Fredric Jameson e l’analisi marxista del postmoderno - di Francesco Barbetta

Fredric Jameson, uno degli ultimi intellettuali marxisti di statura mondiale scomparso lo scorso 22 settembre, passerà alla storia soprattutto per le sue analisi del fenomeno della postmodernità.

La sua riflessione sul tema inizia negli anni ‘80 con l’articolo del 1982 “Postmodernism and Consumer Society” e poi con un articolo sulla rivista New Left Review dal titolo “Postmodernism or the Cultural Logic of Late Capitalism” da cui nacque il libro “Postmodernismo, ovvero la logica culturale del tardo capitalismo”.

Gli assi principali di questo lavoro sono ben quattro. In primo luogo l’instaurazione di un dialogo critico con il concetto di postmoderno. Secondariamente la sua storicizzazione e l’individuazione dei tratti costitutivi e di tutti gli elementi alla base della vita sociale postmoderna. Infine emerge la costante difesa di una prospettiva dialettica fondata sulla totalità.

L’inizio delle sue riflessioni parte dal mondo dell’architettura, dove troviamo le prime discussioni sulla fine del modernismo e l’emergere del postmodernismo. Queste fratture, però, non sono isolate in questa forme di arte ma iniziano ad emergere anche altrove, per esempio nella letteratura attraverso il collasso delle tradizionali nozioni di trama, tempo narrativo o personaggio, nella musica per mezzo della costruzione di nuove esperienze di temporalità oppure nelle arti visive con nuove forme di arte come il video.

Questi mutamenti non riguardano, dice Jameson, solo l’arte ma anche altri livelli di vita sociale e contribuiscono all’elaborazione di diverse prospettive teoriche sul tema della postmodernità. Pensiamo solamente ai teorici francesi degli anni ‘70 o ‘80 oppure al già citato dibattito interno all’architettura. Jameson critica queste posizioni che portano con sé specifiche visioni del mondo ed ideologie capaci di confluire in una visione della storia oscillante tra ripudio del nuovo momento sociale in cui viviamo e sua esaltazione.

Jameson ci propone un modello di comprensione alternativo in un momento di forte confusione sul termine postmodernità. La sua posizione è che dobbiamo superare dialetticamente le visioni proposte in Germania da Habermas, il quale considerava il postmoderno il compimento del progetto della modernità, e in Francia da Lyotard che associava il postmoderno alla morte del marxismo come metanarrazione. L’ascesa della postmodernità non intacca minimamente la validità del marxismo come strumento di comprensione per la società contemporanea, anzi, raggiungeva un livello critico superiore.

In questo processo Jameson finisce per appropriarsi di alcuni elementi teorici dei suoi avversari. Da Habermas, per esempio, riprende la convinzione che la postmodernità abbia dei caratteri conservatori espressi nel chiaro abbandono di qualsiasi prospettiva emancipatoria. Dai teorici francesi come Lyotard, invece, riprende l’idea che la postmodernità non sia altro che il volto culturale di una nuova fase del capitalismo.

Jameson prende una posizione critica anche rispetto a tutti gli attacchi in corso contro il marxismo e la sua presunta incapacità di fornire spiegazioni sul mondo in cui viviamo.

Sono le idee dietro formulazioni ideologiche come la società postindustriale che Jameson critica, in quanto visioni storiche parziali concentrate su particolari aspetti della realtà, e pertanto incapaci di analizzare il cambiamento storico nella sua totalità. In questo modo forniscono un assist a quanti rispondono a queste trasformazioni tramite slogan ideologici come la fine delle ideologie o la fine della storia, con l’intento di sostenere l’idea che la nuova realtà in cui viviamo non obbedisce più alle logiche del capitalismo classico, dove c’era un ruolo centrale della produzione industriale ed esisteva la lotta di classe.

Per evitare simili conclusioni Jameson difende la necessità di una visione sistemica della società in cui viviamo attraverso l’uso degli strumenti analitici del marxismo, motivata dal fatto che questa teoria, grazie alla sua prospettiva totalizzante, è l’unica capace di superare gli approcci parziali che vanno tanto di moda, contrapponendovi una spiegazione storico-economica coerente e soddisfacente.

Le analisi di coloro che pensano al marxismo come qualcosa di superato non vengono da Jameson scartate, ma lette come una realtà culturale e ideologica che ha bisogno di una spiegazione di tipo storico. Si tratta di sintomi reali di una mutazione sistemica da analizzare. In definitiva, tutte le trasformazioni del capitalismo sono accompagnate da letture che danno per morto il marxismo, ma emerge allo stesso tempo la necessità di aggiornare questa teoria. La differenza tra un marxista e un non marxista, allora, risiede nel fatto che i secondi considerano questi elementi di novità come la base per una nuova realtà da analizzare, mentre i primi difendono la continuità dialettica del capitale e le identità strutturali più profonde tra il nostro presente e le fasi passate del modo di produzione capitalistico.

 

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