Francia, la crisi del blocco borghese apre a due prospettive radicalmente antagoniste - di Stefano Palombarini

Il paesaggio politico francese è in rapida evoluzione. Nel 2022 Macron è stato rieletto alla presidenza della Repubblica, ma le legislative della scorsa estate sono state vinte dalle opposizioni: l’estrema destra del Rassemblement national (Rn) è arrivata in testa al primo turno, la coalizione della sinistra ha ottenuto il maggior numero di deputati al secondo, ma ognuno dei tre schieramenti è minoritario.

Con Bruno Amable, abbiamo chiamato “blocco borghese” la coalizione che ha permesso a Macron di accedere al potere nel 2017 (B. Amable, S. Palombarini, L’illusion du bloc bourgeois, Raisons d’Agir, Parigi, 2018). Le riforme di segno neoliberista hanno prodotto la frattura progressiva dei vecchi blocchi sociali, di appoggio da un lato al Partito Socialista, dall’altro alla destra di origine gaullista, ormai formazioni politicamente marginali.

In un contesto di crisi politica profonda, Macron ha riunito in un’unica coalizione i gruppi favorevoli al proseguimento della transizione neoliberista e a un approfondimento della costruzione europea. Questi gruppi hanno in comune di appartenere alle classi privilegiate o alla fascia alta delle classi intermedie: un blocco borghese, appunto. Tuttavia, sin dal 2017 era chiaro il destino minoritario di tale alleanza sociale, costruita “al di là della destra e della sinistra” e che escludeva programmaticamente l’insieme delle classi popolari dai meccanismi dello scambio politico. E’ la frammentazione prodotta dalla crisi politica che ha permesso a Macron di imporsi, per memoria con il 24% dei voti al primo turno nel 2017 e con il 27,8% nel 2022.

A queste considerazioni ne va aggiunta un’altra: il paradigma neoliberista, che struttura da tempo la visione del mondo di una larga parte delle élite (politiche, economiche, mediatiche, culturali) ma anche della maggioranza della popolazione francese, ha perso, per usare in altro contesto un’antica espressione, la sua capacità di propulsione. In tale paradigma, il motore della crescita è l’impresa, concepita come attore unitario e non come terreno di conflitto e compromesso tra interessi contraddittori; il lavoro è legato agli investimenti privati, a loro volta facilitati da un tasso di profitto elevato; l’unico reddito legittimo è quello legato a qualità individuali; l’organizzazione concorrenziale dei mercati è superiore ad ogni altra in termini di efficacia.

Va ricordato che fino ad una ventina di anni fa, tale paradigma era portatore di una promessa di progresso: in una società resa più flessibile dalle riforme neoliberiste, chiunque, anche partendo dalle posizioni più svantaggiose, avrebbe potuto ambire ad una rapida ascensione sociale, alla sola condizione di meritarlo. Ma ormai, ed è qui la perdita della potenza politica del paradigma neoliberista, queste promesse sono talmente poco credibili che più nessuno osa pronunciarle.

Le politiche di sostegno dei profitti, di smantellamento dei servizi pubblici, di apertura totale alla concorrenza internazionale, di riduzione del perimetro della contrattazione collettiva, hanno prodotto una diffusione fortissima del precariato e del lavoro mal pagato, e più in generale un forte degrado delle condizioni di vita delle classi medie e popolari. Chi ancora sostiene le riforme neoliberiste le presenta come necessarie, ma nessuno più osa associare ad esse una qualsiasi idea di progresso.

In questa configurazione politico-ideologica va letta la crisi del blocco borghese. Che apre due prospettive possibili, radicalmente antagoniste. L’estrema destra del Rn cresce all’interno del paradigma neoliberista, del quale non contesta nulla. Tuttavia il Rn propone una forma di protezione a chi si sente minacciato dagli effetti delle ‘necessarie riforme’. Facendo leva su un razzismo diffuso, l’estrema destra promette di mettere una frazione delle classi popolari (quella bianca, francese da generazioni, di cultura cattolica) al riparo dalle conseguenze dolorose della transizione verso il capitalismo neoliberista, conseguenze che ricadranno interamente su immigrati, musulmani, francesi di origine straniera, abitanti delle banlieue ecc.

L’altra prospettiva è quella di una nuova sinistra che si è aggregata attorno a un progetto di rottura netta con il neoliberismo: rottura ideologica, politica e istituzionale. Il blocco di sinistra ha un peso significativo, attorno al 30%. Tuttavia deve fare i conti con un paesaggio mediatico totalmente schierato in difesa degli attuali rapporti di potere.

D’altra parte, confrontate allo sfaldamento del blocco borghese, le classi privilegiate vedono ormai nell’estrema destra il miglior garante della continuità, il che spiega che l’attuale governo Barnier sia l’espressione di un’alleanza di fatto tra il blocco macronista e il Rn.

La partita nei prossimi anni si giocherà dunque tra sinistra e estrema destra; una partita aperta, ma che per la sinistra si annuncia tutt’altro che semplice.

 

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