Il mondo multipolare come alternativa alle guerre del capitalismo - di Andrea Cagioni

Un convegno a Firenze “per un mondo multipolare a coesistenza pacifica”.

I bombardamenti e le incursioni dell’esercito israeliano in Libano, Gaza e Cisgiordania, così come lo sciagurato via libera del Parlamento europeo per l’uso di armi a lungo raggio per colpire il territorio russo, sono inquietanti segnali di escalation bellica globale. Al contrario, è interesse primario dei sindacati e delle classi lavoratrici di tutto il mondo promuovere mobilitazioni, dibattiti e iniziative che assumano la pace, il multipolarismo e l’autodeterminazione dei popoli come impegni centrali.

Ne è esempio il convegno “Per un mondo multipolare a coesistenza pacifica”, tenuto a Firenze il 26 settembre scorso, organizzato da Cgil Toscana, Ires Toscana, rivista Il Ponte e Fondazione Di Vittorio. Il titolo scelto per l’evento condensa bene il complesso approccio analitico adottato, lontano dalle semplificazioni e dalle bugie della propaganda di guerra che dominano il dibattito mediatico e politico.

Nella sessione mattutina, dopo i saluti di Rossano Rossi (segretario generale Cgil Toscana) e Maurizio Brotini (presidente Ires Toscana), sono intervenuti Gianfranco Francese (responsabile Ufficio programma Cgil Toscana), Chiara Bonaiuti (Ires Toscana), Anna Maria Romano, (Presidente Unifinance) e Adolfo Pepe (professore di geopolitica).

Francese ha ripercorso, con un denso excursus teorico, le tappe e gli snodi della crisi internazionale in atto, collegando la profonda instabilità dell’egemonia Usa e del paradigma neoliberista all’ascesa del nuovo assetto multipolare.

L’analisi di Bonaiuti ha dimostrato come della forte crescita di spese militari fruiscano principalmente i fatturati e i dividendi delle aziende del complesso militare-industriale. In sintesi, l’aumento delle spese militari ha determinato per l’Unione europea minore crescita economica, minore occupazione e peggiore qualità dello sviluppo. In Italia, nel periodo 2013-2022, a fronte di un aumento del 26% delle spese miliari, l’aumento di spesa pubblica è stato molto più contenuto per istruzione (11%), protezione ambientale (6%) e sanità (3%).

Romano ha posto in evidenza il ruolo della finanza internazionale come principale strumento di commercio degli armamenti, ed enfatizzato come la militarizzazione sottragga risorse al welfare e agli investimenti, contribuendo in modo rilevante a una redistribuzione al contrario della ricchezza.

Durante la sessione pomeridiana, presieduta da Roberto Passini (rivista “Il Ponte”), sono intervenuti Emiliano Brancaccio (UniSannio), Francesco Sylos Labini (Centro Enrico Fermi), Elena Basile (già ambasciatrice) e Francesco Sinopoli (presidente Fondazione Di Vittorio). Filo rosso di questi interventi è stato il nesso fra capitalismo e guerra, o meglio quali logiche economiche e finanziarie interne al modo di produzione capitalistico rendono comprensibile e favoriscono, o addirittura generano, il ricorso alle guerre.

Brancaccio ne ha illustrato in modo chiaro le ragioni di fondo di tipo economico, finanziario ed anche strategico, enfatizzando le ricadute dello squilibrio delle relazioni economiche fra Paesi debitori e creditori e l’influenza della legge di tendenza della centralizzazione dei capitali. Queste dinamiche, infatti, sono componenti chiave dei conflitti militari in corso, e aiutano a comprendere il neoprotezionismo Usa e gli strumenti non convenzionali di guerra commerciale e finanziaria, promossi dal blocco occidentale contro i Paesi considerati ostili.

Fra i molti temi sollevati dall’intervento di Sylos Labini, centrale l’intreccio fra i fronti di guerra, le dinamiche macroeconomiche a livello globale, l’emergenza climatica e l’aumento delle disuguaglianze. Dall’analisi proposta, ricca di dati comparativi fra Cina e Occidente, è emerso il ruolo nefasto giocato dall’agenda neoliberale nel declino europeo: decenni di austerità, privatizzazioni, de-industrializzazione e finanziarizzazione ne hanno minato le basi dello sviluppo.

Nelle conclusioni, Sinopoli ha rimarcato la necessità e l’urgenza, per Cgil, di ricostruire le condizioni per un movimento di popolo al servizio di un’alternativa di pace.

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