Per il rinnovo del contratto e contro una legge di bilancio che penalizza i lavoratori del settore.
La Flc Cgil chiama la scuola e tutto il comparto “Istruzione e ricerca” a scioperare il 31 ottobre 2024. Il motivo è presto detto: l’azione messa in campo dal governo e dal suo ministro dell’Istruzione penalizzano e mortificano fortemente i lavoratori del settore sul piano retributivo e professionale.
Sul piano retributivo siamo di fronte ad un contratto nazionale di lavoro relativo al triennio 2022-24 che attende di essere rinnovato ormai da quasi tre anni (dopo che già il precedente contratto è stato rinnovato con ben sei anni di ritardo). Al grave ritardo cumulato si aggiunge l’assoluta inadeguatezza della proposta salariale: in legge di bilancio il governo stanzia risorse per un incremento retributivo nel triennio di appena il 5,78%, pari a 135 euro medi mensili, mentre l’inflazione relativa allo stesso periodo è di circa il 18%, per cui servirebbe un finanziamento triplo rispetto a quanto proposto per tutelare pienamente il potere d’acquisto dei redditi dei lavoratori della scuola. In assenza di risorse aggiuntive in legge di bilancio, non solo i redditi non cresceranno in termini reali ma addirittura perderanno i 2/3 relativamente al tasso d’inflazione del triennio.
Il ministro Valditara sostiene che però i lavoratori della scuola si avvantaggerebbero del taglio del cuneo contributivo, e pertanto gli stipendi sarebbero ben più alti anche in rapporto alla media delle retribuzioni percepite a livello europeo. Al ministro evidentemente sfugge che il beneficio della decontribuzione non c’entra con il contratto poiché riguarda tutti i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e che nonostante ciò gli stipendi dei docenti italiani sono mediamente inferiori del 15-20% rispetto alla media retributiva dei colleghi europei, come ha di recente certificato il report dell’Ocse “Education at a glance” (2024).
Tra l’altro, il fatto che la gran parte del personale della scuola benefici del taglio del cuneo contributivo (che si applica ai redditi fino a 35mila euro), testimonia ulteriormente la modestia delle retribuzioni del comparto.
Non meno mortificante la situazione sul piano professionale, certificata questa volta da un altro organismo sovranazionale, quale la Commissione europea, che ha deferito l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione per l’utilizzo abusivo e reiterato dei rapporti di lavoro a termine, e per il trattamento salariale discriminatorio e penalizzante nei confronti del personale precario.
Il sistema scolastico del nostro paese infatti si caratterizza per un esorbitante numero di lavoratori a tempo determinato: circa 250mila tra docenti e personale Ata, ovvero uno su quattro. Un numero che è destinato a perpetuarsi a fronte dell’incapacità di questo governo (come purtroppo dei precedenti) di mettere in campo politiche di reclutamento in grado di corrispondere alle effettive necessità della scuola italiana, oltre che dei lavoratori che ambiscono alla stabilizzazione.
Forse non si tratta di incapacità, ma della inconfessabile volontà di affossare definitivamente uno dei pilastri - insieme alla sanità - del nostro sistema sociale pubblico. Non a caso è lo stesso governo che sta promuovendo l’autonomia differenziata, ovvero la disarticolazione su base regionale del sistema nazionale che comporta l’incremento dei divari territoriali, delle diseguaglianze sociali, e lo smantellando del welfare universalistico.
Lo sciopero del comparto “Istruzione e ricerca” promosso dalla Flc Cgil si inserisce nel quadro più ampio delle iniziative messe in campo dalla Confederazione per contrastare le scelte del governo che risultano sempre più penalizzanti per il mondo del lavoro e il paese: la manovra di bilancio, ma anche il Ddl sicurezza, il collegato lavoro, l’autonomia differenziata, ecc. Tutto ciò richiede da parte della Cgil una risposta all’altezza della situazione: lo sciopero generale!