Lo stato dei servizi di cura per la salute mentale a Milano - di Matteo Lamperti

Riflessioni per la giornata mondiale della salute mentale

 

Dal 1994 lavoro come educatore professionale nei Cps, Centri psico sociali, servizi di cura del territorio milanese. Dall’inizio della mia attività professionale ho seguito, poi specializzandomi, i programmi di inclusione sociale e lavorativa degli utenti in carico ai servizi territoriali. La psichiatria che ho incontrato nei miei primi vent’anni di attività era orientata al coinvolgimento del territorio, del terzo e quarto settore: la cittadinanza nelle sue forme naturali, la famiglia, il vicinato, la rete amicale, i colleghi di lavoro. Il modello d’intervento si rifaceva alla psichiatria di comunità, che pone al centro il paziente-cittadino che il servizio deve sostenere nel suo percorso di miglioramento del benessere personale.

Nascevano concetti come l’empowerment degli utenti: dalla custodia-protezione sanitaria e controllo sociale, alla ridefinizione del rapporto di dipendenza in termini più contrattualistici tra utente e servizio psichiatrico, con la diffusione delle associazioni di familiari e le prime organizzazioni di utenti. Le equipe dei Cps declinavano percorsi di cura individualizzati utilizzando e integrando le competenze e le prerogative dei diversi professionisti (assistente sociale, educatore, psicologo, infermiere, operatore sociosanitario), fornendo un efficace intervento personalizzato multiprofessionale e multidimensionale, e mettendo al centro della presa in carico il processo riabilitativo degli utenti. La centralità della figura del medico psichiatra era più sfumata a favore di una collaborazione e una progettualità condivisa.

Nell’ultimo decennio, per un significativo aumento degli utenti, questo approccio metodologico è andato affievolendosi, ed è tornato ad una marcata medicalizzazione farmacoterapica-clinica dei trattamenti, rientrando nell’ottica “ospedalocentrica” perseguita dalle Asst milanesi.

In questi ultimi dieci anni, il terzo settore (cooperative sociali, consorzi, imprese sociali, associazioni...) è stato sempre più coinvolto in progetti e compiti gestionali, con convenzioni e accreditamenti in piani di finanziamento regionale, diversificati su varie aree di intervento (l’abitare, la risocializzazione, il lavoro, la riabilitazione), supplendo alle mancanze e alle carenze dei servizi territoriali e dipartimentali.

Il contesto milanese in questi ultimi anni ha subito un incremento esponenziale di primi contatti con i servizi territoriali e i dipartimenti di salute mentale delle quattro aziende ospedaliere presenti nell’area metropolitana (Fatebenefratelli Sacco, San Paolo e Carlo, Policlinico, Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda). Già nel 2021, secondo l’Agenzia Ats di Milano, il 10% della popolazione milanese avrebbe ricevuto una diagnosi psichiatrica con accesso al consumo di farmaci e prestazioni riconducibili al disagio psichico manifestatosi.

La pandemia ed il post pandemia hanno inciso sicuramente su questo aumento di richieste, soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti: i problemi principali riscontrati in questa fascia di popolazione (secondo il rapporto Headway) sono ansia, depressione, solitudine, stress e paura. Tutto ciò si verifica mentre i Cps e i dipartimenti, così come altri settori della sanità, si svuotano di figure specializzate per i pensionamenti del personale che non viene sostituito.

Le equipe terapeutiche sono sovraccariche di casi che presentano complessità diverse e articolate, e la presa in carico, così come l’inquadramento diagnostico, risultano più difficili da sostenere, perché chi accede al servizio presenta una condizione di sofferenza multiproblematica dovuta a vari fattori (consumo di sostanze, perdita del lavoro, eventi traumatici, problemi relazionali, di coppia, di genitorialità, perdita della casa, stress correlato…).

Per ritornare ad una psichiatria di comunità praticabile, e comprensiva dei nuovi e rinnovati modelli di intervento (ispirata dai più recenti approcci metodologici), è indispensabile che gli investimenti regionali nella sanità pubblica siano rivisti e ampliati per incrementare, assumere e stabilizzare il personale sociosanitario e specialistico necessario.

Occorre che il ministero della Salute investa almeno la quota del 10% fissata dall’Unione europea per il Fondo sanitario nazionale come livello minimo che ciascun Paese dovrebbe dedicare alla salute, mentre attualmente siamo solo al 3%!

 

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