Varese: accordo per incentivare l’accesso alle misure alternative per le persone ristrette - di Francesco Vazzana

È stato siglato in Prefettura a Varese un protocollo per favorire l’accesso alle misure alternative alla detenzione – attraverso il lavoro – della popolazione ristretta nelle case circondariali della provincia, Varese e Busto Arsizio.

L’importante atto politico, dall’esito non scontato, ha visto il Prefetto come primo soggetto proponente. In questo modo le istituzioni del territorio – sindacato, associazioni datoriali, terzo settore, istituti, Ufficio per l’Esecuzione penale esterna, la Provincia e la politica locale – hanno dato vita ad un accordo di civiltà dall’immenso valore sociale.

Vari sono i princìpi che hanno mosso le parti ad aderirvi, a partire dal rispetto della Costituzione, ossia la natura rieducativa della pena, poiché oggi prevalgono i percorsi afflittivi, riconducibili a ragioni quali il sovraffollamento e le condizioni di degrado in cui versano gli istituti. In questo modo si subisce una pena multipla, fatta di violenza e vessazioni, in aggiunta alla privazione della libertà. Inoltre, la possibilità di scontare la pena con misure alternative riduce drasticamente la recidiva. E’ presente l’intento di colmare la distanza tra carcere e mondo esterno, in quanto nel pensiero prevalente, gli istituti rappresentano entità distanti dalla vita quotidiana, anche per il dilagare del sentimento giustizialista, alimentato in maniera fuorviante dalla classe politica al potere.

Già nel passato a Varese – come in altri territori – esisteva un “Comitato carcere e territorio” composto dagli stessi attori che, come detto sopra, hanno aderito al nuovo protocollo. Quindi l’auspicio è quello di riattivare un collegamento tra esterno ed interno del mondo penitenziario, con riflessi positivi per la società.

Infatti, troppo spesso assistiamo a suicidi in carcere, un fenomeno drammatico che coinvolge non solo i reclusi (oltre 70 solo quest’anno) ma anche gli agenti di Polizia penitenziaria. Si tratta di una situazione inaccettabile oltre che illogica in una società civile.

Recentemente anche nel carcere di Varese un detenuto si è tolto la vita, malgrado dovesse scontare una pena relativamente breve. Emblema di come chi si veda senza speranze attui soluzioni estreme, evidenziando tutte le distorsioni di un sistema che non può certo svolgere la sua funzionare di recupero in questo modo. Non si mette in discussione l’esecuzione della pena, ma si deve immaginare la prigione come un luogo dove scontarla affidati allo Stato. Il suicidio è il fallimento dei compiti rieducativi dello Stato.

Il lavoro è terapeutico per chiunque, a maggior ragione, per chi sia costretto a lunghi periodi della vita in condizione di restrizione della libertà. Il valore profondo del protocollo è rappresentato dal convinto coinvolgimento delle istituzioni a tutti i livelli, poiché se entrare nel mercato del lavoro non è generalmente semplice, per chi è spesso stigmatizzato dalla società e privo di aiuti può diventare un’impresa improba.

Abbiamo raggiunto un traguardo, non quello definitivo; ora comincia il lavoro duro: incrementare le attività di formazione ed orientamento all’interno per realizzare reali opportunità di lavoro, attraverso azioni che sviluppino le sinergie tra i soggetti aderenti.

Esiste una legge, la 193/2000 a firma Carlo Smuraglia, che offre cospicui incentivi per l’occupazione, ma che da sempre è sotto utilizzata, oltre che scarsamente finanziata. Il salto di qualità al quale vorremmo contribuire sarà un accesso sistematico ai finanziamenti per rendere il lavoro una prassi normale, e non come accade ora un’eccezione riservata a un numero limitato di fortunati.

Infine, c’è una coincidenza da evidenziare: il governo ha promulgato un decreto, pomposamente definito “svuota carceri”, sulla cui efficacia gli addetti ai lavori hanno avanzato numerose perplessità. Pur asserendo la volontà di favorire misure alternative, l’accesso alle stesse viene complicato dal punto di vista procedurale per la doppia valutazione da parte delle procure e della magistratura di sorveglianza. Inoltre si prevedono nuove assunzioni nell’ambito della polizia e nessuna sul personale educativo.

Un aspetto, quest'ultimo, che espone il decreto a due criticità: emerge la propensione delle destre alla repressione, senza incrementare gli organici delle aree trattamentali ed educative, rendendo tortuoso il percorso di verifica dei requisiti per l’accesso ai benefici e alla liberazione anticipata.

Quello di Varese, al contrario, è un atto concreto i cui risultati saranno valutati nel tempo. La Cgil ha creduto al progetto, che ci ha visti impegnati per più di un anno, fin dall’inizio. Speriamo che lo stesso spirito sia condiviso.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search