E' anno di elezioni in Germania. In settembre si vota per il parlamento, il Bundestag, e prima in alcuni Länder. Si inizia il 26 marzo nella Saar, poi si vota in Schleswig-Holstein e in maggio in Nordrhein-Westfalen, elezioni queste di grande rilevanza nella regione più importante del paese.

Il contesto è molto cambiato rispetto alle elezioni di quattro anni fa. Il nuovo partito della destra, Afd (Alternative für Deutschland) si candidò già nel 2013, ma da allora è diventato molto più forte e si colloca molto più a destra. Non è più un partito conservatore, ma un partito chiaramente di estrema destra.

L’elemento decisivo del cambiamento politico è stata certamente la questione dei rifugiati, tema che domina tuttora la politica tedesca. La Merkel fu molto criticata per il suo benvenuto ai profughi, in particolare dalla sua ala bavarese Csu. La questione dei rifugiati è stata strumentalizzata dalla destra con una politica nazionalista, xenofoba e razzista. Così il clima politico è cambiato. Ma le cause vere dell’ascesa della destra sono l’incertezza sociale e la paura di perdere lo status sociale dovuti alla politica neoliberista del governo. I rifugiati sono solo un catalizzatore e un capro espiatorio.

La situazione economico-sociale in Germania è contraddittoria. Nel 2016 il Pil è cresciuto quasi del 2%; i disoccupati sono meno di tre milioni. Però ci sono problemi sociali crescenti. C’è un settore di lavoro precario molto esteso e un divario sempre più grande nei redditi e nella distribuzione delle ricchezze. La disuguaglianza è notevolmente aumentata. Il rischio di povertà è molto alto, in particolare per i precari single con figli. Abbastanza nuova è la minaccia di povertà nella vecchiaia, in conseguenza di basse pensioni.

Il punto di partenza per ogni politica di sinistra sono le contraddizioni sociali dello sviluppo capitalista, e la questione sociale sta al centro del programma di Die Linke. A differenza della destra, che la trasforma in questione nazionale, la sinistra pone la questione sociale come questione di classe. Le richieste di un’altra politica sociale caratterizzano il suo programma elettorale. Riallacciandosi alla concezione del buon lavoro dei sindacati si richiede un aumento dei salari e un salario minimo orario di 12 euro.

Di grande attualità è la richiesta di un cambiamento del sistema pensionistico, che sta abbassando sempre più il livello delle pensioni: si vogliono annullare i peggioramenti degli ultimi anni e aumentare le pensioni. L’abolizione della legislazione “Hartz” rimane una richiesta centrale. Un elemento nuovo riguarda la casa, esigendo una limitazione degli affitti, esplosi nelle grandi città, e l’espansione dell’edilizia sociale. Altro punto fondamentale riguarda la politica economica e industriale: un programma di investimenti di 100 miliardi di euro per il rinnovo delle infrastrutture e la trasformazione ecologico-sociale dell’industria. Per finanziare tutto questo Die Linke chiede un’altra politica fiscale e tributaria, tassando di più i redditi alti e i grandi patrimoni. Altra importante richiesta è la democratizzazione dell’economia con più diritti per i lavoratori. La sinistra tedesca si caratterizza inoltre per l’impegno per la pace e contro gli interventi militari: una nuova politica di distensione e la dissoluzione della Nato, a favore di un nuovo sistema di sicurezza collettiva che coinvolga anche la Russia.

Con questo programma Die Linke vuole iniziare un’offensiva sociale per allargare lo spazio per la sinistra nella società, contrastando sia la politica neoliberista che quella della destra nazionalista e xenofoba. Anche se si parla spesso di una coalizione rosso-rosso-verde, il primo obiettivo della campagna elettorale non è una simile alleanza, ma il rafforzamento del profilo politico della sinistra.

La posizione di Die Linke è abbastanza solida nei sondaggi e un risultato del 10% appare probabile. Può darsi che la posizione molto debole della Spd migliori con la sostituzione di Gabriel con l’ex-presidente del parlamento europeo Schulz. Ma questo non risolve il problema fondamentale della Spd: una riflessione profonda sulla sua strategia politica, finora incastrata nella logica della grande coalizione e della politica neoliberista.

I Verdi, con l’elezione di Göring-Eckardt e Özdemir come capilista, hanno rafforzato la linea conservatrice; le differenze politiche tra Linke, Spd e Verdi sono ancora grandi malgrado i tentativi di avvicinamento. La Cdu rimane decisamente il primo partito. Certo la Merkel ha perso consenso per la sua politica sui rifugiati, ma nel frattempo ha recuperato notevolmente. Secondo i democristiani tutto va bene. Ma non corrisponde alla realtà. Con Dario Fo si potrebbe dire: “Tutto a posto, niente in ordine”.

 

Vergognosa l’assoluzione Di 19 imputati, la maggioranza uruguaiani, al processo romano “Plan Condor”.

Lo scorso 17 gennaio, la terza Corte d’assise di Roma ha emesso la sentenza del processo contro alcuni degli esponenti delle dittature civico-militari latino-americane degli anni ’70 e ’80, responsabili del “Plan Condor”. Un processo in cui Cgil, Cisl e Uil sono parte civile. Su 27 richieste di ergastolo per alcuni carnefici e protagonisti dell’orrore, la Corte ne ha concessi solo 8 (tutti già in prigione nei loro paesi). Gli altri sono stati tutti assolti.

Come si ricorderà il “Plan Condor”, con l’appoggio della Cia, fu il coordinamento delle dittature latino-americane per la repressione e lo sterminio degli oppositori politici. Grazie a questo criminale accordo, gli oppositori erano detenuti, interrogati, torturati e fatti scomparire nei diversi paesi. Washington garantì assistenza, formazione e strategia ai golpisti, per imporre il neo-liberalismo dei “Chicago boys”, il cui braccio armato furono i militari. Secondo diversi organismi di difesa dei diritti umani, il costo umano si calcola in “..quattro milioni di esiliati in paesi limitrofi, 50mila omicidi, almeno 30mila desaparecidos, 400mila imprigionati e tremila bambini assassinati o scomparsi”.

In Italia l’indagine sul Condor fu avviata il 9 giugno 1999, grazie alla denuncia dei familiari di alcuni cittadini di origine italiana. Dopo 14 anni, l’inchiesta si è conclusa nel 2013 e il processo è iniziato a fine 2015. Ma le interminabili indagini fatte dalla Procura di Roma non hanno certo aiutato la verità, e gli artigli del Condor sono arrivati anche in Italia. Lo si è visto alla lettura della scandalosa sentenza: in aula un silenzio assordante, le facce incredule dei familiari delle vittime, le lacrime e la tristezza di chi non ha avuto né verità, né giustizia da più di 40 anni.

Vergognosa l’assoluzione di ben diciannove imputati, la maggioranza uruguaiani. Tra questi Jorge Nestor Fernandez Troccoli, uruguaiano di origini italiane. All’epoca dei crimini, Troccoli era capitano del servizio segreto della marina (S2), conosciuto come “el torturador”. Passaporto italiano dal 2002, grazie ad amici potenti, alla vigilia di un possibile arresto Troccoli fuggì dall’Uruguay per nascondersi tra Marina di Camerota e Battipaglia. Arrestato in Italia nel 2008, poi scarcerato anche per vizi procedurali, è stato assolto nonostante le prove schiaccianti per gli omicidi contestati, tra cui quelli degli italo-uruguaiani Raul Borrelli, Yolanda Casco, Edmundo Dossetti, Ileana Garcia, Julio D’Elia e Raul Gambaro. Quest’ultimo era un conosciuto dirigente sindacale, sequestrato il 27 dicembre 1977 a Buenos Aires da militari uruguaiani, ad oggi ancora “desaparecido”. Furono infatti i lavoratori i più colpiti dalla repressione quando si mobilitarono con scioperi e manifestazioni contro le dittature, a difesa dei loro diritti e delle libertà sindacali.

Questa sentenza sbatte la porta in faccia alla richiesta di giustizia e verità, e viola la Convenzione internazionale tra Italia ed Uruguay. In attesa dell’appello della procura, molti familiari delle vittime hanno dichiarato che faranno ricorso. Amaro il commento di Raul Sendic, vicepresidente dell’Uruguay presente in aula, il cui padre combatté contro la dittatura militare e trascorse molti anni in prigione: “C’è dolore e rabbia. Lo Stato uruguaiano ha fatto tutto il necessario in questo processo e faremo appello. Ci sentiamo defraudati dalla decisione del tribunale”.
Troppe le strane coincidenze nel percorso che ha portato alla sentenza. Anzitutto la famigerata loggia massonica P2 aveva tra i suoi iscritti molti responsabili latino-americani dell’orrore, mentre l’Uruguay e l’Argentina erano una importante base operativa di Licio Gelli. Incomprensibilmente, suo figlio è oggi ambasciatore del Nicaragua in Uruguay.

Inoltre i neofascisti italiani sono stati parte integrante del “Plan Condor”. Oltre alla loro presenza in Argentina, Bolivia, Paraguay e Cile, in Italia furono accusati del tentato omicidio del democristiano cileno Bernardo Leighton, avvenuto a Roma nell’ottobre 1975. L’attentato era stato organizzato dalla Dina (la polizia segreta di Pinochet) ed eseguito dai neofascisti italiani, anche loro “miracolosamente” assolti dai tribunali italiani. E, secondo le Madri e le Nonne argentine, in Italia potrebbero esserci dei “figli rubati”, ancora da ritrovare. La lotta per la verità e per la giustizia non è finita.

 

Si occupano delle nostre pensioni e dei momenti di difficoltà. Sono i lavoratori dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, meglio conosciuto con l’acronimo Inps. Quasi tutti, prima o poi, ci fanno i conti. Anzi sono loro che fanno i conti a noi. Perché l’Inps è il più importante ente del sistema pensionistico pubblico italiano, i lavoratori dipendenti pubblici o privati, e la maggior parte di quelli autonomi che non hanno la propria cassa previdenziale, devono esserci iscritti.

Salvatore Scivales è uno dei quasi 27mila addetti dell’Inps, è stato assunto nel 1990. “Praticamente una vita fa”, ironizza. “Prima ero impiegato in Lombardia, poi sono tornato da queste parti”. In Abruzzo e Molise, in quelle terre che quest’anno hanno vissuto il doppio dramma del terremoto e del maltempo. Lo stesso presidente del consiglio Paolo Gentiloni è stato pochi giorni fa a Teramo, a rincuorare la popolazione e ad assicurare l’aiuto dello Stato italiano ai concittadini più sfortunati. Del resto anche l’Inps, oltre alle pensioni, si occupa di garantire un pur minimo reddito agli anziani che non hanno sufficienti contributi, ed eroga la cassa integrazione ai lavoratori delle aziende in difficoltà.

“Ogni ufficio ha le sue peculiarità, legate alle diverse richieste che vengono dai territori - osserva Scivales - l’Italia non è tutta uguale, ci sono regioni che hanno affrontato meglio la crisi, e regioni in cui invece i problemi continuiamo ad essere gravi”. Ma come si sceglie di fare nella vita l’impiegato all’Inps? Salvatore Scivales racconta che per lui passare il concorso ed essere chiamato dall’istituto fu una grande soddisfazione. “Non avrei mai potuto fare l’infermiere perché mi fa effetto il sangue. Per fare il vigile del fuoco non avevo il fisico. L’Inps è diventata la mia ‘missione lavorativa’”.

I conti dell’Inps sono in equilibrio, anche grazie al contestato sistema contributivo entrato in vigore nel 1996. La preoccupazione di Scivales è legata alle difficoltà sempre maggiori che hanno milioni di lavoratori, a causa della crisi delle loro aziende. “Ormai le multinazionali delocalizzano nei paesi dove il lavoro costa meno, questo si riflette pesantemente sulla tenuta dell’occupazione. L’internazionalismo, che univa i lavoratori di tanti paesi diversi, è stato cancellato da una sorta di nuovo egoismo nazionale. Guardiamo in faccia la realtà: i confini fra le nazioni sono il frutto di secoli e secoli di guerre, quando invece la nostra patria dovrebbe essere il mondo intero”.

Anche le sacche di privilegio che rimangono in alcuni settori per Scivales sono da condannare. “Se ad esempio deputati e senatori versassero i contributi all’Inps e ricevessero una pensione commisurata ai loro versamenti, darebbero il buon esempio all’intero paese e sarebbero meno impopolari di quanto attualmente sono”.

L’Inps si occupa principalmente del settore previdenziale, che insieme alla scuola e alla sanità è quel che resta del sistema del welfare creato nel secondo dopoguerra in Europa, da tempo sotto attacco da parte delle forze neoliberiste. A costo di risultare impopolare, Scivales pensa che il nuovo corso dell’Inps guidata da Tito Boeri possa avere una valenza positiva. “La parola d’ordine dei nuovi vertici è ‘il cittadino al centro’”. Se alla mancata crescita di questi ultimi quindici anni si aggiunge la denatalità, il mix che ne viene fuori è preoccupante. “Bisogna stare molto attenti ed armonizzare le prestazioni pensionistiche. La solidarietà è uno dei principi su cui deve reggersi il sistema. Chi ha di più deve dare di più, chi ha di meno deve essere sostenuto, aiutato”.

Le nuove generazioni sono ormai pagate con i voucher. “Per questo i referendum della Cgil sono giustificati, sacrosanti”. Il delegato della funzione pubblica Cgil, osserva che sul punto lo stesso Boeri finisce per dar ragione al sindacato. “Con i voucher, ufficialmente, si è cercato di combattere il lavoro nero. Invece il lavoro nero è continuato e i voucher, come rileva lo stesso presidente dell’Inps, hanno preso il posto dei contratti, ecco perché vanno aboliti”.

Dal primo gennaio è attiva la nuova agenzia unica ispettiva - Ispettorato nazionale del lavoro - che unifica le funzioni di Inps, Inail e ministero del lavoro, per rendere più efficace la vigilanza contro abusi, evasioni. “Quinto Fabio Massimo, detto il temporeggiatore, dopo Canne aveva timore di affrontare Annibale in campo aperto. Fu accusato di essere una pecorella, ovicula. Invece è passato alla storia come il salvatore di Roma. Non bisogna avere fretta per affrontare i nodi che pure restano”. L’Inps è sempre più informatizzato, ormai ogni cittadino può controllare on line la propria posizione. “Su questo siamo all’avanguardia”. Da quegli uffici passa tutta la nostra vita lavorativa.

 

Il 25 gennaio scorso, a ottantanove anni, è morto uno degli ultimi allievi di Benedetto Croce. 

Avvocato di professione, Gerardo Marotta era uno degli ultimi allievi di Benedetto Croce, ma soprattutto il cofondatore del 1975, insieme alla figlia di Croce, dell’Istituto italiano per gli studi filosofici. Per comprendere la portata del centro culturale, basta ricordare le figure che ha ospitato: dal premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini e quello per la fisica Steven Weinberg, da Jacques Derrida a Karl Popper e Hans-Georg Gadamer. Se la cultura potesse essere quantificata, quella a capo dell’Istituto raggiungerebbe un valore numerico molto alto, con le sue 300mila opere acquistate da Gerardo Marotta, nell’arco della sua vita, oggi smistate tra capannoni e locali vari.

E’ una delle più vaste e ricche biblioteche, che comprende edizioni originali di Benedetto Croce e Giordano Bruno, che resta ancora senza casa, nonostante dichiarazioni di impegno di svariate figure istituzionali, come il presidente della Regione Campania. E’ una beffa, e ora non ci resta che chiederci cosa accadrà di questa preziosa biblioteca, nella speranza che torni al suo antico splendore quella struttura che, con oltre quaranta anni di storia alle spalle, è stata il luogo di comunione culturale per svariate generazioni. La sede è nel palazzo che fu di Gennaro Serra, uno dei riferimenti della rivoluzione napoletana, e non si tratta di una coincidenza perché quel periodo storico, ricco di idee libertarie e illuministe, ha sempre animato gli studi e il pensiero di Marotta, “ultimo giacobino”, come spesso era chiamato.

Schiere di studenti universitari si sono ritrovate nel suo istituto, acquisendo consapevolezza che la vera cultura non forma ghetti, ma si apre sempre al nuovo e al diverso. L’Istituto non si limitò ad ospitare solo uomini di cultura, Marotta volle aprire le sale al popolo dei quartieri. Una delle esperienze più significative che ha condiviso è stata quella dell’associazione culturale “ Plebiscito e dintorni”. La sua grande passione civile e l’amore per Napoli, il sogno di una crescita culturale e civile della popolazione, l’hanno visto partecipe in prima persona alle tante iniziative, come la battaglia per la pulizia nei vicoli, quella per le regole certe e condivise, e la lotta alla camorra.

L’esperienza di Gerardo Marotta ha varcato i confini italiani e ha trovato credito in tutte le nazioni, tanto che l’Unesco l’ha definita un’esperienza senza uguali. Con la sua scomparsa, non solo Napoli ma tutto il mondo della cultura italiana ed europea ha perso un punto di riferimento, sempre dalla parte della libertà e dei diritti. Un modo per onorare la sua memoria sarebbe creare la Cittadella della cultura a Monte di Dio, il suo ultimo sogno.

 

La giornata della memoria ci richiama alle persecuzioni di ieri e di oggi. Forse stiamo arretrando globalmente nel processo democratico.  

Il 27 gennaio è stata la giornata della memoria e anche quest’anno Cgil Lombardia ha organizzato il treno della memoria, coinvolgendo studenti, testimoni, altre organizzazioni sindacali.

Un anno fa ho partecipato a questa esperienza che cambia per sempre il modo di vedere quello che è accaduto: non più solo drammatiche immagini, ma guardare in faccia l’orrore a cui può arrivare l’uomo. Non ho smesso di domandarmi perché, come è potuto accadere; di cercare di capire cosa fare perché non possa accadere più. Persone ben più esperte di me, studiosi, gli stessi testimoni che si vergognavano a raccontare quanto subito, ancora oggi faticano a trovare una plausibile spiegazione che possa attenuare solo parzialmente quanto accaduto.

Credo però che una sottile ma costante linea di indifferenza colleghi tanti episodi diversi per entità, ferocia, determinazione, eppure mi domando quante cose lasciamo che accadano senza prendere posizione? L’olocausto si distingue sempre per la lucidità e la determinazione durata anni nell’identificare una “razza”, un gruppo che doveva essere sterminato. Non è stata solo follia ma anche una determinazione scientifica, cosa che ancora risulta difficile da capire è che deve essere capita e studiata.

Eppure la stessa tragedia ci consegna delle suddivisioni: olocausto degli ebrei, degli zingari, degli oppositori politici; talvolta ricordati separatamente, ancora con imbarazzo, olocausto degli omosessuali. Non sono solo vittime? Etichettare queste tragedie rischia di ridurle a problemi di un solo gruppo o categoria. Coloro che muoiono nel mare sono solo “migranti”, i prigionieri delle carceri siriani “oppositori di regime”, le vittime dell’Isis “martiri”? Non stiamo forse arretrando globalmente nel processo democratico?

Nella vicina Turchia ormai da più di un anno assistiamo alla sospensione dei diritti civili, mentre è in attesa di entrare nella comunità europea. Quello che avviene in Russia è sotto gli occhi di tutti, non diverso dal regime siriano che usa i criminali dell’Isis per eliminare gli oppositori.

In questi giorni ricorre il giorno della memoria delle foibe, lo riduciamo ad un altro sottogruppo di crimini ingiustificabili? Non è un tentativo di semplificare questioni complesse, quanto il tentativo di non capire se abbiamo imparato almeno in parte la lezione. Proprio in questa logica perversa vanno le barriere ai paesi “islamici” attuati da Trump nel parallelismo fra Islam e terrorismo, o i muri eretti in Ungheria contro gli immigrati, sinonimo ancora una volta di terrorismo. A dimostrazione che nulla si è imparato. Sapremo far fronte alla nostra indifferenza, e dare una risposta costante ed efficace?

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