Vittoria dell’estrema destra nelle elezioni austriache - di Bruno Ciccaglione

Come purtroppo si aspettavano in molti, le elezioni parlamentari austriache del 29 settembre scorso hanno visto prevalere il Freiheitliche Partei Österreichs (partito delle libertà austriaco, FPÖ), per la prima volta il primo partito in Parlamento con il 28,9%.

Con un’alta partecipazione al voto (77%), il risultato dell’estrema destra fa ancora più impressione, se si pensa che il partito guidato da Kickl propone esplicitamente la “Orbanisierung” (Orbanizzazione) dell’Austria, e vanta legami internazionali consolidati e diretti con partiti e movimenti che si sono affermati nei decenni scorsi sul versante destro degli scenari politici in tutta Europa.

Come è stato possibile che un partito decapitato dagli scandali di corruzione, esplosi a partire dal caso Strache-Ibiza e crollato elettoralmente al 16,2% nel 2019, sia riuscito a risalire la china e addirittura a diventare il primo partito in Parlamento?

Innanzitutto, la crisi del Covid: FPÖ è stato esplicitamente il partito dei no-vax, con Kickl a ostentare periodicamente le proprie analisi a dimostrare come lui non fosse vaccinato, in un paese in cui alla fine si vaccinerà meno del 70% della popolazione. Anche se l’impatto sociale del Covid è stato mediamente forse meno drammatico in Austria che in paesi come l’Italia, l’FPÖ ha calcato la mano sul dare priorità al sostegno agli austriaci, cavalcando così gli umori più ribollenti delle fasce sociali più colpite dalla crisi.

Un altro elemento è stata la capacità di cavalcare con abilità la crisi della guerra in Ucraina e le contraddizioni che essa apriva in un paese non appartenente alla Nato e formalmente neutrale. L’impatto energetico della guerra è stato forte per l’Austria, che ha dovuto rinunciare a gran parte delle forniture di gas russo da cui era dipendente. Anche se l’Austria non ha applicato le sanzioni al livello di intensità dei paesi Nato, a chiunque abbia spirito critico la posizione del governo è apparsa piuttosto appiattita verso Nato e Usa. Kickl e FPÖ hanno opportunisticamente agitato la bandiera della neutralità (opportunisticamente perché siamo di fronte a un partito i cui legami con la Russia sono noti e forti), purtroppo senza che fossero in molti altri a proporre per l’Austria il ruolo di mediazione che aveva spesso saputo giocare tra i due blocchi negli anni della guerra fredda.

Infine l’FPÖ, pur trattato a volte alla stregua di un partito di paria dal sistema dei media, si è rivelato ancora una volta capace di utilizzare benissimo i social-media, costruendo canali di comunicazione diretta col proprio elettorato potenziale, e rafforzando la propria immagine di forza anti-sistema.

L’unico altro partito che può cantare vittoria oltre alla FPÖ è il giovane partito dei Neos, un partito liberale e liberista che ha anche un elettorato giovanile grazie alle sue posizioni libertarie (qualcosa di analogo a come era il partito radicale in Italia), che raggiunge il risultato storico del 9,1%, e trae forse per la prima volta qualche vantaggio dal fatto di essere al governo della capitale Vienna, in una coalizione dominata dai socialdemocratici dell’SPÖ.

Che il Partito Popolare dell’Austria (Österreichische Volkspartei, ÖVP) non potesse che perdere, dopo il trionfante risultato delle elezioni precedenti (37,5%), era inevitabile: travolti dagli scandali di corruzione, i popolari avevano dovuto sostituire il cancelliere Kurz e frettolosamente liberarsi di una parte del personale politico che ne costituiva il cerchio magico (tutti poi condannati per reati vari, ex cancelliere incluso). Soprattutto avevano perso gran parte della capacità di leadership del governo, cosa di cui hanno saputo approfittare i Verdi con i quali hanno governato, tra latenti contraddizioni e scontri anche piuttosto aperti. Le analisi dei risultati elettorali hanno chiarito che è soprattutto dalla emorragia della ÖVP che sono arrivati i voti del +12% del FPÖ.

I socialdemocratici della SPÖ confermano il drammatico e storico declino della propria forza elettorale (nel 1979 avevano il 51%, nel 1999 il 33%, nel 2019 il 21,8%). Anche se in termini assoluti il numero di voti è aumentato rispetto alle elezioni del 2019, l’alta partecipazione al voto ha ridotto la percentuale al 21,1%, il peggior risultato della storia della SPÖ. La tentata svolta a sinistra del nuovo leader del partito Babler – sindaco di una piccola città, modello di integrazione di rifugiati e immigrati, per la prima volta eletto dagli iscritti al partito – ha scatenato una guerra interna che all’esito del voto ha fatto parlare più di qualcuno di sabotaggio interno.

Le analisi sul voto dicono che è solo grazie alla emorragia dei voti dei Verdi, che la SPÖ non è crollata. Il che ci restituisce il quadro, anche a sinistra, di una competizione politica molto forte che però riguarda sostanzialmente lo stesso bacino elettorale, senza la capacità di nessuno dei due partiti di parlare a un popolo più ampio.

Infine i Verdi: dopo cinque anni al governo perdono più del 5% dei voti, dopo lo storico risultato della tornata precedente (13,9%). Già nella campagna elettorale per le europee si erano visti tutti i limiti di un partito che non sa comunicare neppure al proprio elettorato di riferimento i pur significativi risultati ottenuti sulla lotta al cambiamento climatico (il Klimaticket nazionale per incentivare l’uso dei mezzi pubblici, imponenti investimenti nella rete ferroviaria, sostegni economici fortissimi per la conversione energetica verso le rinnovabili, posizionamento dell’Austria a favore della legge sul ripristino della natura, in ambito Ue, nonostante il parere contrario del partito alleato di coalizione), e sociali (adeguamento all’inflazione degli assegni familiari e delle altre misure di welfare, nuova legge sull’accesso alle informazioni relative all’attività della Pubblica amministrazione). Le drammatiche alluvioni della settimana prima del voto, rimettendo il clima al centro del dibattito pubblico, non sono state sufficienti a produrre un risultato elettorale positivo.

Mentre scriviamo si stanno concludendo le consultazioni del Presidente della Repubblica Van der Bellen per vedere a chi affidare il mandato a formare il nuovo governo. Convenzionalmente il primo partito dovrebbe avere il mandato, ma non è detto che la FPÖ di Kickl sia poi in grado di avere una maggioranza in Parlamento. Il pallino sembra nelle mani della ÖVP (i popolari), che sono l’unico partito che non ha chiuso esplicitamente alla possibilità di governare in coalizione con l’FPÖ. L’unico veto è posto sul cancelliere: l’ÖVP dichiara che non accetterà Kickl come cancelliere, ma si tiene le mani libere nel caso FPÖ proponga un candidato meno estremista. Una scelta su cui molto si discute in Austria, perché la FPÖ, con o senza Kickl, è un partito molto più di destra di quanto non lo fosse non solo ai tempi di Haider, ma perfino ai tempi di Strache: un partito in cui qualunque traccia di cultura liberale è ormai quasi scomparsa.

D’altra parte è probabile che l’FPÖ preferisca andare all’opposizione (e impostare i prossimi anni sul vittimismo anti establishment, dopo la netta vittoria, per poi raccoglierne frutti ancora più significativi la prossima volta) che rinunciare al cancellierato. Vedremo quanto l’ansia di andare al governo sia forte per il piccolo leader del partito.

Numericamente una coalizione tra popolari e socialdemocratici avrebbe una maggioranza risicatissima in Parlamento, per cui molti suggeriscono la necessità di una eventuale coalizione a tre con i Neos, il che sposterebbe decisamente più a destra la coalizione, mettendo in maggiore imbarazzo la già contrastata leadership dei socialdemocratici. La costituzione di un governo degli sconfitti appare indubbiamente gravida di rischi, per cui i Neos si candidano a rappresentare l’elemento di novità, pur da una posizione di chiara minoranza all’interno di una possibile coalizione.

Nei prossimi giorni ne sapremo di più.

 

(Vienna, 9 ottobre 2024)

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