Si è conclusa il 2 novembre scorso la Cop16 della Convenzione della Biodiversità (Cbd). A Cali in Colombia, la tabella di marcia prevedeva una plenaria conclusiva per il giorno precedente, ma i negoziati sono andati per le lunghe. Molti delegati dei paesi del Sud del mondo, per non cambiare il volo aereo e uscire dai budget accordati dai rispettivi governi, sono rientrati comunque. L’esodo ha fatto mancare il numero legale per prendere diverse decisioni, che sono quindi rimandate al lavoro intersessionale che ci separa dalla prossima Cop.
I negoziati sono stati un flop. Non si registrano progressi nell’attuazione del Quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal (Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework), l’accordo raggiunto nel 2022 su nuovi obiettivi di protezione della biodiversità globale. La stragrande maggioranza dei paesi doveva definire nuovi piani nazionali coerenti con gli obiettivi del quadro, ma solo 44 su 196 l’hanno fatto, con una qualità tutta da vedere. Allo stesso modo, il disinteresse dei paesi ricchi si è manifestato nei numeri. A fronte di 20 miliardi di dollari da sborsare al “Fondo per la natura” entro il 2025, hanno versato 250 milioni.
Fare l’ennesimo elenco delle mancanze dei governi nelle pieghe della governance internazionale è un esercizio sempre meno utile. Più interessante è osservare quali sono gli argomenti caldi dibattuti in questi spazi, e cosa comportano per la vita e il lavoro di miliardi di persone.
Ad esempio, si discute sempre più animatamente di intelligenza artificiale, biologia sintetica e organismi geneticamente modificati, qualcosa che appare molto distante dalla nostra quotidianità. Eppure è proprio ciò che rischia di plasmare il futuro dei sistemi alimentari, sanitari e della nostra esistenza. Sono queste le frontiere oggi scandagliate da multinazionali farmaceutiche e agrochimiche, con i governi divisi fra il supporto incondizionato e la precauzione.
La possibilità di combinare la potenza di calcolo dell’AI con big data provenienti dal sequenziamento genetico degli organismi viventi, infatti, apre spazi sconfinati di progettazione di nuovo Dna digitale. Questo codice genetico verrà sintetizzato in laboratorio nelle forme decise da un supercomputer, per poi essere introdotto in cellule vegetali, animali e umane.
La preoccupazione è che questa corsa alla “biologia generativa”, che “crea” forme di vita contemporaneamente tecniche e naturali, non abbia come punto d’arrivo la sostenibilità promessa dalle imprese. È più probabile aspettarsi come risultato una concentrazione mai vista del potere nelle filiere alimentari e farmaceutiche, con la possibilità di applicare la modificazione genetica – e i relativi brevetti – su scala ecosistemica.
Di questi argomenti si occupano in pochi nella società civile. I movimenti contadini e indigeni del Comitato internazionale per la sovranità alimentare (Ipc) sono tra questi. Se fino ad oggi le regole globali della Cbd avevano obbligato imprese e ricercatori a firmare accordi di consenso informato per accedere alla biodiversità delle comunità locali, oggi c’è un ostruzionismo del Nord globale ad estendere le stesse regole alle risorse genetiche digitalizzate.
Nei database più grandi del mondo – tutti con sede in paesi “sviluppati” – sono già state caricate milioni di informazioni di sequenza digitale (Digital Sequence Information, Dsi). Ricavate da organismi viventi come semi, piante, batteri, virus e non solo, una volta digitalizzate da ricercatori pubblici e privati vengono piazzate su banche dati ‘open access’ senza la tracciabilità d’origine. Ciò permette l’appropriazione gratuita da parte di aziende che utilizzano questo Dna sotto forma di dati per risintetizzarlo in prodotti brevettati come sementi, piante o medicine. L’agricoltura Ogm e il settore farmaceutico sono settori sempre più dipendenti dall’uso delle Dsi.
Per correre ai ripari, i governi hanno approvato alla Cop16 un fondo per ripartire i benefici derivanti dall’utilizzo di queste risorse genetiche digitali. Ma il contributo resterà volontario, oltre a rappresentare un’elemosina che i movimenti sociali non desiderano, perché tengono molto di più ai loro diritti sulle risorse genetiche utilizzate o conservate dalle loro comunità. Questi diritti, sanciti con la nascita della Cbd nel 1992, verranno messi in questione non appena una qualche sequenza genetica contenuta nelle loro piante si troverà contemporaneamente in un prodotto farmaceutico o agricolo brevettato da un’impresa transnazionale.
Nessuno ne ha parlato in questi termini, ma questa Cop ha sancito la morte della Convenzione della Biodiversità come la conosciamo. Una nuova miniera è stata aperta a Cali, e non verrà chiusa finché non verrà approvato ad ogni livello un chiaro divieto sulla brevettazione del vivente.