A fine luglio, in tutta Italia, sono 54.471 le malattie professionali denunciate, +22,59% rispetto l’anno precedente nello stesso periodo. Mentre sono 386.553 le denunce di infortunio a fine agosto, con un aumento dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Sono 680 i morti sul luogo di lavoro denunciati all’Inail da gennaio ad agosto 2024, con un aumento del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. Storie drammatiche che, purtroppo, abbiamo sentito molte volte, troppe volte. Una statistica che ferocemente si ripete, divorando vite e famiglie.
Il nostro modello produttivo causa più di mille morti l’anno, oltre a centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che portano sui propri corpi i segni del loro lavoro, del nostro Pil. Giovani, donne e uomini, italiani e stranieri, lavoratori precari, a tempo determinato e indeterminato, autonomi e partite Iva, appena assunti e di grande esperienza, pensionati. Lavoratrici e lavoratori che usano il mezzo per lavoro. Lavoratrici e lavoratori in appalto o in sub appalto, con contratti di somministrazione. C’è chi si ferisce o muore mentre va o torna dal lavoro.
Insomma, milioni di persone ogni giorno sono esposte al rischio del lavoro che compiono quotidianamente, o per la prima volta. Ma ogni volta per vivere, per pagare un affitto o il mutuo, per pagare le bollette o i libri di scuola dei figli. Ogni volta e sempre troppo spesso senza esserne davvero coscienti o senza aver usufruito della formazione, l’informazione che spetterebbe per legge.
Dalla loro condizione dipende la probabilità di ritrovarsi feriti o malati, se non addirittura morti. Dalla cultura per la prevenzione e la sicurezza dipende la probabilità di essere vittime di infortunio o di ammalarci di lavoro. Dall’efficacia della formazione e dell’informazione dipende la professionalità con cui si affrontano le lavorazioni.
Questo è il quadro in cui si è svolta, ancora una volta, la Settimana europea della sicurezza nei luoghi di lavoro. Una settimana in cui ci si preoccupa, più che in altri periodi dell’anno, di capire come non sottoporre alla consueta mattanza le “risorse umane”. Così oggi vengono definite, e forse per questo i datori di lavoro le sfruttano ancora e ancora di più, sino a farle ammalare, farle ferire o farle morire.
La questione che dobbiamo provare a porre quotidianamente è riuscire a mettere in campo il cambiamento necessario, come voluto dalla Costituzione che deve davvero essere applicata, attraverso una reale responsabilità sociale dell’impresa e una reale tutela della salute in ogni ambiente di vita e di lavoro, come bene primario dell’individuo e della collettività.
Quante volte lo abbiamo detto, e nella settimana della sicurezza lo abbiamo ripetuto, serve aumentare i controlli e la vigilanza. Ma il numero degli ispettori delle Ats (Agenzia di Tutela della Salute) continua inesorabilmente a diminuire, in Lombardia sono passati dal 2010 da 990 circa a 450 nel 2020. Lo stesso destino hanno avuto gli Psal (Struttura Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro) nelle altre regioni d’Italia. Con questi numeri è impossibile garantire i controlli necessari per un presidio di tutela della salute, di legalità e di leale concorrenza delle aziende e nelle aziende. Servono controlli di qualità, non certificarne una quantità, quella dei Lea, per garantire il bilancio delle Aziende sanitarie territoriali o locali.
Serve investire nella vigilanza aziendale, indagarla con i controlli e farla praticare con i Piani mirati di prevenzione. Cioè far funzionare la linea gerarchica, quella che passa dal datore di lavoro, attraverso i dirigenti e i preposti, fino ai lavoratori, e far funzionare la linea funzionale, quella che va dal datore di lavoro al medico competente, al Rspp e al Rls (ancora oggi troppo spesso non riconosciuto, isolato e ostacolato).
Solo così possiamo mettere in campo una corretta valutazione dei rischi, generando precise procedure, una efficace formazione e attendere le segnalazioni e le indicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori, dei preposti e dirigenti, per migliorare ulteriormente le procedure e il Documento di valutazione dei rischi. Mettendo in campo così il miglioramento continuo del sistema di gestione aziendale. Tutto deve essere trasparente e partecipato, tutte e tutti devono essere correttamente informati dei rischi a cui sono sottoposti durante il lavoro, e devono essere formati ad affrontarli.
Solo così, ridando al lavoro dignità e professionalità, potremo veder scendere quella statistica infame che fa del lavoro una causa di morte e sofferenza anziché il fondamento della nostra Repubblica.