Formazione professionale, quell’alternanza scuola lavoro che non va giù - di Frida Nacinovich

Quello della formazione professionale è un piccolo universo con tante galassie, con l’obiettivo di consentire ai giovani tra i 15 e i 25 anni di trovare un lavoro. Ma non è tutto oro quello che luccica, perché dai 14 ai 18 anni si dovrebbe solo studiare, magari con esercitazioni pratiche nelle aule e nei laboratori, per poi conseguire un diploma e affacciarsi, solo allora, al mondo del lavoro. Gabriella Gialdini conosce questa realtà, forte di un’esperienza più che trentennale. “Ho iniziato a insegnare nell’ente di formazione Enfap della Lombardia - racconta - per poi passare, all’alba del nuovo secolo, alla Fondazione Clerici”.

Parliamo di due importanti realtà regionali della formazione, a cui si rivolgono non solo studenti, ma anche giovani lavoratori che vogliono riqualificarsi per migliorare le proprie competenze. “Purtroppo - osserva Gialdini - vediamo fin dall’inizio che si crea una divisione fra chi, costretto dalle necessità, deve trovare un’occupazione già in giovanissima età per portare qualche soldo a casa, e chi invece non ha questi problemi e può permettersi di fare tranquillamente le scuole superiori senza pensare al suo futuro lavoro prima di conseguire il diploma”. Siamo nel 2024, ma sembra di essere negli anni 60-70 del secolo scorso, quando tanti figli di operai erano praticamente obbligati a finire i loro studi con l’esame di terza media, per poi iniziare a lavorare già a 15, 16 anni come apprendisti. L’unica differenza è che oggi questo passaggio dal mondo della scuola al mondo del lavoro avviene un po’ più tardi, grazie alla discussa (e contestata) alternanza scuola lavoro.

Del resto chi ha avuto la fortuna (o il merito) di fare un liceo, non dimenticherà mai la professoressa che, di fronte alle intemperanza di una classe di adolescenti, ammoniva: ‘La scuola dell’obbligo finisce a 14 anni, se siete seduti su quei banchi è perché i vostri genitori sognano per voi un futuro migliore’. “Io vorrei che, come accade in alcuni paesi europei, così come era stato delineato all’inizio degli anni 90 dal trattato Ue di Lisbona, l’età dell’obbligo scolastico passasse dai 16 ai 18 anni - sottolinea Gialdini - Ma tanti paesi non hanno seguito questa strada. Anzi, abbiamo aggirato le prescrizioni di Lisbona e dribblato perfino le leggi che escludono il lavoro minorile. Con il cosiddetto sistema duale, i ragazzi della formazione professionale di fatto cominciano a lavorare a 15 anni”. Come accadeva mezzo secolo fa.

Tecnicamente, il sistema duale è una modalità di apprendimento basata sull’alternanza di momenti formativi in aula, presso un’istituzione appunto formativa, e momenti di formazione pratica in contesti lavorativi, cioè in un’impresa. Di fatto giovani ancora minorenni diventano a tutti gli effetti giovani lavoratori o apprendisti, che arrivano al diploma passando quasi più tempo al lavoro invece che a scuola. I percorsi formativi triennali in realtà nascondono una biennalità ‘camuffata’, dato che metà del secondo e del terzo anno i ragazzi vanno a lavorare.

 

“Infatti su un pacchetto di 990 ore, perché la formazione professionale in Lombardia si calcola in ore, più di 400 si effettuano in stage aziendali - puntualizza Gialdini - Questo significa in sostanza rubare un anno di scola a ragazze e ragazzi che già frequentano un istituto superiore della durata di soli tre anni. Questo vuol dire in altre parole regalare alle aziende una forza lavoro fresca, giovane, volenterosa, praticamente a costo zero”. Non per caso, nelle piattaforme di protesta delle organizzazioni degli studenti medi l’alternanza scuola-lavoro è invariabilmente denunciata e contestata. “Una ferita aperta - tira le somme Gialdini – perché il sistema della formazione non considera la scuola come un territorio libero dove poter dare ai più giovani quel bagaglio di conoscenze culturali che sono quelle che fanno crescere l’individuo.

Di fatto, gli enti di formazione, nello spirito della norma, tendono a concentrare la formazione sugli aspetti tecnici e laboratoriali, in modo da garantire al mercato mano d’opera sempre pronta e giovane. Se si consente alle imprese di poter avere a disposizione maestranze a costo zero a discapito del fisiologico percorso scolastico, si crea un cortocircuito che finisce per penalizzare gli stesi lavoratori più anziani”. Laureata alla Cattolica di Milano, forte di un’esperienza affinata negli anni con master prima frequentati e in seguito organizzati, Gialdini ha un’autentica passione per l’insegnamento. “Anni fa ho accettato di diventare rappresentante sindacale per la Flc Cgil, ora sono nella segreteria regionale della scuola per il comparto non statale - spiega - ma mi mancano terribilmente le mie sette classi. Quello dell’insegnamento è spesso considerato una sorta di lavoro di ripiego.

Ma non è così, nel rapporto quotidiano con i ragazzi non studiano soltanto loro ma anche chi è in cattedra. Diventa un accrescimento comune. Insegnare è un percorso che si fa insieme. I ragazzi ti guardano, rappresenti spesso un modello, un indicatore di percorsi praticabili. E occorre essere sempre preparati per non deluderli”.

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