I rapporti di lavoro a tempo indeterminato assumono nel nostro ordinamento giuridico e per il nostro quadro valoriale-culturale qualità di riferimento alla quale tendere, per garantire stabilità occupazionale e progettualità a lungo termine. Tanto che le altre forme contrattuali vengono descritte come atipiche, proprio in riferimento al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La struttura occupazionale viene influenzata dalla dinamica dei rapporti di lavoro, cioè dai tipi di avviamenti, ma per comprendere l’effetto complessivo di questi ultimi può essere utile guardare agli occupati in diversi punti nel tempo. Per questo è utile comparare la situazione nel 2014, anno che precede la riforma del lavoro nota come Jobs Act, con quella del 2019, anno sufficientemente distante dall’avvento di quella riforma e antecedente l’arrivo della pandemia Covid-19. Inoltre viene preso in considerazione il periodo successivo al 2019 per osservare la reazione della struttura occupazionale ad uno shock esterno, quale appunto la pandemia, mentre per quanto concerne la riforma del lavoro non possiamo parlare di shock, ma di modifica strutturale che manifesta i propri effetti gradualmente nel tempo.
Quello che emerge è un quadro nel quale la quota di occupati stabili sul totale cala complessivamente ovunque tra il 2014 e il 2019, fenomeno interrotto con l’esplosione della crisi pandemica e poi riavviatosi rapidamente, per tornare nel 2023 a una situazione simile a quella del 2019.
Complessivamente il dato cala dall' 88% all' 85% nella città metropolitana di Milano, e dall' 84% al 77% in quella di Napoli. Chi legge avrà notato che l’impatto nella città meridionale è più intenso: questa è una caratteristica del fenomeno di precarizzazione della struttura occupazionale, che ha un impatto negativo per chiunque lavori, ma a velocità differenti. Gli operai subiscono il fenomeno in maniera più intensa in entrambi i territori, seguiti dagli impiegati e via discorrendo fino ai dirigenti molto più protetti.
L’intersezione col genere si mostra in maniera importante e acuita nella città meridionale: si osserva una penalizzazione acuta per le impiegate napoletane (- 6 punti percentuali), rispetto al resto degli impiegati (tra i 2 e i 3 punti percentuali in meno).
Per quanto riguarda le fasce d’età, sappiamo che man mano che ci spostiamo verso quelle più giovani incontriamo una maggior difficoltà per quanto concerne l’accesso ad un’occupazione stabile. Tuttavia si nota oggi una distanza già per quella fascia di popolazione adulta compresa fra i 35 e i 44 anni (3 punti percentuali in meno della fascia 45-54 anni), con un calo nel tempo ancora una volta maggiormente accentuato nel territorio napoletano e per le donne: i maschi milanesi a tempo indeterminato tra i 35 e i 45 anni subiscono un calo nei dieci anni dal 91% all'88%, mentre quelli napoletani dall' 87% all' 81%; per le donne milanesi si passa dall' 85% al 78% e per le napoletane da una quota dall’82% al 73%. Ricordiamo che si tratta di una popolazione lavorativa che ha conosciuto, come i più giovani, la precarietà come condizione di accesso al mondo del lavoro.
In sintesi, l’applicazione di regole di mercato ad una sfera come quella del lavoro comporta una mercificazione delle relazioni lavorative, che scarica il proprio cinismo nello stesso modo ma a intensità differenti in base alla vulnerabilità delle fasce di popolazione e dei territori.
Anche per questo occorre passare dal concetto di mercato del lavoro a quello di “governo del lavoro”. E anche per questo serve combattere l’autonomia differenziata, perché, come abbiamo visto, anche un territorio relativamente forte come Milano non salva lavoratrici e lavoratori dalla voracità del capitale. Competizione economica e ulteriore flessibilizzazione delle regole derivanti dalla frammentazione regionale danneggerebbero sicuramente di più i territori più deboli, ma danneggerebbero certamente anche quelli più ricchi.
Nei prossimi mesi, Corte Costituzionale permettendo, avremo l’occasione referendaria sia per fermare le diseguaglianze e le vulnerabilità che sarebbero prodotte dall’autonomia differenziata, sia, con i referendum sociali promossi dalla Cgil, per invertire la rotta alla crescente precarizzazione del lavoro.