Investimenti, rinnovo dei contratti, qualità invece che mero inasprimento della repressione. Così si salvaguardano gli operatori della sanità pubblica.
Le aggressioni al personale sanitario sono un fenomeno grave, importante e preoccupante, che va compreso e prevenuto, a tutela e salvaguardia di tutti gli operatori che lavorano nei servizi sanitari. Oggi sono prepotentemente tornate alla ribalta, sulla scorta di episodi eclatanti avvenuti in alcuni ospedali, soprattutto nei servizi di emergenza urgenza, nei pronto soccorso, addirittura con aggressioni di gruppo.
Il governo è prontamente intervenuto, utilizzando questi fatti, tragici, solo per confermare e rafforzare la politica giustizialista, esclusivamente punitiva, che caratterizza tutti i recenti provvedimenti in materia di carcere e giustizia.
Sono di pochi giorni fa le dichiarazioni del sottosegretario alla salute Marcello Gemmato, che ha dichiarato che “nell’ottica del rafforzamento delle misure di protezione a tutela del personale, sono stati adottati importanti provvedimenti normativi”.
Gli “importanti provvedimenti” consistono nella reclusione da due a cinque anni per chiunque provochi lesioni al personale sanitario, posti fissi di polizia all’interno dei reparti di emergenza urgenza, la procedibilità di ufficio nei confronti dei suddetti reati. E, benché sappiamo da tempo che non è con l’inasprimento delle pene che si prevengono i reati, si è riusciti anche ad andare oltre.
C’è stato, infatti, chi ha presentato un ddl che prevede una sorta di daspo delle cure per chi aggredisce il personale sanitario: niente assistenza gratuita del servizio sanitario nazionale per tre anni, escluse, bontà loro, le cure di emergenza. Con buona pace della Costituzione, che stabilisce cure gratuite e accessibili per tutte le persone, indipendentemente dai loro comportamenti. Ma conosciamo bene la considerazione e il rispetto che questo governo ha della nostra Carta costituzionale, e dei pesanti tentativi di stravolgerla. Un pensiero pericolosissimo, che apre, inoltre, la strada all’esclusione dalle prestazioni del Servizio sanitario nazionale ai reclusi, ai tossicodipendenti, a chi ha comportamenti comunque non conformi o che possono recare pregiudizi alla salute.
Anche prevedere presidi delle forze dell’ordine ci dice di una visione esclusivamente securitaria della prevenzione e della coesione sociale. Piuttosto che forze dell’ordine, sarebbero necessarie figure di supporto, in grado di farsi carico anche psicologicamente di persone che arrivano nei servizi con problematiche di cui non sanno davvero la gravità, spaventate, in preda a dolore fisico, e che devono attendere tempi interminabili senza avere risposte per le gravi carenze di personale dovute ai pesanti disinvestimenti che si sono succeduti negli anni a carico del servizio pubblico. Mentre i casi in cui si possono ipotizzare interventi della criminalità organizzata vanno affrontati con gli strumenti propri.
Nel 2020 era stato istituito un osservatorio nazionale, con l’obiettivo di monitorare gli episodi di violenza e gli eventi sentinella, e promuovere studi per elaborare proposte che riducano i fattori di rischio, promuovere buone prassi e lo svolgimento di corsi di formazione per il personale, anche al fine di migliorare la comunicazione con gli utenti. Rafforziamolo, facciamolo funzionare.
Ma, soprattutto, contro le aggressioni al personale servono risorse: serve investire nel Sistema sanitario nazionale, pubblico ed universale, serve rinnovare i contratti, prevedere dotazioni organiche adeguate per numeri e professionalità, dare concrete opportunità di formazione continua a tutti gli operatori. In questi anni abbiamo assistito a campagne denigratorie nei confronti dei dipendenti pubblici, finalizzate anche a giustificare e sostenere i processi di privatizzazione dei servizi, che hanno promosso l’intervento dei privati, promosso le assicurazioni, reso le prestazioni sempre meno accessibili alle persone che non hanno adeguate risorse e possibilità. Spesso costringendo le persone a rinunciare alle cure.
Mettere al centro la persona e la presa in carico individuale e personalizzata, fare in modo che il diritto alla salute sia davvero esigibile e garantito per tutti. Reagire alle politiche di chiusura dei piccoli ospedali, che hanno allontanato i servizi dai cittadini, reagire alle logiche sfrenate di aziendalizzazione, per cui i bilanci vengono prima delle persone.
Mettere le persone al centro: quelle che lavorano in sanità, quelle che delle prestazioni sanitarie hanno bisogno.