Il 14 novembre scorso si è svolta a Roma l’assemblea dei volontari dello Spi che da anni collaborano con Libera, l’Arci, la Rete degli studenti medi, l’Udu e altre associazioni per il lavoro volontario all’interno dei beni sequestrati alla mafia e riconsegnati alla società civile.
E’ esattamente dal 2011 che lo Spi Cgil, insieme alla Cgil e alla Flai, partecipa al progetto “Campi della legalità” promosso da Libera ed Arci.
Lo Spi in particolare ha costruito il proprio progetto “Estate in campo! Facciamo rete per la legalità” articolato per la predisposizione di iniziative finalizzate al contrasto della criminalità e alla diffusione della cultura fondata sulla legalità e sul rispetto delle regole e dei diritti delle persone. Si organizzano gruppi di compagne e compagni di tutto il territorio nazionale che, a turno, partecipano ai campi estivi di lavoro e di studio insieme a migliaia di ragazzi, provenienti anch’essi da tutta Italia. Lavorare e studiare fianco a fianco con i giovani favorisce quel processo di integrazione che è un obiettivo fondamentale della politica dello Spi.
I beni immobili (terreni agricoli, strutture edilizie) sui quali si organizzano i campi di lavoro e di studio fanno parte del cospicuo patrimonio sottratto alla mafia e alla criminalità, gestito dalla Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc), disciplinata dal cosiddetto “Codice Antimafia (D.L. 159/2011). Nel difficilissimo e lungo percorso di lotta alla mafia colpirne i suoi interessi materiali diretti è uno strumento di fondamentale importanza.
Secondo l’Anbsc al 2016, 27mila in tutta Italia sono gli immobili confiscati, anche se solo 11mila circa sono quelli riconsegnati alle comunità e destinati ad usi sociali ed istituzionali.
Pio la Torre, siciliano, indimenticabile sindacalista e uomo politico del Pci, assassinato dalla mafia nel 1982, da profondo conoscitore del fenomeno mafioso, intuì che strappare alle cosche i beni mobili e immobili (anche migliaia di aziende), frutto di attività illegali, significava destabilizzare il potere mafioso nel profondo.
Il passo successivo, il riutilizzo dei beni confiscati dopo l’assegnazione ad associazioni, cooperative, istituzioni pubbliche del territorio per finalità culturali e sociali che hanno lo scopo di diffondere la cultura della legalità e di riaffermare il valore della libertà e della democrazia, rappresenta uno scardinamento del potere criminale costruito anche sulla egemonia culturale esercitata su vastissime aree del paese.
All’attività importante dei campi la Cgil, insieme alla Flai e allo Spi, non poteva far mancare il suo appoggio, intanto perché il sindacato è profondamente e convintamente contro tutto quanto ostacola l’affermazione della democrazia e dei diritti. In secondo luogo, la criminalità di stampo mafioso è strettamente collegata al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento massiccio di lavoratrici e lavoratori prevalentemente nel settore agricolo: la Flai Cgil denuncia oltre 400mila lavoratori e lavoratrici, impiegati in agricoltura, prevalentemente donne e immigrati, che subiscono le vessazioni di caporali che sono la diretta emanazione di bande criminali.
Questi numeri si ampliano vistosamente se si pensa all’edilizia, ma anche ad altri settori, compresi quelli dei servizi, dove finte cooperative strettamente legate alla mafia e favorite dalla pratica degli appalti truccati, fanno strame dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Dopo anni di battaglie, finalmente nell’ottobre dello scorso anno è stata varata la legge contro il caporalato: una grande vittoria, oscurata dal fatto che è costata il sangue di troppe lavoratrici e troppi lavoratori, sfruttati in modo bestiale, come la quarantanovenne Paola Clemente morta in una mattina d’estate nella campagna pugliese per l’insopportabile fatica, a fronte di una retribuzione di pochi euro giornalieri.
L’interesse della Cgil è anche rivolto alle aziende sequestrate che, secondo una rielaborazione dei dati di Infocamere, al 30 settembre 2019 erano 13.375. Questo dato, depurato dalle aziende fittizie utilizzate per il riciclaggio di denaro e da quelle non attive, ci dice che sono 2.515 le aziende operative, diffuse in tutt’Italia, che occupano circa 18.500 addetti, per un fatturato di circa un miliardo di euro.
Lo Stato ha il dovere di monitorare e valorizzare questo notevole patrimonio economico ed umano, utilizzando il nuovo Codice Antimafia, aggiornato e potenziato con la legge 161 dell’ottobre 2017. La Cgil l’ha fortemente voluto e non lo perderà di vista nella sua fase attuativa.