriale, non come una materia da delegare a qualche specialista, al solo Spi Cgil e a qualche volenteroso dirigente confederale, bensì come momento nel quale le Camere del Lavoro – intese come unione del popolo lavoratore e dei pensionati – nel rapporto unitario con le altre confederazioni, si impegnano per l’interesse generale facendosi carico dei problemi e delle esigenze dei cittadini (in una condizione di prossimità territoriale), in tema di sanità, politiche sociali e per l’occupazione, trasporti, edilizia, fiscalità, contrasto alla povertà, per azioni volte all’accoglienza e all’integrazione.
Una contrattazione che deve vedere protagoniste tutte le categorie dei lavoratori e il sistema servizi, e nella quale coinvolgere, in termini di partecipazione diretta, i lavoratori, i pensionati, i cittadini tutti. E’ questo nuovo e necessario approccio che può aiutare nella riaffermazione del ruolo negoziale e contrattuale del sindacato. Infatti, quando le controparti istituzionali non sono aperte e disponibili a un confronto, che non può essere imposto per leggi e dettati contrattuali, soltanto la capacità di coinvolgimento, di lotta e di mobilitazione può produrre avanzamenti e risultati.
L’assemblea nazionale delle donne dello Spi, a Roma il 4 e il 5 dicembre scorsi, ha avuto ancora come filo conduttore la parola “concrete”. La concretezza è da sempre la misura del fare delle donne, affiancata alla capacità di analizzare le cose del mondo. Definite da Barbara Mapelli, pedagogista, donne “della prima volta” (nel mondo del lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nel sindacato, nelle professioni riservate solo agli uomini, ecc.), le donne riunite in assemblea, rappresentative della generazione delle battaglie per la conquista della parità dei diritti e del femminismo, hanno dovuto affrontare nella propria vita tanti ambiti di impegno, privati e pubblici. Essere “concrete”, efficienti ed efficaci era ed è quasi una condizione di sopravvivenza.
I temi trattati nei due giorni riguardano la vita delle donne, la loro condizione economica e sociale, la loro salute, e anche come questa società le discrimina e le emargina, spesso con violenza. A partire dalla condizione economica. Il gap che le donne subiscono nelle condizioni di lavoro e in quelle salariali non è accettabile, tanto più a distanza di 40 anni dalla legge 903 sulla parità tra uomo e donna. La differenza salariale trascina i suoi effetti in modo ancora più significativo sulle pensionate, determinando condizioni di vita pesanti con livelli pensionistici troppo bassi.
Il risultato ottenuto nella “Fase 1” con l’ampliamento della quattordicesima mensilità per pensioni fino a circa mille euro, percepite in gran parte da donne, ha rappresentato un’importante boccata d’ossigeno. Il tema del riconoscimento del lavoro di cura, posto dai sindacati nella “Fase 2”, non ha prodotto risultati significativi. E’ del tutto irrisorio il numero delle donne che potranno accedere al pensionamento anticipato con il meccanismo dell’Ape sociale. Condivisibile, da questo punto di vista, il giudizio negativo della Cgil, che anche su questo ha motivato le manifestazioni del 2 dicembre. L’auspicata riapertura della trattativa non potrà prescindere dalla riproposizione di questo tema, come ha sostenuto Susanna Camusso, intervenendo all’assemblea.
A circa una settimana dalla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, questo terribile tema non poteva non essere al centro della discussione. In Italia ogni due giorni una donna viene uccisa, quasi sempre dal marito, dal convivente, dal fidanzato, molto spesso ex. Se il dramma della violenza sulle donne è alla ribalta, soprattutto quando (troppo spesso) si verificano delitti efferati, le azioni per contrastarla non sono sufficienti. Poco o niente si fa per modificare la secolare cultura che delinea i ruoli degli uomini e delle donne, assegnando ai primi la supremazia sulle seconde, l’humus per comportamenti violenti e criminali.
La lettera aperta del presidente del Senato, Pietro Grasso, nella quale denunciava la responsabilità degli uomini per non aver mai messo in discussione la dominante cultura patriarcale, è praticamente caduta nel vuoto. Confermando quanto sia ancora lontano il momento in cui gli uomini finalmente faranno i conti collettivamente con gli antichi retaggi.
L’autodeterminazione delle donne, pilastro delle conquiste degli anni ‘70, è seriamente in pericolo. L’accerchiamento alla legge 194, perpetrato dalle istituzioni sanitarie e da un grande numero di figure mediche e paramediche attraverso la subdola arma dell’obiezione di coscienza, colpevolmente non riconosciuto dalla ministra della sanità Beatrice Lorenzin, costituisce un forte campanello d’allarme. Tema dibattuto con grande passione e partecipazione: questa generazione di donne è quella che si è battuta per la conquista della legge 194, e oggi non accetta di vedersela annullare. Nè accetta lo svuotamento dell’altro pilastro delle conquiste degli anni ‘70, i consultori. Forte è stato il richiamo da parte della segretaria nazionale Lucia Rossi a difenderli, qualificandoli, allargandone la fruizione anche alle donne non più in età fertile, oggi praticamente escluse.
Sui temi discussi le donne Spi lavorano quotidianamente nei territori, costruendo iniziative e confronti, e provando a trasferirli nei tavoli di contrattazione sociale. Il loro impegno nei territori è anche rivolto all’aiuto e alla solidarietà nei confronti delle donne provenienti da altri paesi. Anche con aiuti concreti, come la collaborazione con le donne della sartoria sociale di Castel Volturno, per contribuire a smantellare la cultura razzista e xenofoba che sta pervadendo il paese.
Due giornate di discussione intensa e appassionata che non ha tralasciato argomenti più intimi, come l’amore nell’età più avanzata e nelle forme più varie e aperte. Due giornate che consegnano allo Spi un’agenda politica densa ma, nel contempo, innovativa e stimolante, anche in vista della prossima discussione congressuale.