Il 22 novembre scorso sono stati rilasciati dalla Questura competente gli attesi permessi di soggiorno per i braccianti sfruttati nella campagne del trevigiano, per i quali la Flai Cgil del Veneto aveva presentato nel luglio scorso un esposto alla Procura della Repubblica di Treviso. La vicenda risale alla primavera scorsa quando questi lavoratori entrano in contatto con la Flai del Veneto, che ha raccolto le loro drammatiche testimonianze. Vivevano in ostaggio all’interno di un casolare a Ponte di Piave nella campagna trevigiana, fino a 50 persone nella stessa casa, senza luce, acqua e gas, senza nessuna condizione igienico sanitaria, sfruttati per 12 o 14 ore al giorno da un caporale pakistano e da altri quattro sodali. Non hanno mai percepito retribuzione a causa del debito contratto con il caporale, che, con la promessa di un permesso di soggiorno, aveva chiesto e ottenuto da loro 5mila euro, sostanzialmente truffandoli.
Dopo una lunga fase in cui hanno vissuto nel limbo, 13 dei 16 lavoratori che hanno avuto il coraggio di denunciare i propri aguzzini si sono visti riconoscere il diritto a soggiornare regolarmente nel nostro Paese, grazie all’intervento dalla Flai e alla presa in carico del Network anti-tratta del Progetto Navigare. Il riconoscimento del permesso di soggiorno consentirà di avviarli nel mercato del lavoro regolare, uscendo dalla condizione di invisibilità. Per questi ragazzi quella condizione di sfruttamento è un ricordo ancora vivido ma rappresenta il passato: oggi vivono in una situazione alloggiativa dignitosa e protetta. Questo è stato possibile grazie all’applicazione della legge 199/2016, legge che ha visto la luce grazie alla spinta propulsiva della Flai dopo la tragica morte di Paola Clemente, per la fatica del lavoro sfruttato nelle campagne pugliesi nel luglio del 2015.
Stimiamo prudenzialmente che in Veneto lo sfruttamento lavorativo in condizioni servili e il caporalato in agricoltura assoggettino 5.500 lavoratori. Stime destinate ad aumentare a causa delle politiche securitarie del governo e del nefasto combinato disposto della legge Bossi-Fini, che rende la vita e la condizione delle persone legata ad un atto amministrativo, e del “Decreto flussi”, che condannano questi lavoratori all’illegalità e allo sfruttamento.
Le recenti modifiche al succitato decreto sono una foglia di fico e non risolvono alcuno dei problemi ai quali stiamo facendo fronte come sindacato. Ad esempio, delle richieste di manodopera e dei successivi nulla osta per lavoro stagionale o subordinato, solo meno del 20% si traducono in un rapporto di lavoro effettivo: migliaia di lavoratori versano in uno stato amministrativo di illegalità, quindi sfruttamento, lavoratori entrati nel nostro Paese regolarmente con un visto e un nulla osta diventati irregolari a causa di queste leggi. Per questo stiamo chiedendo una regolarizzazione diffusa con il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, che permetterebbe di fare uscire dallo sfruttamento queste persone e consentirebbe alle imprese sane di assumerli regolarmente, considerato il fabbisogno di manodopera dichiarato dalle associazioni di impresa.
Infine, continuiamo la nostra battaglia per la cancellazione della Bossi-Fini, chiedendo al legislatore di cambiare paradigma sulle migrazioni uscendo dall’approccio securitario e ideologico a fini elettorali.
A seguito delle numerose testimonianze che abbiamo raccolto e consegnato all’autorità giudiziaria, abbiamo la certezza che esiste una rete trans-nazionale di compravendita dei nulla osta per lavoro stagionale in agricoltura che vengono richiesti da aziende fittizie, senza alcuna consistenza aziendale. Questi permessi per lavoro non subiscono alcun controllo da parte delle autorità italiane, e una volta inoltrati nelle ambasciate dei Paesi di provenienza inizia una vera e propria vendita organizzata da agenzie di trafficanti. Le testimonianze ci dicono, per esempio, che i braccianti che abbiamo salvato hanno acquistato i nulla osta ad un costo che varia dai 10mila ai 15mila euro, pagati ad intermediari di agenzie che addirittura fanno pubblicità sui maggiori social network.
Il buon esito di questa vicenda ci dà alcuni spunti di riflessione. Il primo è che sconfiggere il caporalato e lo sfruttamento è possibile: non occorrono nuove leggi ma l’applicazione integrale delle norme esistenti a partire dalla legge 199/2016. Il secondo è che le istituzioni governative dovrebbero manifestare una vera volontà di estirpare questo cancro dell’economia, che sfrutta lavoratori e lavoratrici. La terza è che da solo il sindacato non può fronteggiare i diversi ambiti e le complessità dei casi di caporalato. Per questo la Flai Veneto ha deciso di strutturare una rete sinergica con il Network del terzo settore per la presa in carico e l’emersione, e di accentrare tutti i casi ad un unico studio legale convenzionato.
Abbiamo restituito a queste persone la dignità calpestata da chi li ha sfruttati, e da chi ha permesso che tutto questo accadesse. Possono gridare finalmente: “Noi esistiamo e siamo qui”.