Ci sono dei giudici in Sicilia - di Leopoldo Tartaglia

Mentre i tribunali processano Salvini per la chiusura dei porti e smontano il decreto Cutro, la società civile promuove un referendum per facilitare la cittadinanza.

Il 16 settembre scorso, mentre il premier britannico laburista Keir Starmer incontrava a Roma la presidente del consiglio Giorgia Meloni, esprimendo interesse per il progetto italiano di deportare i richiedenti asilo in Albania, il governo era alle prese con il caso giudiziario del ministro dei trasporti e leader della Lega, Matteo Salvini, a processo per la sua politica dei “porti chiusi” quando era ministro dell’interno nel 2019.

Infatti la procura di Palermo, due giorni prima, aveva chiesto per Salvini una pena di sei anni di reclusione per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, per avere impedito l’approdo della nave della Ong spagnola Open Arms dopo aver soccorso 147 migranti nel Mediterraneo nell’agosto del 2019. Nella requisitoria i pubblici ministeri, ripercorrendo le vicende avvenute dal primo al 21 agosto di quell’anno, hanno affermato che “i diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini”. Per la procura di Palermo non concedere il porto sicuro ai migranti ha costituito un “iter criminoso”. Nella requisitoria, i pm hanno spesso ribaltato la formula “difesa dei confini”, con cui Salvini giustifica la sua condotta, parlando di “confini del diritto” e di diritti fondamentali come limite all’azione del potere esecutivo.

Salvini ha commentato la richiesta dei pm con un video sui social, dicendosi sotto accusa perché l’opposizione avrebbe deciso di colpirlo politicamente e accusando l’Ong di avere rifiutato il soccorso di maltesi, tunisini e spagnoli. Open Arms, al contrario, ha dimostrato di aver sempre richiesto l’intervento sia di Malta sia dell’Italia.

“Mai nessun ministro e nessun governo è stato messo sotto accusa per avere difeso i confini del proprio paese, mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani”, ha detto Salvini nel messaggio registrato. Ricevendo l’appoggio pubblico della presidente del consiglio Meloni e del ministero dell’interno, e le lodi del premier ungherese Orbán e del miliardario e proprietario di X Elon Musk. Ma altri giudici stanno mettendo a seria prova le attuali “politiche” migratorie del governo Meloni e del ministro Piantedosi.

Il Tribunale di Palermo, infatti, ha liberato cinque richiedenti asilo che altrimenti sarebbero stati detenuti nel nuovo centro di Porto Empedocle. Due diversi giudici della sezione specializzata in immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Ue hanno ritenuto carenti le motivazioni alla base della detenzione perché mancano riferimenti alle situazioni individuali delle persone. “La facoltà di disporre il trattenimento rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato e argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo”, si legge in una delle decisioni, secondo quanto riportato dalla stampa.

Nello stesso periodo anche il Tribunale di Catania ha liberato altri richiedenti asilo tunisini poiché il loro paese di origine - inserito dal governo nella lista dei “paesi sicuri” - sicuro non è affatto. “Insanabile contrasto tra il decreto del ministero Affari esteri e cooperazione internazionale 7/5/2024, letto in uno alla Scheda paese, e la norma di legge primaria”, così recita il provvedimento del tribunale di Catania.

La polemica da parte di rappresentanti di governo non si è fatta attendere, con un violento attacco contro la magistratura, anche perché le norme contestate dai giudici come in contrasto con i principi della nostra Costituzione, contenute nel cosiddetto decreto Cutro, sono le stesse su cui il governo basa la legittimità dei centri di detenzione in apertura in Albania.

Del resto il governo si vanta d’aver fatto calare il numero di sbarchi. A quale prezzo umano lo rivela un’inchiesta del Guardian (https://www.theguardian.com/global-development/2024/sep/19/italy-migrant-reduction-investigation-rape-killing-tunisia-eu-money-keir-starmer-security-forces-smugglers) sulla realtà degli accordi Ue-Tunisia. Il minor numero di sbarchi deriva dalle violente politiche di deterrenza applicate da Tunisi che respinge brutalmente le persone migranti nel deserto. Le testimonianze raccolte dal Guardian, indicano che l’Ue sta finanziando le forze di sicurezza tunisine che commettono torture e violenze sessuali contro le migranti e i migranti. L’accordo - da 90 milioni di euro - prevederebbe il “rispetto per i diritti umani”. Ma le testimonianze raccolte rivelano che la guardia nazionale tunisina deruba, picchia e abbandona sistematicamente donne e bambini nel deserto, senza cibo né acqua.

Intanto, è tornato prepotentemente di attualità il tema della cittadinanza. Le dichiarazioni del ministro degli esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, sullo ‘ius scholae’ si sono rivelate, come prevedibile, una boutade estiva utile solo a posizionarsi nella maggioranza. All’immobilismo securitario del governo risponde l’iniziativa dell’associazione ‘Italiani senza cittadinanza’, appoggiata da Arci, Libera, A buon diritto, e da settori del centrosinistra, che hanno lanciato una raccolta firme per un referendum abrogativo di alcune parti della legge sulla cittadinanza del 1992. L’obiettivo è di portare a cinque, invece degli attuali dieci, gli anni di soggiorno legale continuativo necessari per ottenere la cittadinanza italiana.

“Se il referendum sulla cittadinanza dovesse essere approvato – dicono i promotori - tutti gli stranieri maggiorenni potrebbero richiedere la naturalizzazione dopo cinque anni di residenza ininterrotta nel Paese, a patto di soddisfare anche altri criteri come la conoscenza della lingua, il possesso di adeguate risorse economiche, l’idoneità professionale, il pagamento delle tasse e l’assenza di precedenti penali”, previsti dalla stessa legge del 1992. “Anche i figli minori conviventi otterrebbero la cittadinanza, conservando il diritto, una volta maggiorenni, di rinunciarvi se in possesso di altra cittadinanza”.

Secondo le stime dei promotori, i potenziali beneficiari sarebbero tra i 2,3 e i 2,5 milioni di persone.

Ad oggi l’Italia è uno dei paesi europei più restrittivi nella concessione della cittadinanza. Si diventa italiani se si nasce da genitori con la cittadinanza italiana, se si sposa un cittadino o una cittadina italiani, o per naturalizzazione, vivendo nel paese da almeno dieci anni continuativi e con un lungo e farraginoso iter burocratico.

La legge del 1992, tuttora in vigore, è stata pensata più per permettere ai discendenti degli emigrati italiani di non perdere i diritti di cittadinanza, anche se sono nati e vivono lontani dall’Italia da generazioni, che per dare diritti agli immigrati e ai loro figli.

Da anni si prova a riformare la legge, ad esempio per consentire a quasi un milione di bambini e bambine nati in Italia da genitori stranieri di avere gli stessi diritti dei loro compagni figli di italiani. La modifica proposta con il referendum non cambia l’approccio alla cittadinanza della legge del 1992, lasciando amplissima discrezionalità ai criteri definiti dal ministero dell’interno. Ma l’iniziativa referendaria è un’occasione per riconoscere diritti a molti stranieri che vivono da tempo nel nostro paese, lavorano a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, frequentano le scuole con i ragazzi e le ragazze italiane, fanno sport come tante e tanti autoctoni, ecc. Ed è utile per riproporre la cittadinanza non come “premio al merito” (da ultimo lo stesso Tajani), ma come piena acquisizione di diritti per chi condivide le condizioni di vita, nelle diversità che caratterizzano ogni singola persona, sulla base dell’eguaglianza sostanziale sancita dall’articolo 3 della nostra Costituzione e della partecipazione alla vita sociale, culturale e politica del nostro paese.

Il referendum, quindi, oltre a dare diritti a centinaia di migliaia di persone, può costituire un passo in avanti nella riforma complessiva della legge sulla cittadinanza, un inizio piuttosto che una meta finale. E’ di grande significato politico il raggiungimento e superamento delle 500mila firme necessarie alla data del 24 settembre, cioè a 18 giorni dall’avvio della piattaforma per la raccolta on line.

Il risultato di una grande una mobilitazione dal basso, soprattutto giovanile, che deve continuare per portare decine di milioni di italiani a votare, e per riaprire il dibattito e l’iniziativa politica per una radicale riforma della legge sulla cittadinanza.

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