La crisi economica, l’uso disumano e distorto di nuove tecnologie e algoritmi, la ricerca assillante di nuovi margini di profitto, il ruolo delle multinazionali insieme alle politiche scellerate dei governi e di certa politica asservita al mercato hanno progressivamente ridotto diritti e tutele del lavoro, minato il senso di appartenenza collettiva dei lavoratori. Come denunciato da lavoratrici e lavoratori nella lotta coraggiosa di Amazon e nella resistenza ai soprusi di Ikea, siamo di fronte all’asservimento del lavoro alla logica di consumo e di riduzione del costo dei prodotti. Una realtà spaventosa, più diffusa di quanto si pensi, che alcuni scoprono ipocritamente solo ora nell’era di industria 4.0.

Una riorganizzazione dei processi produttivi e dei rapporti di lavoro basata sullo sfruttamento intensivo, sulla precarietà e la mancanza di diritti minimi. Disumanità e forme di schiavismo nel “moderno” scontro tra capitale e lavoro, favoriti dal Jobs Act, che rivela la sua essenza di tutele decrescenti. Il lavoro e la sua qualità diventano un’emergenza sociale. La Cgil lo denuncia da tempo, in solitudine. C’è bisogno di un pensiero alto, di programmi e di scelte che ripropongano ideali, prospettive, di una lotta costante e di lunga durata per far avanzare chi è indietro, senza voce e diritti, senza un futuro degno. Per rendere tutte e tutti uguali nei diritti e nelle possibilità.

Qui sta la ragione della mobilitazione del 2 dicembre.

Migliaia di lavoratrici e lavoratori, giovani, studenti, pensionate e pensionati hanno confermato con la loro mobilitazione la posizione della Cgil, nei cinque cortei a Roma, Torino, Bari, Cagliari e Palermo.

E’ “solo l’inizio, perché continueremo a mobilitarci”.

Chiediamo di ridefinire le regole per garantire una pensione sostenibile ai giovani e alle donne. Temi che facevano parte del verbale sulla Fase 2 concordato nel 2016.

La mobilitazione richiama tutti alle loro responsabilità. Il governo deve essere conseguente agli impegni presi. I partiti devono uscire da posizioni strumentali e preelettorali per modificare la legge di bilancio, con interventi a favore del lavoro, della sua qualità e stabilità. E con profonde modifiche della legge Fornero, a partire dal blocco dell’aumento automatico dell’età pensionabile, fatto unico in Europa. In Italia si lavora già più a lungo, durante l’anno e nel corso della vita.

La piattaforma su lavoro e pensioni non si esaurisce in un solo momento. Servono profonde modifiche oggi. E, domani, qualsiasi governo ci sia, il confronto e la mobilitazione saranno altrettanto e più serrati per ottenere cambiamenti strutturali che diano garanzie e dignità al lavoro e alle pensioni.

Quando una multinazionale come Ikea minaccia di chiamare i carabinieri durante uno sciopero, per una bruttissima storia di licenziamento individuale di una mamma coraggio, il segnale è chiaro: “La morale è che le esigenze dell’azienda devono andare sopra ogni cosa - annota Marco Beretta dalla Filcams milanese - perfino sopra quelle di una madre con un figlio disabile che non può coprire un turno che inizia alle 7 del mattino. Poi, più in generale, il fatto che dopo il jobs act le aziende si sentono più libere di poter licenziare, anche per chi conserva l’articolo 18 come questa lavoratrice, che è in Ikea da ben 17 anni”.

Nel confermare il licenziamento, Ikea ricorda: “La signora Marica Ricutti ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità, e l’azienda si è sempre dimostrata disponibile a concordare le migliori soluzioni per contemperare le necessità della lavoratrice con le esigenze connesse al suo lavoro”. A seguire, ma senza entrare nel merito, la multinazionale puntualizza: “Negli ultimi otto mesi la signora Ricutti ha lavorato meno di sette giorni al mese e, per circa la metà dei giorni, ha usufruito di cambi di turno e spostamenti di orario, concordati con i colleghi e con la direzione del negozio”. Chissà perché. Poi il riassunto della storia, raccontata peraltro in termini analoghi dalla stessa lavoratrice. Con l’autodeterminazione dell’orario di lavoro - per forza di cose, viste le necessità di una madrea separata, con due figli alle scuole elementari di cui uno disabile – e poi, per Ikea, “di fronte alla richiesta di spiegazioni, la signora Ricutti si è lasciata andare a gravi e pubblici episodi di insubordinazione”. Tradotto: la denuncia al sindacato. “Marica non può avere un turno che concili le esigenze familiari”, sintetizza Susanna Camusso. Come vederla diversamente?

 

Nei magazzini di Castel San Giovanni fino al 50% di adesione allo sciopero indetto dai sindacati di categoria.

A Castel San Giovanni a Piacenza sono giorni di grande fermento, si mescolano insieme emozioni e preoccupazioni per quello che sarà il futuro di una vertenza che dietro al simbolismo della riscossa delle lotte sindacali vede l’urgente necessità di dare risposte concrete alle esigenze di tanti lavoratori, spesso giovani, che chiedono di migliorare le condizioni di lavoro.

Nella sede italiana del colosso on line di Jeff Bezos ci lavorano in questo momento circa 4mila addetti suddivisi tra “blu badge” (1.600 lavoratori circa a tempo indeterminato) e nella restante parte “green badge” (oltre duemila lavoratori somministrati) che sfornano circa 400 mila pacchi al giorno da consegnare in pochi giorni, a volte in meno di 24 ore.

Tutto questo chiaramente ha un prezzo che pagano i lavoratori. Il lavoro è ripetitivo come in una catena di montaggio. Le patologie al tunnel carpale, al collo o alla schiena non si contano. Quando si tratta di stilare il foglio che registra il malessere, raccontano i delegati sindacali, i manager fanno pressione perchè non si scriva che è correlato al lavoro. E proprio il tema della salute è uno dei più invocati da parte dei lavoratori.

Nell’innovativo “mobile marketing” di cui Amazon è colosso indiscusso, le problematiche tornano ad essere quelle delle fabbriche degli anni cinquanta: almeno 20 chilometri al giorno di via vai all’interno dei magazzini, non c’è pausa per il caffè, per andare in bagno si deve chiedere al caporeparto e la pausa pranzo è di mezz’ora ma si conta da quando si lascia il reparto e tra andare e tornare dal posto più lontano se ne vanno 8 minuti. In aggiunta a questo il lavoro è costantemente monitorato al punto tale che la maggior parte dei richiami avviene in riferimento al mancato rispetto dei tempi di lavoro, particolarmente intensi soprattutto nei periodi di picco.

A confermare la gravosità delle condizioni di lavoro e di ritmi insostenibili è la pratica delle incentivazioni all’esodo, “ The offer” come la chiama il colosso dell’e-commerce, per la quale dopo pochi anni di servizio Amazon offre 5mila euro ai lavoratori per andarsene; e purtroppo aumentano i casi di lavoratori che a furia di subire vessazioni e umiliazioni a un certo punto perdono la testa e mandano tutto al diavolo. La pratica dell’esodo volontario è così tanto diffusa da determinare un tempo medio massimo di permanenza al lavoro pari a 3 anni, come ha confermato in una trasmissione televisiva il direttore dello stabilimento.

Eppure qualcosa sta cambiando. La Filcams Cgil assieme agli altri sindacati di settore è entrata nello stabilimento piacentino ed ha iniziato un dialogo con la direzione aziendale per un contratto integrativo e l’azienda per la prima volta si è seduta al tavolo delle trattative. La mancanza però di risposte concrete alle legittime richieste dei lavoratori ha determinato lo sciopero del 24 novembre nella giornata del cosiddetto “Black Friday”; uno sciopero legittimo che ha determinato un’adesione inaspettata tra il personale a tempo indeterminato, che ha raggiunto punte del 50%. Un grande risultato se si pensa che si tratta del primo sciopero in Amazon e che parte di questo personale pur essendo a tempo indeterminato è assunto senza la tutela reale del’articolo 18.

Ci aspettiamo e rivendichiamo che l’azienda si sieda al più presto al tavolo di confronto per determinare fin da subito soluzioni che possano dare risposte alle legittime richieste dei lavoratori e delle lavoratrici su temi quali orari, salute e sicurezza e premiali.
Dopo lo sciopero del novembre sono arrivati tanti attestati di solidarietà a questi lavoratori per il coraggio e la determinazione dimostrata. Avremo bisogno che questo clima e questa vicinanza restino accesi sapendo che sarà un percorso nuovo in un settore, quello dell’e – commerce, che determina per il sindacato nuove sfide tutte da esplorare, che partono da un presupposto, ovvero che il nostro obiettivo è migliorare le condizioni di lavoro tramite la contrattazione. E su questo di certo non lasceremo soli questi tanti giovani che ci stanno dando fiducia. Avanti! 

(Per gentile concessione del periodico REDS, pubblichiamo in anteprima l’articolo)

E’ un traguardo raggiunto nel lungo cammino intrapreso dalla Filt Cgil per dare rispettabilità ai lavoratori, garantendo un giusto salario e condizioni di lavoro umane.

Del mondo della logistica ormai si parla diffusamente, anche al di fuori degli ambiti specifici. Termini come driver, logistica 4.0, e-commerce, sono ormai entrati nel linguaggio comune così come è diventata consuetudine diffusa fare acquisti online.

Si è più volte sottolineato quale sia lo sviluppo e la trasformazione in atto nel settore, e come, a dispetto della crisi, le multinazionali che operano in questo comparto abbiano in questi anni realizzato utili significativi.

Una crescita e una trasformazione che hanno visto protagonista la Filt Cgil a partire dalla fine degli anni ’90, momento in cui hanno iniziato a svilupparsi grandi piattaforme logistiche in prossimità delle aree metropolitane. Un impegno che ha portato diritti, salario e legalità per decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori.

E’ stata quindi una soddisfazione apprendere che quest’anno il Comune di Milano ha deciso, nell’ambito della consegna degli Ambrogini d’Oro, di assegnare un attestato di Benemerenza civica ai driver che operano per la filiera di Amazon, quale riconoscimento della battaglia condotta nei mesi passati per il riconoscimento del Ccnl del Trasporto Merci e Logistica.

E’ un altro traguardo che è stato raggiunto nella difficile battaglia intrapresa da tempo per dare dignità a chi opera nelle imprese della logistica e dei trasporti. Un mondo che vede ancora oggi una forte compressione dei diritti e dei salari, con una crescita esponenziale dello sfruttamento in termini di ritmi di produzione e flessibilità.

E’ costante il ricorso alle esternalizzazioni a false cooperative da parte dei grossi gruppi, con l’unico obiettivo di abbassare il costo del lavoro, reclutando lavoratori facilmente ricattabili.

Per affrontare questa drammatica situazione la Filt Lombardia diede vita negli anni 2000 ad un progetto specifico, finalizzato a mappare gli impianti del territorio e le condizioni dei lavoratori che in essi operavano. Successivamente, attraverso l’utilizzo di un camper adibito ad ufficio mobile, furono fatti presidi nei poli logistici per entrare in contatto diretto con i lavoratori, soprattutto stranieri, offrendo loro tutte le necessarie tutele sindacali.

Ne è seguita una massiccia sindacalizzazione del comparto, con lotte anche aspre per ottenere l’applicazione del Ccnl, e dare garanzie occupazionali all’atto dei cambi d’appalto.

E’ stato questo il momento in cui, forse con maggior evidenza, i lavoratori hanno preso coscienza dei loro diritti e di come fosse possibile conquistarli.

Da allora però, come si ricordava, queste realtà si sono progressivamente modificate, con l’ingresso delle innovazioni tecnologiche e l’automazione dei magazzini, ma soprattutto con l’implementazione dell’e-commerce e delle grosse piattaforme di vendita online. La rapidità dei tempi di consegna ha assunto un’importanza sempre maggiore, le imprese hanno sviluppato gli ormai noti algoritmi attraverso i quali organizzano non solo il proprio business, ma anche l’attività e ritmi dei lavoratori.

E’ evidente come in questo contesto la figura del driver, ossia colui che ci consegna a casa il pacco ordinato online, assuma una assoluta rilevanza. Se da un lato è verosimile che questo produrrà migliaia di posti di lavoro, è altrettanto prevedibile quanto sia alto il rischio della precarizzazione e della pressante richiesta di ritmi inaccettabili.

Sarà quindi un dovere della Filt e di tutta la Cgil, fornirsi di idonei strumenti e competenze per affrontare questo contesto negli anni futuri, per garantire che parallelamente allo sviluppo dell’innovazione tecnologica, si creino condizioni di lavoro che mettano al centro le persone ed i lavoratori, riuscendo a coniugare gli interessi economici con i diritti e la dignità delle persone.

In questo quadro l’assegnazione della Benemerenza dell’Ambrogino d’Oro può assumere diverse valenze, a partire prima di tutto dal riconoscimento della lotta intrapresa da questi lavoratori per ottenere diritti e dignità. E’ un importante traguardo che viene raggiunto nel lungo cammino intrapreso molto tempo fa dalla Filt per dare rispettabilità ai lavoratori, garantendo un giusto salario e condizioni di lavoro umane.

Si tratta quindi della conferma della qualità dei risultati ottenuti grazie all’impegno fino ad ora profuso, e di conseguenza un incoraggiamento a proseguire con determinazione per conquistare gli ambiziosi obiettivi che ci siamo prefissati.

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