Perché è fondamentale il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata - di Alfiero Grandi

Il referendum per abrogare la legge Calderoli sull’autonomia regionale differenziata è oggetto di attacchi subdoli, per sminuirne la portata o peggio insinuarne l’inutilità, che vanno contrastati con forza. E’ un’iniziativa necessaria, indispensabile per bloccare conseguenze politiche, istituzionali, sociali devastanti per l’Italia.

La legge - già in vigore - rappresenta un pericolo per l’Italia. Ha regalato al Paese un secondo “porcellum” ed è un pericolo per la possibilità dei cittadini italiani di godere degli stessi diritti (istruzione, salute, ecc.) in qualunque territorio risiedano e di avere le stesse regole per le materie che dovrebbero passare dallo Stato alle Regioni in 21 modi diversi (fino a prefigurare 21 simil staterelli) come reti di comunicazione, energia, ambiente, contratti di lavoro, previdenza, ecc. Un pasticcio per tutti, imprese comprese.

Ad esempio, su ferrovie ed autostrade si ragiona con una visione europea, prefigurando corridoi da un capo all’altro dell’Unione. Perché mai il potere decisionale e di controllo dovrebbe passare alle Regioni, frammentando in Italia quello che in Europa si cerca di rendere unitario? Questo è uno dei poteri che si apprestano a chiedere Veneto e Lombardia.

Il trasferimento di poteri alle Regioni porta con sé personale e soldi per poterli esercitare, ma chi si assumerà il debito pubblico corrispondente alle entrate che mancherebbero allo Stato? Se mancano entrate allo Stato chi ripagherà il debito pubblico italiano?

L’obiettivo delle Regioni richiedenti è di trattenere una parte più consistente delle entrate fiscali, il Veneto ha ipotizzato il 90%. Di più: è prevista una sorta di scala mobile (abolita per i salari) con il ricalcolo annuale delle entrate passate dallo Stato alle Regioni. Quelle che hanno maggiore forza economica avranno a disposizione più risorse di quelle meno forti, che per di più nemmeno potranno contare su un intervento di solidarietà per la differenza. Lo scopo teorico dei Lep è garantire che in tutta Italia i cittadini abbiano gli stessi diritti e le stesse risposte, ma in questo modo è un obiettivo impossibile da realizzare.

Per di più la legge Calderoli prevede che non ci siano nuovi oneri per lo Stato, quindi se alle Regioni più forti andranno più risorse ne mancheranno per le altre. Si passa da una concezione solidale del regionalismo a una divaricazione nei diritti delle persone.

E’ vero ci sono già differenze nei diritti effettivi esigibili dalle persone, tanto che nella sanità ci sono 800mila trasferimenti all’anno dalle regioni più deboli a quelle più forti. Tuttavia, un conto è registrare le differenze e darsi l’obiettivo di superarle, altro è aumentarle ancora di più come avverrà come conseguenza della legge Calderoli, fino a creare di fatto Stati diversi.

La legge è certamente procedurale, tanto è vero che i primi protocolli di pre-accordo nel 2018 fra 3 Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) e il governo furono siglati in assenza di questa legge, ma la loro attuazione per il trasferimento di poteri alle Regioni avrebbe dovuto rispondere alle leggi esistenti, a partire dal ruolo del Parlamento, dalla legge di bilancio, e soprattutto non avrebbero potuto stabilire un meccanismo blindato di approvazione (procedura simile a quella degli accordi tra Stato e confessioni religiose). E, una volta approvati, gli accordi di fatto non sono più modificabili se non con l’accordo del presidente della Regione interessata.

La legge Calderoli mette ai margini della procedura il Parlamento, infatti viene informato poco e male e alla fine può solo dire sì o no all’accordo raggiunto dal presidente del Consiglio e dal presidente della Regione interessata recepito in legge. E’ evidente che in caso di rischio per l’approvazione verrebbe usato il voto di fiducia per imporlo ai parlamentari riottosi.

Inoltre, la commissione paritetica istituita tra governo e Regione ha poteri che scavalcano il Parlamento, il ministro dell’Economia, la Ragioneria dello Stato e gli organi dello Stato che debbono attestare la verità in materia di conti pubblici, come l’Upb e la Banca d’Italia.

Il ministro dell’Economia Giorgetti non avrebbe mai dovuto accettare una procedura che lo vincola con tempi e modi finora sconosciuti a dare un consenso, altrimenti la procedura prevista andrà avanti comunque a conferire funzioni, poteri e soldi alle Regioni differenziate. Questo non è casuale: i presidenti delle Regioni Lombardia e Veneto sono leghisti, Calderoli pure e Giorgetti anche. Una cordata leghista, che ha poteri enormi sull’attuazione della legge.

Perché Fratelli d’Italia, che nel suo passato ha un’attenzione all’unità nazionale, ha deciso di regalare alla Lega questa legge che esalta le pulsioni secessioniste di alcune regioni del nord? La spiegazione è che la Meloni, pur di ottenere una sorta di surrogato del presidenzialismo, ha fatto un patto di potere con la Lega per avere il premierato in cambio del decentramento dei poteri alle Regioni. Per di più l’elezione diretta del presidente del Consiglio porterebbe ad una drastica riduzione dei poteri del Presidente della Repubblica, per fare posto al nuovo “Capo assoluto”, e ridurrebbe il Parlamento ad un ruolo subalterno al Capo, con un sostegno obbligato all’eletto, dal cui destino dipenderebbe la sua stessa esistenza.

Questa maggioranza di destre divise e diverse regge solo in quanto ha potere da spartire e tre modifiche da realizzare: autonomia regionale differenziata voluta dalla Lega, premierato voluto da Fratelli d’Italia, separazione delle carriere dei magistrati e deriva securitaria volute da Forza Italia. Un pasticcio istituzionale formidabile e inaccettabile, che stravolgerebbe la Costituzione.

Il referendum per abrogare la legge Calderoli è l’unica via possibile per bloccare un percorso che porterebbe l’Italia sull’orlo della “secessione dei ricchi” e ai margini dell’Europa.

Il quesito referendario è depositato, la raccolta delle firme a sostegno (almeno 500mila) è iniziata. I tempi sono molto stretti, ma ci si può e deve riuscire. Occorre un impegno straordinario entro il 30 settembre, termine ultimo di presentazione delle firme in Cassazione.

Il Parlamento non è riuscito a bloccare l’approvazione di questa legge nefasta. Solo il referendum abrogativo a questo punto può riuscirci. Il percorso parlamentare di opposizione è servito a maturare una consapevolezza politica dei partiti di opposizione sulla necessità di arrivare al referendum abrogativo. A questo punto c’è un importante schieramento sociale e insieme uno schieramento dei partiti di opposizione che convergono sull’obiettivo di abrogare la legge Calderoli. L’abrogazione della legge Calderoli è un obiettivo oggi possibile, necessario, indispensabile.

Il governo deve essere costretto a tenere tutto fermo fino allo svolgimento del referendum e a questo fine sarebbero molto utili i ricorsi delle singole Regioni, già impegnate a promuovere anch’esse il referendum abrogativo, sull’incostituzionalità della Calderoli. Incostituzionalità più volte richiamata nelle argomentazioni delle cinque Regioni per motivare i quesiti referendari che presenteranno. I ricorsi delle singole regioni alla Corte costituzionale “spingerebbero” il governo a fermare tutto fino al voto degli italiani, e darebbero tempo anche a Regioni del Mezzogiorno, guidate dalle destre di riflettere meglio su cosa vorrebbe dire attuare questa legge anziché abrogarla. Ci sono incertezze tra le Regioni, ma questo ricorso sarebbe importante.

Occorre recuperare alla contrarietà l’opinione pubblica del nord. Stefano Fassina ha scritto un volume sulle ragioni che dovrebbero portare proprio i cittadini del nord, non solo quelli del sud, a bocciare questa autonomia differenziata. Non si tratta solo dei sacrosanti principi costituzionali fondamentali che vengono disattesi da una legge che, sotto le mentite spoglie dell’attuazione del 116 e 117, versione 2001, li contraddice e di fatto stravolge la Costituzione.

Sono in discussione gli ideali che hanno portato all’unità dell’Italia, e concretissimi danni attuali che deriverebbero da questa autonomia regionale differenziata anche alle regioni del nord.

La Corte Costituzionale a gennaio si pronuncerà sull’ammissibilità del quesito abrogativo della legge Calderoli. Occorre argomentare bene le ragioni che possono aiutare la Corte a decidere per l’accoglimento del quesito.

Per giustificare la legge Calderoli si è cercato di sminuirne il potere distruttivo che invece sarebbe enorme sulla finanza pubblica, sui tassi, sull’economia nazionale, sui diritti fondamentali dei cittadini - economici e sociali - sulle istituzioni e perfino sullo spirito pubblico dell’Italia. E’ un pericolo enorme per l’Italia, e la sua attuazione avrebbe conseguenze devastanti, difficilmente rimediabili. La Corte dovrà tenerne conto.

Se tutto andrà come è sperabile, bisognerà preparare la campagna referendaria. Ai cittadini viene chiesto di decidere se abrogare o no la legge Calderoli, correggendo la decisione del Parlamento. Questo dovrebbe essere un potente antidoto contro l’astensionismo. Partecipate e decidete, questo è il messaggio.

Le destre probabilmente sceglieranno l’astensionismo. Se lo faranno nelle urne sarà prevalente il “No” e di conseguenza anche il governo arriverebbe rapidamente al capolinea, come è avvenuto nel 2011 con il governo Berlusconi. Non sarà facile, ma è possibile costruire un riscatto politico, un rilancio di partecipazione, che è il migliore antidoto all’astensionismo crescente, alla sfiducia fin troppo diffusa. E ci saranno insieme i quattro referendum abrogativi promossi dalla Cgil per rilanciare i diritti dei lavoratori. Quattro referendum sui diritti di chi lavora e uno contro l’autonomia regionale differenziata possono essere un pacchetto di mobilitazione di tutto rispetto, e tutti chiedono di abrogare leggi sbagliate o parti di esse.

 

Quindi la risposta per tutti è “Sì”. Una vittoria del “Sì” nei referendum potrebbe provocare anche il blocco degli attacchi alla Costituzione rappresentati dal premierato e dalla separazione delle carriere, e forse un cambiamento sostanziale dello scenario politico.

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