Gruppi sociali subalterni e accumulazione capitalistica - di Andrea Fedeli

 Una riflessione sull’attuale composizione sociale e la ricostruzione della solidarietà di classe.

La crisi economica del 2008 è un punto di osservazione privilegiato di potenti processi di riorganizzazione sociale, volti a creare sacche di marginalità che richiamano i tratti costitutivi della categoria gramsciana dei gruppi sociali subalterni: disgregazione, passività, immaturità delle proprie manifestazioni, assenza di quella che Gramsci definisce autonomia integrale nella visione del mondo.

Questa spinta inizia in realtà molto prima del collasso dei subprime. La fine del sistema monetario di Bretton Woods nel 1971, lo choc petrolifero due anni dopo, la stagflazione galoppante che ne è seguita, hanno infranto il patto sociale imposto da decenni di lotte in tutto il mondo occidentale. Il senso stesso di unidentità collettiva, in quel crogiolo storico, si è progressivamente smarrito in un alienante reticolo di corporazioni e di solitudini sociali ed esistenziali.

Come ha denunciato Jessica Bruder nel suo reportage, Nomadland. Un racconto dinchiesta (Firenze, Edizioni Clicy, 2021), il nomadismo, che negli Stati Uniti ha assunto dimensioni imponenti, è l’altra faccia della flessibilità degli impieghi. Ambulanti, vagabondi, lavoratori stagionali e anime inquiete - scrive la Bruder - ci sono sempre stati. Ma adesso, nel secondo millennio, un nuovo tipo di tribù errante sta emergendo. Persone che non avevano mai immaginato di diventare nomadi si mettono in viaggio. [...] Stanno sopravvivendo allAmerica (p. 15). Impossibilitati a sostenere le spese per l’abitazione, si accampano a migliaia in rifugi di fortuna, dando vita a immensi nuclei pseudo-urbani privi di tutto. Utilizzano i social per condividere informazioni ed esperienze, senza raggiungere mai, però, livelli adeguati di soggettivazione politica.

Sono i nuovi Okies narrati da Steinbeck in Furore, che si spostano, secondo il ritmo delle stagioni, ai margini di grandi stabilimenti industriali, di cui costituiscono lasse portante e non di ripiego - si badi! - della forza lavoro. Modernissime tecniche di percezione del valore, dalla robotica all’intelligenza artificiale, e subalternità sociali nel senso gramsciano dell’espressione sono i momenti coessenziali del modo di produzione della globalizzazione capitalistica, che colpisce diritti ma non è interessato a cesure nette con rapporti di produzione e di scambio più risalenti nel tempo. L’automazione di Amazon e di altri big convive con lo sfruttamento dei padroncini delle consegne a domicilio, per non parlare delle maestranze sulle linee.

A tale riguardo rimane illuminante la ricostruzione dell’accumulazione originaria, offerta da Karl Marx nel Capitale. Analogamente alla legge Le Chapelier del 1791 o al Poor Law Amendament Act del 1834, la deregulation neoliberista, a partire dagli anni ottanta del Novecento, ha stratificato e giustificato ideologicamente veri e propri modelli antropologici, nuovi aggregati sociali funzionali, dal punto di vista economico e culturale, a un processo di valorizzazione del capitale sempre più disumanizzante. Basta osservare nelle strade delle nostre città le corse impazzite dei rider.

Quanto distante è la solitudine dei lavoratori su piattaforma dalla solidarietà operaia in fabbrica! Certo, fu una solidarietà faticosamente edificata grazie al sindacato a partire dalle divisioni regionali, dalla frantumazione del lavoro a domicilio, dalle mille nicchie di arretratezza dell’impresa minore. Quella solidarietà appare oggi relegata in un passato senza ritorno. Leggiamo nel volume Quo vadis rider. La lotta umana e sindacale dei ciclofattorini (Roma, Futura editrice, 2022): “I rider sono la prova vivente che tutto è saltato, a cominciare dai confini tra le cose, […] vengono non licenziati ma disconnessi, in gergo sloggati, […] una specie di servitù della gleba da feudalesimo digitale (p. 22).

Se non vogliamo che il movimento sindacale si accontenti della gestione degli ammortizzatori sociali, dobbiamo smascherare la contraddizione mai risolta del rapporto di produzione capitalistico, stretto fra l’appropriazione privata della forza lavoro e il valore sociale di quest’ultima, il suo essere merce che non si risolve solo in un avere, in un vendere per acquistare, perché è prima di tutto un essere del lavoratore.

 

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