Ursula, Giorgia e Angelo, la “nuova” maggioranza europea - di Giovanni Monaci

La telenovela ammansita a noi italiani a reti e giornali unificati sul voto del gruppo europeo Ecr, presieduto da Giorgia Meloni, a favore o meno della riconferma di Ursula Von Der Leyen a presidente della Commissione europea, si è concluso come tutti sapevano - e molti speravano - con il “no” della delegazione di FdI e della maggior parte dei Conservatori (salvo, ben inteso, spostamenti non comunicati nel voto segreto).

Ursula fa il bis con una maggioranza allargata ai Verdi (salvo quelli francesi), come prontamente rivendicato dal nostro Angelo Bonelli. Su potenziali 454 voti, Von Der Leyen ne prende 401 - casualmente proprio la somma dei tre gruppi Ppe, S&D e Renew - scontando quindi una buona dose di franchi tiratori tra le sue stesse fila.

“Sconfitta” di Meloni? Maggioranza che - grazie ai Verdi - si salva dall’abbraccio delle destre, sia quelle “estreme” alla Orban e Salvini che quelle “responsabili” alla Meloni? Oppure, molto più probabilmente, maggioranza larghissima che si basa comunque sul sostegno o la benevola astensione nelle sedi che contano - vedi il Consiglio europeo - dei governi di destra?

Si tace, infatti, sull’evidenza che il “documento strategico” dell’Ue, varato nell’ultimo Consiglio europeo - quello stesso in cui sono state presentate e votate le proposte per le cariche apicali dell’Unione (oltre a Von Der Leyen il socialista portoghese Costa presidente del Consiglio, la liberale ultraguerrafondaia estone Kallas agli “esteri”) - è stato votato all’unanimità dai capi di Stato e di governo di tutti i 27 membri, Meloni e Orban compresi.

Comunque questa è la “maggioranza” che si insedia con la nuova Commissione. Del resto la prima votazione per la riconferma a presiedere il Parlamento europeo di Roberta Metsola, maltese del gruppo popolare, antiabortista e totalmente coinvolta nelle scelte belliche, è stata un plebiscito trasversale, ben oltre la maggioranza che la proponeva. Solo il gruppo The Left ha presentato una candidatura alternativa con Irene Montero, leader di Podemos. Lei sì che ha parlato di pace.

La scontata, e ampia, riconferma di Von Der Leyen non è stata contrastata nemmeno dalla notizia del giorno precedente che la Corte di Giustizia europea le ha dato torto in un giudizio relativo alla trasparenza nei contratti in materia di vaccini. Un fatto più volte sollevato da The Left.

A proposito di Ursula Von Der Leyen, ha detto parole chiare Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil, in una recente intervista: quello di Von Der Leyen non è un ‘green deal’ ma un ‘war deal’, e le classi dirigenti di un’Unione europea sul baratro, invece che confermare se stesse, dovrebbero dare un segno di discontinuità verso il lavoro e l’Europa sociale.

Oltre al voto per le due prime cariche - presidente del Parlamento e presidente della Commissione - il Parlamento europeo, nella prima seduta, si è contraddistinto per l’approvazione, a larga maggioranza, di un documento di totale sostegno, armato, all’Ucraina, e di continuità nella subordinazione alle politiche di riarmo della Nato. Nessun cenno ad un qualche ruolo diplomatico dell’Unione per uscire dai conflitti armati, ad ulteriore conferma del programma della presidente riconfermata, tutto fondato su guerra e riarmo.

Purtroppo si conferma il quadro maturato nel lungo periodo dopo Maastricht, dalla austerità alla guerra, di cui le misure in possibile controtendenza assunte durante la pandemia di Covid19 costituiscono solo una parentesi, chiusa in tutta fretta.

Dietro un sedicente europeismo, in realtà ormai connesso con i sovranismi nazionali e con la riproposizione di una “grande alleanza” per “fermare” le destre, si cerca di nascondere la realtà di una politica europea che sul versante economico, sull’appiattimento bellicista alla Nato, sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere e negazione dei diritti ai migranti, non fa altro che riproporre e anticipare l’agenda politica delle destre xenofobe e nazionaliste.

C’è di fondo un suprematismo occidentale per alcuni versi più marcato che negli stessi Stati Uniti, e che non mostra preoccupazioni per l’ennesima guerra commerciale alla Cina che va a minare l’economia europea, a partire da quella tedesca che è già in recessione a causa delle sanzioni alla Russia.

L’unica vera opposizione nei palazzi europei è quella del gruppo The Left, rafforzato dall’adesione dei Cinque stelle italiani. Ma se non saprà darsi un punto di vista contro la guerra più coerente e condiviso al proprio interno, la Sinistra europea rischia la marginalità.

 

 
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