In soli due mesi sono state raccolte più del doppio delle sottoscrizioni necessarie per chiedere l’abrogazione totale della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Il 26 settembre scorso, infatti, abbiamo depositato un milione e trecentomila firme in corte di Cassazione.
I cittadini, sostenendo la nostra campagna referendaria, hanno dimostrato di avere a cuore l’unità del Paese, sancita nella Carta costituzionale, molto più di chi si definisce patriottico in ogni frase che pronuncia. Ed è particolarmente degno di nota che ciò sia avvenuto in un periodo storico nel quale la partecipazione democratica è ridotta al minimo, con sempre meno elettori che si recano alle urne. Emerge, dunque, che, quando le persone considerano una scelta importante per il loro futuro, si attivano.
Un altro dato rilevante, oltre a quello quantitativo, è la qualità dell’adesione a questa battaglia, che ha coinvolto non solo elettori dei partiti di opposizione ma anche tanti che alle ultime elezioni hanno votato per le forze della maggioranza, segno della trasversalità delle nostre posizioni, confermata anche dai dubbi, se non dall’aperta contrarietà, di molti amministratori di centrodestra.
Inoltre c’è stato un grande sostegno da parte dei sindaci sia delle grandi città che dei piccoli comuni, i quali hanno perfettamente capito che il vero obiettivo della legge Calderoli è quello di sostituire, a un presunto neocentralismo statale, un neocentralismo regionale che marginalizza i territori. E che questo sia l’indirizzo del governo lo dimostra, senza tema di smentita, il ritorno dei tagli lineari agli enti locali già in corso, e che rischiano di peggiorare con la prossima manovra di bilancio. La trasversalità è stata non solo politica ma anche geografica: tantissimi hanno firmato nelle regioni del sud, ma molte sottoscrizioni sono arrivate anche dal centro-nord.
Ovviamente questo risultato, eccezionale da più angolazioni, non sarebbe stato possibile senza l’impegno straordinario delle compagne e dei compagni della Cgil, e dei militanti di tutte le forze (politiche, sociali, associative) che hanno costituito un fronte molto ampio a difesa della Costituzione repubblicana dal tentativo della destra di sovvertirne gli equilibri, mettendo a rischio la stessa democrazia parlamentare.
Ma, come abbiamo già scritto su queste pagine, non è in ballo solo l’architettura istituzionale del Paese, c’è anche una questione sociale sempre più pesante che attraversa la società italiana e che l’autonomia differenziata finirebbe inevitabilmente per aggravare, aumentando le diseguaglianze e i divari territoriali. In definitiva, le persone che rappresentiamo, lavoratori e pensionati, non hanno nulla da guadagnare dalla legge Calderoli e tutto da perdere, ovunque risiedano.
Le stesse imprese, compreso il tessuto produttivo settentrionale, verrebbero danneggiate dalla giungla burocratica in cui dovrebbero districarsi per venire a capo di venti regimi giuridici diversi su materie cruciali che le riguardano direttamente, e dall’impossibilità di mettere in campo politiche industriali nazionali indispensabili per affrontare le sfide della transizione digitale, di quella energetica, della conversione ecologica della nostra economia.
Per tutte queste ragioni l’autonomia differenziata rischia di essere un errore fatale per l’intero Paese, che patisce - contemporaneamente - un impoverimento drammatico di lavoratori e pensionati e una desertificazione industriale senza precedenti.
Infine, le controriforme istituzionali della destra (non c’è solo l’autonomia differenziata ma anche il premierato e la separazione delle carriere dei magistrati) si inseriscono in una lunga stagione di attacchi alla Carta costituzionale, con il pretesto di un suo presunto ammodernamento. Come scrisse Stefano Rodotà in un articolo uscito sul quotidiano la Repubblica nel maggio 2005: “Se i nodi politici sono troppo ardui da sciogliere, si dica che ciò non è imputabile ad una incapacità di partiti e uomini, ma ad una inadeguatezza delle istituzioni. Così la riflessione, pur necessaria, sull'aggiornamento di alcuni aspetti della Costituzione, viene immediatamente distorta, e diventa disponibile per accogliere le suggestioni proposte dalla mutevole vicenda politica quotidiana”.
Il problema non è la Costituzione, ma la distanza che separa i principi che vi sono previsti e la realtà sociale del nostro Paese. Una distanza che è arrivato il momento di colmare, cambiando un modello di sviluppo ormai insostenibile sia socialmente che dal punto di vista ambientale.
La battaglia è appena iniziata, e questa ottima partenza ci spinge a un impegno ancora maggiore per coinvolgere il numero più alto di lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti, pensionate e pensionati affinché, attraverso il voto referendario sulla legge Calderoli, sui nostri quesiti sul lavoro, sulla cittadinanza, si creino le condizioni per una vera e propria svolta politica e sociale. Sei “Sì” possono davvero cambiare l’Italia.