La vicenda della K-Flex è l’ulteriore prova di un capitalismo malato e della necessità di un intervento da parte di un governo sinora impotente. Tutto inizia il 24 gennaio 2017, quando le lavoratrici e i lavoratori entrano in sciopero e in presidio permanente, per impedire la delocalizzazione dell’azienda in Polonia e per bloccare gli annunciati 187 licenziamenti.

La K-Flex di Roncello, in Brianza, è una multinazionale leader mondiale in isolanti in gomma termici e acustici, presente in sessanta paesi con 27 società e undici siti produttivi. Duemila lavoratori (243 a Roncello), 300 milioni di fatturato con l’obiettivo dei 500 entro il 2018, e 10 milioni di utile annuo. Un’azienda in espansione, anche grazie agli straordinari e ai turni a ciclo continuo dei dipendenti. Competenze e capacità messe al servizio di un progetto presentato come una crescita complessiva dell’azienda, e che invece si è tradotto in delocalizzazione e licenziamenti.

Negli anni la K-Flex ha ricevuto 12 milioni di euro di finanziamento pubblico (un milione a fondo perduto) e 23 milioni di euro dalla Cassa depositi e prestiti, che è azionista di cinque aziende K-Flex in Asia in base alla legge100 del 1990. La legge 80 del 2005, articolo 1 comma 12, prevede che i progetti di finanziamento debbano presupporre il mantenimento delle attività produttive in Italia. Inoltre l’azienda, il 28 dicembre 2016, aveva sottoscritto un accordo sindacale che la impegnava a non aprire procedure di riduzione del personale per tutto il 2017.

Nei fatti è stata finanziata la scelta dell’azienda di trasferire questa eccellenza produttiva dove la manodopera costa meno, per fare più profitti. Il territorio brianzolo, che è già stato investito pesantemente dalla crisi e da processi di deindustrializzazione che hanno portato a chiusure, licenziamenti e cassa integrazione, si è trasformato in un deserto produttivo, con un tessuto sociale in disgregazione.

L’assenza di una politica industriale coerente, e una legislazione che rende possibili le delocalizzazioni, hanno generato atteggiamenti di arroganza di molti imprenditori, che non si fanno scrupoli nel calpestare le regole. E’ quanto è avvenuto anche alla K-Flex: di fronte alle richieste sindacali, la direzione ha opposto una chiusura completa, non partecipando agli incontri al ministero dello sviluppo e in Regione. Per questo l’assemblea dei lavoratori a metà aprile decide di denunciare la K-Flex per condotta antisindacale, per il mancato rispetto dell’accordo del 28 dicembre 2016, per l’indisponibilità ad aprire una trattativa, e per le motivazioni riportate nella procedura di licenziamento collettivo.

L’assemblea decide anche di sospendere lo sciopero e di riprendere l’attività lavorativa, ma la mattina del 13 aprile operai e impiegati si trovano di fronte alla serrata. Il27 aprile la K-Flex invia con un telegramma 187 lettere di licenziamento. “La solita arroganza della famiglia Spinelli – replicano i sindacati di categoria - che oltre a non rispettare le istituzioni e i lavoratori, prima dell’udienza del 4 maggio presso il Tribunale di Monza, dove il giudice deciderà in merito alla richiesta di annullare la procedura di licenziamento, sceglie unilateralmente di licenziare i lavoratori”.

Anche per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che in occasione del Primo Maggio ha scritto una lettera alle lavoratrici e ai lavoratori, “la scelta della K-Flex è una dimostrazione di arroganza padronale, ma anche di impotenza da parte del nostro governo e del Mise. E’ intollerabile che un’azienda che va bene, che ha ordini, che ha qualità del lavoro, decida di licenziare 187 lavoratori solo perché vuole portare gli impianti da un’altra parte del mondo. Ed è intollerabile che il nostro governo taccia”.

La vertenza K-Flex pone questioni di fondo su un sistema di regole che permette licenziamenti collettivi senza validi motivi e senza mettere in atto ammortizzatori sociali. Il governo nazionale e quello regionale devono attivarsi per l’apertura di un negoziato con le parti sociali, e le istituzioni locali devono garantire quel sostegno alle famiglie colpite dai licenziamenti che finora è venuto dalla cittadinanza. È necessario che il Parlamento legiferi contro le delocalizzazioni, vincolando i finanziamenti al principio che le aziende che ricevono soldi pubblici devono mantenere e sviluppare i livelli occupazionali in Italia, pena sanzioni pesantissime, economiche e amministrative.

Ora la speranza, per le lavoratrici e i lavoratori della K-Flex, è che sia la giustizia a restituire loro diritti e dignità, garantendo il rispetto degli accordi sindacali sottoscritti e il ritiro dei licenziamenti.

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