Con la caduta del muro di Berlino e l’affermazione del “nuovo spirito del mondo” della globalizzazione capitalistica, alla libera circolazione dei capitali e delle merci non ha mai corrisposto un’eguale libera circolazione delle persone. La Fortezza Europa con il regolamento di Dublino, e il nostro paese con la famigerata legge Bossi-Fini del 2002, hanno teso ad impedire con tutte le modalità possibili l’inarrestabile fenomeno migratorio, favorendo di fatto l’irregolarità, lo sfruttamento, il lavoro nero, di cui hanno beneficiato l’economia sommersa e le organizzazioni mafiose, esperte nella gestione del caporalato. La tragica morte di Satnam Singh a Latina è solo uno dei tanti tragici episodi che contraddistinguono le agromafie, tanto che Angelo Ferracuti, su “La Lettura” del 20 ottobre, ha parlato di “fascismo agrario”.
Con la crescita dell’estrema destra nel Parlamento europeo, assistiamo ad un ulteriore giro di vite sulla pelle dei migranti, cinicamente individuati come capro espiatorio per l’ennesima guerra tra gli ultimi, dato che la crisi da sovraccumulazione e sovrapproduzione del modo di produzione capitalistico, accentuando drammaticamente le diseguaglianze e generando in grande quantità “lavoro povero”, produce frustrazione e risentimento sociale nelle classi popolari.
Il nuovo giro di vite si inserisce all’interno del “Patto asilo e immigrazione” della scorsa primavera, che dovrebbe entrare in vigore nel 2026. Quindici paesi, tra i quali la Danimarca a guida socialdemocratica, hanno però proposto gli hotspot fuori dai confini Ue, con l’Olanda che indica come meta addirittura l’Uganda. Questi paesi vorrebbero un sistema legalizzato di trattenimento alla frontiera, per giungere a procedure di respingimento che fino ad oggi contrastano con le norme comunitarie, oltre a rivedere la direttiva “rimpatri”, per effettuare espulsioni lampo. Così facendo verrebbe meno il diritto alla protezione da parte della Ue, sancendo, come sostiene l’Asgi, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, il “requiem per il diritto d’asilo”.
Non è casuale che in questa direzione Giorgia Meloni abbia previsto la deportazione dei migranti in Albania, per facilitare i rimpatri e dissuadere le partenze. Aprendo un conflitto di grande rilevanza con la magistratura non solo a proposito della lista dei paesi sicuri, se è vero, come sostiene Luigi Ferrajoli (il manifesto 18 ottobre), che saremmo in presenza di un vero e proprio sequestro di persona.
Che poi il prospettato calo demografico dell’intera Europa, insieme alle impellenti richieste del mondo dell’economia, diverga dagli obiettivi perseguiti dal Patto, è testimoniato dal piano triennale flussi 2023-2025 per l’ingresso di 452mila lavoratori e lavoratrici stranieri (a fronte di un fabbisogno rilevato di 833mila) che il governo di centro-destra è stato costretto a varare, mentre blaterava di porti chiusi e blocco navale. Una sanatoria dei 500-600mila irregolari presenti sul territorio sarebbe stata la soluzione più logica.
Mai però la politica si è rivelata così schizofrenica. Quest’estate, molte persone si sono giustamente interrogate sulla differenza che i media hanno riservato al naufragio della barca Bayesian rispetto al naufragio di un barcone sul fiume Drina tra la Bosnia e la Serbia. Per quale ragione i morti e i superstiti non hanno avuto la medesima rilevanza mediatica è presto detto: sulla Bayesian erano in crociera esponenti dell’élite globale, mentre sul barcone tentavano la fuga quelli che l’Occidente collettivo - che usa due pesi e due misure tra le vite dei palestinesi e quelle degli israeliani - definisce “non persone”, per riprendere il titolo del bel libro di Alessandro Dal Lago.
“Non persone” che, in conseguenza delle politiche discriminatorie della Fortezza Europa, di Frontex e del governo di centro-destra, non avrebbero il diritto alla fuga da condizioni di vita indegne, figlie dei bombardamenti indiscriminati nel Medio Oriente e nel continente africano effettuati dalle potenze occidentali (e non solo) nel corso di un quarto di secolo.
Al 6 agosto le vittime dall’inizio dell’anno nel mar Mediterraneo sono state 1.021, ma dalla strage di Cutro - sulla quale nell’istruttoria in corso stanno emergendo le gravi responsabilità per omissione di soccorso - i migranti non fanno più notizia. Al punto che il naufragio della notte del 16-17 giugno in prossimità di Roccella Jonica è stato occultato dal governo, come emerso da una inchiesta della trasmissione Report, ripresa da il manifesto. Si racconta che gli sbarchi sono diminuiti, ma non si dice che, grazie agli insanguinati accordi con Libia e Tunisia, 13.763 persone sono state riportate nei lager libici, e circa 30mila nel deserto tunisino.
Anche i moniti di Papa Francesco rimangono inascoltati, e ci si interroga - vista la continua criminalizzazione delle Ong, alle quali vengono sistematicamente assegnati porti lontani per lo sbarco delle persone salvate in mare - fino a quando l’assenza di corridoi legali e umanitari farà prevalere la morte rispetto al diritto alla vita.