Israele-Palestina: addio all’equazione “due Stati per due popoli”? - di Milad Jubran Basir

Il rifiuto di Israele di ottemperare alle indicazioni della Corte Internazionale di Giustizia condanna il popolo palestinese alla discriminazione perpetua e apre a ‘necessari’ ulteriori scenari di guerra.

Sono stato un accanito sostenitore di questa formula sin dall’inizio e quando, nel lontano 1993, mi trovai a casa mia in Palestina accadeva spesso che passasse la camionetta dell’esercito israeliano, simbolo del terrore per noi giovani palestinesi. Al passaggio della camionetta si sventolava la bandiera palestinese e in diverse circostanze facevamo qualche foto con i soldati. Entusiasmo, volontà di pace da entrambe le parti. Tutto questo accadeva solamente 32 anni fa: oggi può sembrare un secolo fa.

Ero consapevole, come milioni di miei concittadini, dell’ingiustizia che subivamo da quell’accordo, ma altrettanto consapevole che quel percorso era l’unica via di uscita per una pace durevole tra noi e gli israeliani che garantisse stabilità e prosperità per tutti i popoli della regione, nessuno escluso.

Nonostante le varie questioni irrisolte dell’accordo di Oslo, nonostante l’attribuzione solo del 22% della Palestina storica al futuro Stato palestinese, i nostri profughi, la questione di Gerusalemme, le risorse naturali, i confini e così via, la nostra scelta era di carattere strategico. Abbiamo iniziato una campagna di martellamento mediatico tra la nostra gente dentro la Palestina e nella diaspora per illustrare i termini ed i principi dell’accordo e della scelta fatta che veniva battezzata: “due Stati per due popoli”.

A distanza di 32 anni, le politiche dei vari governi israeliani, di destra e di sinistra, hanno di fatto screditato e svuotato quell’accordo dei suoi contenuti: basti pensare al periodo di transizione di cinque anni in cui doveva nascere lo Stato palestinese, la costruzione massiccia degli insediamenti, lo scollegamento tra i centri abitati palestinesi, creando così una discontinuità territoriale. Senza dimenticare anche la responsabilità e gli errori commessi del nostro gruppo dirigente dell’Anp e dei vari movimenti e partiti palestinesi, che non hanno saputo o voluto superare la vergognosa divisione che ormai dura da anni.

La non praticabilità di quell’equazione era molto evidente anche anni fa. La sopracitata politica israeliana, gli equilibri geopolitici regionali, internazionali e l’incapacità nostra hanno prodotto il contesto attuale che ha quasi sepolto in modo totale e definitivo la formula dei “due Stati per due popoli”.

Il genocidio del popolo palestinese ad opera di Israele ha piantato l’ultimo chiodo della cassa della defunta equazione “due Stati per due popoli”. Oggi il livello di fiducia della popolazione palestinese nei confronti di ciò è ai minimi storici, così come per la vera intenzione di Israele di fare la pace, mentre la Comunità internazionale assiste al massacro del popolo palestinese senza fare nulla se non delle timide condanne, e l’attuale gruppo dirigente palestinese ha dimostrato di non essere al livello del periodo storico.

Dopo tutto questo torna all’orizzonte una vecchia/nuova rivendicazione del movimento di liberazione palestinese: la creazione di uno Stato palestinese dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, entro cui possano convivere tutti i cittadini di varie fedi religiose e appartenenze etniche con pari diritti e doveri, e uguali davanti alla legge. Uno Stato pluri-confessionale, con pesi e contrappesi istituzionali che garantiscano il suo funzionamento in tutte le sue articolazioni.

Il 19 luglio la Corte Internazionale di Giustizia ha risposto al quesito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in merito all’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, presentato qualche anno fa. La Corte afferma diversi principi fondamentali e sancisce l’illegalità dell’occupazione dei territori palestinesi occupati dal 1967. Sancisce inoltre l’illegalità degli insediamenti costruiti dentro i territori, chiedendo il ritiro al più presto possibile dell’esercito israeliano da quei territori, e al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di operare per garantire il diritto del popolo palestinese.

Chiede inoltre lo svuotamento degli insediamenti in quanto illegali, affermando così il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione ed a fondare il suo Stato sovrano secondo il diritto e la legalità internazionale. La Corte chiede ad Israele di mettere fine all’occupazione militare perché è illegittima e illegale. Chiede alla Comunità internazionale di fare il suo dovere per applicare il parere della Corte. Il suddetto parere non è vincolante, come è noto, ma potrebbe fare scattare delle sanzioni contro lo Stato di Israele da parte di diversi Stati.

L’Anp ha accolto con favore il parere della Corte, definendolo storico e rilanciando ancora di più, attraverso la richiesta alla Comunità internazionale, l’applicazione di questo parere: oltre 56 Stati arabi e musulmani hanno accolto con favore questo verdetto, appoggiando la richiesta dell’Anp.

Un certo imbarazzo domina le cancellerie occidentali che hanno sempre dichiarato pubblicamente di appoggiare l’equazione dei “due Stati per due popoli”, la legalità e il diritto internazionale, ma di fatto hanno operato in una direzione opposta: la guerra a Gaza rappresenta la prova inconfondibile di questo comportamento.

Il governo israeliano ha già dichiarato formalmente che lo Stato di Israele non occupa alcun territorio, perché quei territori gli appartengono. Diversi ministri hanno chiesto di occupare e annettere la Cisgiordania allo Stato di Israele, dichiarando che la stessa Corte Internazionale di Giustizia è antisemita.

In questo scenario ci troviamo di fronte tre possibili percorsi: in primis, il rifiuto di Israele di applicare quel verdetto perché forte del sostegno del mondo occidentale, pubblico e segreto, di conseguenza l’espansione dell’attuale conflitto coinvolgendo quasi tutti. Il raid dell’aviazione israeliana del 20 luglio scorso al porto yemenita Al Hadidiyah è l’inizio dell’allargamento di questo conflitto.

Sicuramente ci sarà una reazione di Al Houthi o dell’“Asse della Resistenza”, e non si esclude la partecipazione diretta o indiretta dell’Iran con tutta le conseguenze che ciò comporta.

In secondo luogo, come affermano anche diversi intellettuali e giornalisti israeliani, finalmente il mondo occidentale ed in testa gli Usa possono obbligare Israele a sedersi al tavolo delle trattative e a riprendere il confronto, fissando una data certa e precisa per la rinascita della Stato Palestinese, secondo l’indicazione della Corte, il diritto e la legalità internazionale: uno Stato sovrano. Questa sarebbe l’ultima chance per salvare quell’accordo e applicare la tanta predicata formula “due Stati per due popoli”.

A tale proposito l’Unione europea potrebbe giocare un ruolo non di spettatore, ma di vero protagonista per facilitare questo percorso, dando vita a due progetti: un piano finanziario per sostenere i due Stati, Israele e Palestina, a passare da un’economia di guerra ad un’economia stabile, e poi l’ingresso di Israele e della Palestina nell’Unione europea a pieno titolo, come i Paesi del ex Patto di Varsavia.

Se il percorso dei “due Stati per due popoli ”rimane solo come slogan, la scelta obbligata è il ritorno al passato: ovvero il ritiro del riconoscimento di Israele da parte dell’Olp, e la rivendicazione di uno Stato palestinese pluri-confessionale.

Una scelta di questa natura presuppone, in primis, l’unità di tutti i movimenti palestinesi di matrice laica e religiosa, compresi Hamas e Jihad Islamica, dentro l’Olp, la rivisitazione della carta costituente dell’Olp, il rinnovamento dello stesso movimento di liberazione. Forti dell’ingiustizia che sta subendo il popolo palestinese da oltre 56 anni, del sostegno delle opinioni pubbliche mondiali, e dei verdetti delle varie Corti internazionali, questa scelta non può escludere anche il ritorno alla lotta armata come mezzo in quanto la politica, la diplomazia, il buon senso e il diritto non hanno funzionato e non hanno garantito, almeno fino ad oggi, alcun diritto al popolo palestinese.

 

Come affermava il leader panarabista, il presidente egiziano Jamal Abdel Nasser dopo la sconfitta del lontano 1967: la terra presa con la forza può tornare solamente con la forza. Credo che questa storica frase di Nasser oggi sia condivisa da oltre 350 milioni di cittadini che vivono nella regione. Una convinzione oramai internazionale sulla necessità, l’urgenza di risolvere la questione palestinese, perché senza di essa il mondo non riesce ad uscire da questa crisi in modo semplice: se il mondo occidentale non permette la sconfitta di Israele, credo che anche l’Iran non possa permettersi di fare perdere l’“Asse della Resistenza”. Qualcuno deve scendere dall’albero, e non credo stavolta possa essere il medio orientale.

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