Lavoro, sindacato, Costituzione - di Andrea Raschia

“Un rinnovamento dei gruppi dirigenti e del loro metodo di lavoro è possibile e necessario: lo avverto come il compito principale che mi incombe… Un rinnovamento non separato dalle politiche, che cammina con la coerenza delle idee, con l’assunzione delle responsabilità e il coraggio. Lavorare nella Cgil non è un mestiere come un altro, può diventare una ragione di vita. Un sindacato di uomini e donne si interroga sempre sulle proprie scelte e sui propri errori, cerca di apprendere dagli altri per trovare tutte le energie che consentano di decidere ed agire”, Bruno Trentin, aprile 1989.

Sono frasi che riemergono prepotentemente ordinando pensieri sul recente convegno Cgil Marche “Precariato e Bassi salari. Occasione di confronto con la politica per ricomporre le fratture”. Non solo, immagino, quelle che dividono ancora le forze progressiste ma che allontanano i soggetti della rappresentanza dalla società. Società che esprime, invece, forte bisogno di cambiamento: domande che devono finalmente essere intercettate e trasformate in concreta iniziativa politica e rivendicativa. Una iniziativa, dunque, interessante, utile per parlare di temi sociali con forze progressiste. Come diceva Trentin, “loro possono conoscere e imparare da noi”, dal più grande sindacato, e agire di conseguenza.

Il tema morde profondamente la carne viva delle persone. Dati Ocse registrano tra il 2022-23 la crescita salariale più bassa di tutti i Paesi industriali. Salari cresciuti del 6%, meno della metà dei prezzi, impennati del 15%. Cosa significa è evidente: il costo del lavoro per unità di prodotto si è ridotto di quasi dieci punti. Si aggiunga che a fine 2023 sono scaduti 29 Ccnl per circa sei milioni di lavoratori. Una vera cuccagna per le imprese: hanno trasferito l’inflazione sui prezzi al consumo e ridotto il costo del lavoro. Con salari così hanno ripreso ad assumere, specie nei servizi dove le paghe sono ancor più basse. Piuttosto che niente...

Un quadro inaccettabile per il sindacato! E non solo, a giudicare dal voto degli operai che alle elezioni europee in maggioranza si son buttati a destra. Alla ricerca di salvatori improbabili...

Il cuore del problema chiama prepotentemente in causa noi stessi: grida e rivendica concrete iniziative da mettere in campo, adesso.

Tra i relatori, Andrea Lassandari, professore ordinario di Diritto del Lavoro all’Università di Bologna, ricorda i termini della questione, che viene da lontano, ha una sua sedimentazione - legge Biagi, Jobs Act. Vede responsabilità anche nostre, cita Ccnl che abbiamo sottoscritto irrispettosi dell’articolo 36 della Carta. Poi l’intero sistema degli appalti: tutto in chiave di riduzione dei costi. Modello ispirato da logiche “anti-lavoro”. Perfino sanzioni ridicole che permettono il lusso di violare la legge.

Al centro, dunque, l’impresa che, nella spasmodica ricerca del profitto, accumula a scapito del benessere sociale. I risultati sono sotto i nostri occhi: crescita di disuguaglianze e povertà, con giganteschi trasferimenti di risorse dal pubblico al privato. Ricchezze incommensurabili, sempre più concentrate in una ristretta minoranza. E un mantra alla base del modello produttivo, che deve saltare: se il lavoro vale poco si può pagarlo poco: non è di un’evidenza straordinaria?

Servirebbe anche una diversa prospettiva di governo per invertire processi in corso da decenni. E forze capaci di costruire alleanze per rimettete in carreggiata un Paese che deve recuperare valori costituenti. Altrimenti a saltare sarà la coesione sociale. E ne farà le spese la democrazia, una volta che la comunità dovesse rendersi conto dell’incancrenimento delle emergenze.

Non c’è altro tempo da perdere. Occorre intervenire subito e in modo efficace aggredendo problemi là dove è possibile agire. Con determinazione e coerenza. Per quanto riguarda il territorio, ad esempio, richiamo due situazioni degne di intervento concreto. Una collegata alla gestione appaltata di servizi pubblici, peraltro comune a tante realtà nel paese: la ristorazione scolastica. Appalti che arricchiscono bilanci di società e cooperative con lavoratrici a farne le spese con paghe tutt’altro che dignitose. Poi un’azienda pubblica, Asso di Osimo, che gestisce importanti servizi comunali attraverso dipendenti suddivisi in più Ccnl. Alla faccia dell’unificazione del mondo del lavoro.

Situazione riproposta da lavoratrici purtroppo inascoltate: “Non è cambiato nulla. Oltre cento dipendenti con più di dieci Ccnl. Pochi diritti, bassi salari. E chi può se ne va”. Casi di scuola: salari da fame, precarietà.

 

Cosa fa un sindacato se non ripartire da qui, assumendo precisi impegni e successive verifiche? Serve uno specifico piano di lavoro. È innegabile lo sforzo prodotto dalla Cgil, dobbiamo sostenerlo tutti. E ovunque.Dove c’è sfruttamento, precarietà, diritti negati, c’è la nostra piazza. Quei luoghi, quelle persone sono la nostra identità, il nostro radicamento sociale. Parliamo a loro per tornare a parlare a tutti. E a far riprendere al Paese il cammino delineato dalla Costituzione.

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